Il Tnp e il rischio della corsa agli armamenti nucleari

Dopo quattro settimane di lavori e una preparazione durata sette anni, il 26 agosto scorso si è conclusa  a New York con un nulla di fatto la Conferenza di Riesame del Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp). Si tratta del principale foro internazionale ancora in funzione che discipina gli usi civili e militari dell’energia nucleare e che proibisce a tutti gli Stati (a eccezione di Cina ,Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti)  di possedere l’arma nucleare.

Nonostante l’esperienza e l’impegno dei due diplomatici argentini, Gustavo Zlauvinen  e Rafael Grossi che si sono succeduiti alla guida dell’esercizio, non è andato in porto il tentativo di costruire il consenso su un documento finale. Non è la prima volta che ciò accade ma è se senza precedenti che due Conferenze di seguito non siano riuscite a produrre un testo comune.

I tre pilastri in pericolo

Il quadro internazionale non è stato mai così arroventato e i tre pilastri su cui poggia il Trattato – disarmo, non proliferazione e uso pacifico dell’energia nucleare – sono tutti a rischio.

Sul fronte del disarmo si stanno facendo passi indietro. Gli Stati Uniti di Trump si sono ritirati da importanti trattati di arms control, dando l’occasione alla Russia di fare altrettanto e di ammodernare i suoi arsenali nucleari e missilistici. Si sono confermati durante i lavori seri indizi che anche la Cina voglia incrementare le sue dotazioni nucleari sinora mantenute ad un livello  più basso rispetto a quelli russi e americani. È dell’anno scorso l’annuncio britannico di un incremento del numero dei suoi sottomarini nucleari e delle loro testate nucleari.

Nel campo della non proliferazione, permangono al di fuori del trattato quattro paesi che si sono dotati dell’arma nucleare: India, Pakistan, Israele e da ultimo la Corea del Nord. Sotto il profilo degli usi pacifici dell’energia nucleare, nulla è meno pacifico dell’occupazione russa manu militari della centrale nucleare di Chernobyl e poi di quella di Zaporizhzhia.

Le responsabilità di Mosca

Sono state proprio le responsabilità di Mosca nella gestione delle centrali a costituire la goccia che ha portato la Russia a mandare all’aria le discussioni alla Conferenza del 26 agosto scorso. Eppure, il documento finale, nella sua ultima stesura, era stato edulcorato al massimo proprio per ottenere il consenso delle cinque potenze nucleari che in seno al TNP fanno il bello e il cattivo tempo.

Non vi era stata proposta la condanna dell’invasione russa in Ucraina, vi era solo un laconico accenno al nuovo Trattato TPNW – inviso a tutte le potenze nucleari – che dall’anno scorso prevede una proibizione totale delle armi nucleari, era stato ritirato all’ultimo minuto per insistenza britannica, il riferimento al concetto del non primo uso dell’arma nucleare che pure aveva ricevuto un crescente consenso.

Si era attenuato al massimo anche il riferimento al vulnus da parte di Mosca ai principi ormai acquisti da anni in campo nucleare, come quello della proibizione non solo dell’uso ma anche della minaccia dell’uso dell’arma nucleare in particolare nei confronti di Paesi che, come l’Ucraina, hanno aderito al TNP, lo hanno rispettato scrupolosamente e hanno rinunciato all’arma nucleare. Meglio sarebbe stato, come consentito dalle norme di procedura, ricorrere ad una votazione su un testo più incisivo in cui si sarebbero almeno potuti contare i Paesi che nella tragica vicenda ucraina ancora sostengono il presidente Putin.

Crisi e corsa agli armamenti

L’insuccesso di New York non vuol dire che il TNP si dissolverà, ma per i cinque prossimi anni il trattato sopravviverà senza una linea guida e senza un obiettivo da raggiungere. Non sarebbe questo il male maggiore poichè restano in piedi gli obiettivi concordati nel 2010 che sono lungi dall’esser stati raggiunti, ma si tratta di un ulteriore segnale della gravissima crisi che attraversa il processo internazionale volto ad impedire una corsa agli armamenti in paricolare per quanto si riferisce alle armi nucleari.

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