La tempesta sulle tariffe doganali scatenate dall’Amministrazione Trump sottintende un forte attacco al sistema commerciale internazionale. Si concretizza un sostanziale disconoscimento dell’approccio multilaterale regolato dal World Trade Organization (WTO) – al quale partecipano 166 Paesi –, sostituito da iniziative unilaterali. Gli effetti intimidatori e coercitivi su singoli Paesi, non compatibili con il WTO, mettono a rischio le regole del gioco consolidate. Peraltro, già da qualche anno il WTO è indebolito a causa delle divergenze tra i Paesi firmatari su argomenti fondamentali quali sviluppo, trattamento speciale e differenziato, e necessità di riforme. Questa situazione ha ridotto la rilevanza del WTO e causato il lento declino della sua missione, volta a garantire condizioni eque e paritarie e la liberalizzazione degli scambi commerciali.
Tutto ciò mette a rischio la stabilità degli scambi e la funzione chiave del WTO, cioè il sistema di risoluzione delle controversie, che prevede che un paese soccombente possa ricorrere in appello. Questo sistema è stato bloccato dagli Stati Uniti: non approvando la nomina dei giudici, hanno provocato la paralisi dell’organismo di appello del WTO, che di fatto ha cessato la sua funzione. Tale blocco imposto dagli Usa comporta che i Paesi membri non possano più ricorrere alla funzione che giudica le controversie: un Paese che perde una disputa può ricorrere in appello, ma il suo funzionamento è bloccato. Continue reiterazioni mettono in crisi il sistema del WTO.
Le critiche – peraltro giustificate – di inefficienza del WTO inducono ad affermazioni come declino, collasso, disincanto per una sua riforma, mentre si assiste al consolidarsi dell’anarchia e della frammentazione nel sistema commerciale multilaterale che regola gli scambi. Il quadro è frammentato e contrastato e solleva interrogativi.
I diversi approcci Cina, USA e UE
Pechino considera centrale il ruolo del WTO (ne è membro dal 2001) nell’ambito del multilateralismo che intende cavalcare. Alla riunione della Shanghai Cooperation Organisation (SCO) a Tianjin, con lo «Statement of the Council of Heads of State of the SCO Member States in Support of the Multilateral Trading System» è stata affermata l’importanza della cooperazione multilaterale in contrapposizione a misure protezioniste e coercitive che violano la Carta delle Nazioni Unite, i principi e le regole del WTO, del quale si favorisce una riforma. Tuttavia, il ruolo della Cina è da tempo al centro delle controversie riguardanti da un lato la capacità del WTO di garantire i propri standard, e dall’altro pratiche commerciali scorrette come sussidi e prestiti non dichiarati, dumping e furto di proprietà intellettuale.
Gli Stati Uniti, accentuando le proprie politiche commerciali unilaterali, mettono in evidenza le criticità del WTO. In pratica, Trump vuole fare piazza pulita del multilateralismo che ha garantito per decadi stabilità e garanzie nella regolamentazione degli scambi commerciali. Già nel 2019 gli Usa avevano provocato una paralisi nel funzionamento del WTO per la risoluzione delle controversie, non approvando la nomina di due dei tre giudici dell’Appellate Body, che ha quindi cessato la sua funzione.
La critica principale sollevata dagli Usa contro l’Appellate Body del WTO riguarda la sua troppo estesa (judicial overreaching) interpretazione dei Trattati WTO, che crea nuovi obblighi e impatta sulla creazione di precedenti legali. Secondo gli Usa – che hanno perso il 90% dei casi anti-dumping – questi aspetti non rientrerebbero tra le competenze dell’Appellate Body. È evidente che si vuole libertà d’azione, considerando che la norma multilaterale prevale su tutte le altre, ma non è comunque chiaro l’obiettivo americano: negoziare per riformare, smontare il WTO o ritirarsi? Si osserva dunque un approccio ambiguo, di “va e vieni”, a volte anche collaborativo. Trump ha nominato infatti un nuovo ambasciatore presso il WTO e il Direttore Generale dell’organizzazione Okonjo-Iweala ha nominato sua vice un’altra americana.
Eppure, per salvaguardarsi da dazi unilaterali, Paesi come Brasile e Cina hanno comunque fatto ricorso al WTO. Allo stesso tempo la Commissione Europea aveva minacciato a sua volta la richiesta di consultazione, poi ritirata, preliminarmente a un ricorso al WTO contro gli Usa, come deterrente per arrivare a una soluzione diplomatica bilaterale. Ma anche se si fosse arrivati, in sede di contenzioso WTO di ultima istanza, a una condanna degli Usa, come per esempio abolire o ridurre le misure giudicate incompatibili che causano un “unfair advantage”, l’impossibilità di appellarsi blocca il funzionamento del processo.
Il WTO potrebbe funzionare?
Senza aderire a posizioni fortemente critiche espresse dalla von der Leyen, che ha considerato il WTO “defunct”, e dal Cancelliere Merz, che ha dichiarato che il WTO “non funziona da anni”, si aprono questioni sull’efficacia dei ricorsi al WTO. In realtà, il funzionamento del meccanismo per la risoluzione delle controversie a un certo punto si inceppa ma non del tutto.
Per fronteggiare le azioni unilaterali di Trump, i Paesi del WTO possono sempre minacciare ricorsi all’organizzazione come deterrente, confermando così il suo ruolo. Per rispondere alla crisi del sistema innescata dalla decisione americana di impedire l’operatività del ricorso all’appello nelle controversie, si è trovata una soluzione parziale ad interim (Multi-Party Interim Appeal Arbitration Arrangement – MPIA), contemplata dal WTO, che ricorre alle stesse procedure, preservandole. In pratica, i 26 Paesi partecipanti, tra i quali Ue e Cina, accettano volontariamente di rinunciare a qualsiasi appello al WTO Appellate Body per evitare situazioni di “void”, e si affidano a un arbitrato. Sono previsti limiti, quali l’efficacia solo tra le parti in causa e la competenza solo per quanto necessario, senza creare precedenti legali, né interpretare le norme, né confermare, modificare o rigettare le conclusioni adottate dal WTO Dispute Settlement Panel. I primi ricorsi hanno mostrato che l’MPIA funziona.
Il WTO va considerato marginale?
L’attivismo e il crescente interesse dei Paesi per il WTO in questi anni mostrano un quadro differente rispetto alle critiche. Dal 2024 a oggi infatti il numero di nuove controversie portate al WTO è raddoppiato e la maggioranza dei Paesi rispetta le regole dell’organizzazione. Tra le più note richieste di attivazione di Panel o consultazioni, ci sono quelle sui dazi sulle auto elettriche cinesi o sull’acciaio e l’alluminio. Come ricorda Angela Ellard, già vice Direttore Generale del WTO, “si può dire che il sistema WTO è malconcio e poco efficiente, ma continua a funzionare per la risoluzione delle controversie. Da quando, sei anni fa, l’Appellate Body ha cessato di funzionare, si sono registrati 28 casi di controversie risolte, 32 appelli “nel vuoto” del blocco delle procedure e 13 i casi portati all’appello volontariamente dalle parti in causa con l’accordo temporaneo ad interim MPIA”.
Accanto alle controversie si presenta un quadro più ampio e dinamico del WTO, che include varie iniziative: l’accordo multilaterale sui sussidi alla pesca del 2022 è entrato in vigore il 15 settembre. È il primo che riguarda sostenibilità e clima (protezione dei global commons e level playing field), la sospensione vincolante circa i vaccini per il COVID-19, l’accordo Trade Facilitation, le decisioni sulla sicurezza alimentare, la moratoria sui dazi per l’e-commerce e l’avvio di negoziati per la riforma del WTO.
Lasciar passare la tempesta, tra disillusioni e proposte di riforma del WTO
In questa turbolenza globale si possono individuare alcune prospettive, sullo sfondo della notevole capacità di tenuta del commercio internazionale nel primo semestre di quest’anno, corrispondente all’annuncio delle tariffe “reciproche” di Trump. Secondo l’Unctad, gli scambi globali sono aumentati di 300 miliardi di dollari nello stesso periodo. Si tenta di superare lo stallo di Ginevra.
Von der Leyen ha proposto agli 11 Paesi dell’accordo di partenariato CPTPP (Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership) – da cui la prima Amministrazione Trump si era già ritirata nel 2016 – di elaborare proposte comuni per una riforma. Si è anche dibattuta l’idea di un nuovo accordo commerciale, una sorta di alternativa o “sostituto” del WTO, ma senza gli Stati Uniti, che avrebbe una forza economica e un’ampiezza dell’area di libero scambio sufficienti da imporsi e preoccupare grandi potenze con intenzioni coercitive. Sarebbe una soluzione negoziata esterna al WTO.
I Paesi firmatari del WTO, alla sua ultima Conferenza Ministeriale del 2024, hanno ribadito l’impegno prioritario per una riforma di meccanismi e procedure per superare l’impasse, ripristinando un sistema di risoluzione delle controversie che funzioni pienamente e correttamente, senza tuttavia trovare un consenso. L’attività è proseguita in luglio con un secondo round di consultazioni informali coordinate dal Facilitator for WTO Reform e dal WTO General Council. Ma c’è disaccordo perfino sul significato di WTO reform. È una situazione in cui tra i Paesi rimane un sostanziale disaccordo sui temi di fondo del WTO, insieme alla percezione che questo non costituisca una soluzione ai problemi del commercio, e alla disillusione e perdita di fiducia nel multilateralismo. Per superare questa sfiducia viene auspicato dal Facilitator un cambio culturale e di comportamento.
In questo quadro è degno di nota l’importante passo avanti per la rimozione di un ostacolo alla riforma del WTO: il premier cinese Li Qiang ha annunciato, a margine dell’Assemblea Generale dell’ONU, la rinuncia, riguardo ai negoziati per la riforma, al “trattamento speciale e differenziato” in quanto paese in sviluppo, sempre osteggiato dagli USA. La decisione riflette le nuove realtà economiche e conferma l’impegno di Pechino per un sistema commerciale bilanciato ed equo.
Il Public Forum organizzato a settembre dal WTO ha avuto in agenda anche la riforma dell’Organizzazione, tema che coinvolge molti Paesi interessati a trovare una soluzione. I tempi saranno lenti, ma proseguono lungo un percorso mentre il WTO continua, bene o male, a funzionare, mentre incombe il rischio di passare da un sistema di regole multilaterali “rules-based” al ritorno a un sistema “powers-based” fondato sulla competizione tra grandi potenze.