Perché il Mes non è una minaccia per l’Italia

Qualche precisazione appare opportuna ora che il nostro Parlamento è chiamato a decidere sulla riforma del Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Inaugurato alla fine dell’anno 2012, Mes è un’organizzazione intergovernativa regolata dal diritto pubblico internazionale, con sede in Lussemburgo. I suoi azionisti sono i paesi della zona euro. MES emette strumenti di debito per finanziare prestiti e altre forme di assistenza finanziaria nei paesi della zona euro.

Un trattato senza ratifica

Occorre premettere che non esiste un obbligo giuridico dell’Italia di ratificare il nuovo trattato. È pur vero che il 27 gennaio 2021 questo trattato – modificativo di quello che nel 2012 ha istituito il Mes – è stato firmato da tutti i membri dell’Eurogruppo, compresa l’Italia. Inoltre, in precedenza il testo era stato negoziato e concordato nel biennio 2019-2020 all’interno dell’Eurogruppo da tutti i governi nazionali, con il concorso anche di quello italiano. Ma, come ben noto, la firma di un trattato non è di per sé vincolante; non lo è specie per un trattato, come quello in esame, che all’art. 5 espressamente subordina la sua entrata in vigore alla ratifica da parte di tutti i contraenti.

Certo, è da assumere che una retromarcia dell’Italia non sarebbe bene accolta dagli altri Stati dell’eurozona, che hanno già tutti ratificato il trattato; da ultimo la Germania, dopo il nulla osta della sua Corte costituzionale. Evidentemente, se gli altri hanno già detto sì alla riforma, è perché ritengono che essa meriti approvazione. Potrebbero dunque molto dispiacersi che essa venga bloccata per una sorta di veto del nostro Paese. Però, sul piano giuridico, una tale condotta comporterebbe per l’Italia conseguenze “reputazionali” , non la violazione di un obbligo sanzionabile in base al diritto internazionale.

Un secondo punto da precisare è che, in difetto di entrata in vigore del nuovo trattato, non si verifica un’estinzione del Mes, che continua ad esistere in forza del suo precedente atto istitutivo; e continua a operare in base al testo originario, senza tener conto delle modifiche inserite nel nuovo trattato. In definitiva, un eventuale no dell’Italia servirebbe ad escludere l’efficacia di queste modifiche, non di cancellare la presenza del Mes dal quadro della governance europea.

Come valutare la riforma

Ciò detto, la riforma del Mes dovrebbe essere valutata dall’Italia in termini di raffronto con la situazione ora in essere. Si tratta di stabilire se essa sia migliorativa, peggiorativa, o sostanzialmente non modificativa del Mes attuale; ovvero anche se vi siano, ad un tempo, modifiche nei due sensi.

Nel caso di modifiche migliorative ovvero nel caso in cui queste prevalgano su quelle in senso opposto, non dovrebbero frapporsi ostacoli alla ratifica del nuovo trattato. Lo stesso dicasi nel caso di modifiche che lascino il Mes sostanzialmente inalterato: la ratifica sembra raccomandabile anche in questo caso per non contrariare, senza motivo, gli altri Stati euro. Il diniego di ratifica sarebbe dunque giustificato solo ove risulti che per l’Italia la riforma peggiora l’attuale ruolo del Mes o che comunque gli aspetti negativi pesano decisamente di più di quelli vantaggiosi.

A cosa serve il Mes

Non è questa la sede per procedere ad un’analisi dettagliata della riforma. Si può però dire, in linea con la Corte costituzionale tedesca, che essa non modifica l’attuale struttura del Mes.

In effetti la finalità del Mes rimane quella di prestare assistenza finanziaria agli Stati in difficoltà, attraverso l’erogazione di prestiti e linee di credito. I primi destinati a Stati senza più accesso al mercato finanziario o con un accesso eccessivamente gravoso; le seconde mirate a prevenire che uno Stato euro si venga a trovare nella situazione appena descritta.

Resta fermo inoltre il principio che l’assistenza finanziaria, in ogni sua forma, è subordinata a una rigorosa condizionalità (lo esige anche l’art. 136.3 del TFUE). Questa comporta un giudizio sulla sostenibilità del debito degli Stati beneficiari e può richiedere a questi ultimi la sottoscrizione di un programma di aggiustamento macro-economico (il MOU – Memorandum of Understanding).

Non cambia poi il sistema di governance del MES, imperniato sul Consiglio dei governatori. Si tratta di un organo, composto da un rappresentante per ciascuno degli Stati membri, che delibera all’unanimità su tutte le operazioni, eccezionalmente alla maggioranza dell’85% per far fronte a emergenze. Si badi bene che in ogni caso l’Italia, oltre alla Germania e alla Francia, gode sempre di un potere di veto, dato che possiede nel Mes una quota superiore al 15%. Resta inoltre il concorso della Commissione e della Banca Centrale Europea alla preparazione e attuazione delle delibere del Consiglio dei Governatori.

Tre novità della riforma

Le novità della riforma sul funzionamento del Mes sono essenzialmente tre: la possibilità di finanziare il Fondo unico di risoluzione delle crisi bancarie (Srf – Single resolution fund) nel caso di insufficienza del medesimo; l’estensione del requisito della sostenibilità del debito a quello della capacità di ripagarlo; infine la precisazione delle condizioni per la concessione delle linee di credito precauzionali.

Circa la prima novità, è nell’interesse generale che la procedura di risoluzione delle crisi bancarie sia in grado di funzionare correttamente. L’intervento in ultima istanza del Mes (il c.d. backstop) assicura che il Srf disponga sempre delle risorse necessarie. Può servire per le banche italiane non meno che per quelle di altri Paesi. Quanto alla seconda novità, la distinzione fra sostenibilità e capacità di ripagare il debito appare labile; costituisce un po’ il diritto e il rovescio della stessa medaglia. Il fatto che in capo della Commissione resti il solo giudizio sulla sostenibilità, mentre quello sulla capacità di ripagare sia attribuito all’apparato del MES, non assume quindi particolare rilievo. Tanto più che la decisione finale spetta comunque (come è stato finora) al Consiglio dei governatori del Mes.

Sulle linee di credito precauzionali

La precisazione dei requisiti per la loro concessione del credito limita la discrezionalità dei decisori, il che non è di per sé un male. Disturba che, fra i requisiti, si riporti la riduzione annuale di 1/20 % di quanto il debito statale eccede il parametro del 60%. Ma si tratta di una regola poco realistica, che fin qui non ha trovato applicazione e che sarà presto superata dalla nuova disciplina fiscale in arrivo. Inoltre, questo requisito vale solo per una delle due linee di credito disponibili, mentre l’altra rimane accessibile anche a Stati (se del caso, anche il nostro) non in linea con le regole di bilancio applicabili.

Alla luce di quanto precede, non sembra esservi motivo per l’Italia di ritardare ulteriormente la ratifica della riforma. La possibilità per il Mes di assicurare un backstop al SRF costituisce di certo uno sviluppo molto positivo. Quanto alle altre novità, non comportano – come si è visto – sostanziali modifiche alla situazione esistente. Non di meno, il maggiore rilievo attribuito alle linee di credito precauzionali può essere foriero di interessanti sviluppi anche per il nostro Paese (post Covid, nuove linee di credito per altre emergenze?). E poi l’Italia conserva sempre il suo potere di veto sulle delibere del Consiglio dei governatori. Si auspica dunque una sollecita ratifica della riforma.

Foto di copertina EPA/FRANCOIS LENOIR / POOL

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