Joe Manchin: un democratico ‘scomodo’

La possibile candidatura presidenziale del senatore Joe Manchin, storico esponente della frangia conservatrice del Partito Democratico, è solo l’ultimo dei vari colpi di scena che si stanno susseguendo alla fine di questo ‘lungo’ 2023 della politica americana e avviene all’indomani di una serie di sondaggi che gettano ombra sulle chances di rielezione di Joe Biden. Manchin aveva già ufficializzato il suo ‘pensionamento’ dalla posizione di senatore per lo stato della Virginia Occidentale, non correndo per la rielezione e esponendo il suo prezioso seggio ad una possibile vittoria repubblicana.

Chi è Joe Manchin

Manchin, che spesso ha agito in chiave ostruzionista contro i piani legislativi dell’amministrazione Biden, potrebbe decidere di candidarsi sotto l’egida di ‘No Labels’, un’organizzazione politica nominalmente centrista che aveva anche sponsorizzato il gruppo parlamentare bipartisan ‘Problem Solvers Caucus’, di cui Manchin faceva parte insieme alla controversa compagna di partito Kirsten Sinema . Il senatore ritiene che la sua candidatura potrebbe essere particolarmente apprezzata dalla Middle America, l’elettorato centrista di classe media scontentato sia dal trumpismo imperante nel partito repubblicano che dalle posizioni progressiste di Biden in materia di politica energetica e immigrazione.

Dalla rottura con Biden alla candidatura

È stata proprio la politica energetica uno dei maggiori punti di rottura tra Manchin e Biden: L’economia della Virginia occidentale ruota pesantemente intorno all’estrazione del carbone, industria sempre più in declino con l’affermazione delle nuove tecnologie green. L’amministrazione Biden ha investito fortemente sulla transizione energetica, come nel caso dei bonus infrastrutturali previsti dalI’ Inflation Reduction Act. Manchin, che ha votato in favore dell’IRA, ha invertito la sua posizione negli ultimi mesi criticando l’eccessivo ‘radicalismo ambientalista’ della Casa Bianca e promettendo di dare battaglia sul tema.

Manchin ha attirato diverse critiche in ambiente dem, sia per il suo pensionamento anticipato che rischia di abbattere la maggioranza dem in Senato alla prossima tornata elettorale, sia per la natura ambigua di No Labels, organizzazione che viene spesso accusata di essere vicina ad ambienti repubblicani. In un reportage di settembre, il think tank centrista Third Way sostiene che No Labels punti ad utilizzare candidature ‘di disturbo’ come quella di Manchin per drenare voti al partito democratico e favorire le chance elettorali di Trump ed altri esponenti del GOP. Non è chiara la natura e l’origine dei finanziamenti che sostengono No Labels, e i media dell’organizzazione spingono una narrativa politica che dipinge Biden e Trump come opposti estremi.

Sorvolando sulle credenziali di No Labels, la possibile candidatura di Manchin appare in effetti velleitaria. Il senatore è fortemente impopolare nella base dem, ed il suo posizionamento conservatore su punti cardine quali aborto e diritti LGBTQ lo rendono forse più appetibile all’elettorato di destra operaia che, dopotutto, ha sempre corteggiato in Virginia Occidentale. Forse, l’obiettivo principale di Manchin e No Labels non è quello di portare un candidato ‘bipartisan’ alla presidenza, ma forzare un impasse nel collegio elettorale alle prossime elezioni presidenziali e consegnare l’elezione del prossimo presidente nelle mani della camera dei deputati, al momento in mano repubblicana. Uno scenario fantapolitico interessante, ma dalle chance alquanto remote.

Questo articolo è a cura di Antonio Jr Luchini, autore presso la redazione di Jefferson e analista politico-internazionale

foto di copertina EPA/MICHAEL REYNOLDS

Ultime pubblicazioni