Il Bahrain laboratorio di apolidia

Dagli scontri di piazza Pearl del 2011, in Bahrain la polizia ha continuato a reprimere con violenza ogni forma di sommossa popolare mirata a contestare la corruzione pervasiva e il fallimento di qualsiasi riforma messa in atto dalla famiglia regnante Al Khalifa. La violenza non è l’unico strumento utilizzato, però, dalla polizia, che sembra prediligere la revoca arbitraria della cittadinanza come metodo per reprimere il dissenso. 

Uno stato senza cittadini

Da novembre 2012, 990 cittadini del Bahrain si sono visti revocare la cittadinanza. La maggior parte di loro risultava essere attivista politico sciita. Accusati di terrorismo o di reati correlati al terrorismo, alcuni sono stati arrestati e deportati verso paesi dove avevano una cittadinanza alternativa. Altri, sono stati semplicemente resi apolidi

Lo status di apolidi nega, a catena, a serie di diritti a queste persone, che non possono lavorare o percepire una pensione in Bahrain. Non possono essere titolari di un conto bancario, non hanno diritto all’indennità di alloggio e non possiedono più un documento di identità ufficiale. In molti casi, il denaro o le proprietà che possedevano in Bahrain sono stati espropriati dallo Stato. Molti tra loro sono stati etichettati come “immigrati clandestini” all’interno dei confini del proprio paese, rischiando dunque la tortura, l’arresto e l’eventuale deportazione in Libano, Iraq o Iran. 

Un diritto a intermittenza 

La comunità internazionale vieta, però, questo genere di pratiche, e nel 2019 il Bahrain ha ceduto alla pressione internazionale e ripristinato la cittadinanza a 551 persone. Questi cittadini, tuttavia, non hanno ricevuto alcun risarcimento finanziario a fronte del danno subito e continuano a ricevere attraverso canali formali e informali reminder sulla loro limitata possibilità di vivere liberamente in Bahrain: la cittadinanza, infatti, può essergli ancora revocata con la stessa facilità con cui è stata ripristinata, costringendoli a vivere in uno stato d’eccezione permanente. Ad altri 343 abitanti del Bahrain, invece, non è stata ancora ripristinata la cittadinanza: vivono in esilio o risultano incarcerati come prigionieri politici. 

Queste pratiche riflettono la fragilità del diritto alla cittadinanza in stati, come il Bahrain, che fanno capo al Consiglio di cooperazione del Golfo (CCG), caratterizzati da una struttura piramidale dove diritti e privilegi sono intrinsecamente ordinati in base ad affiliazioni etniche, tribali e settarie. 

Per quanto concerne il Bahrain, il diritto alla cittadinanza risulta ancora più precario e discrezionale, slegato da qualsiasi gerarchia in quanto dipendente dalla singola volontà del sovrano. Qualsiasi cittadino può essere trasformato in un apolide, relegato in uno stato d’eccezione senza spiegazioni. Come ha notato l’ex parlamentare del Bahrain, Abdulhadi Khalaf, a cui è stata revocata la cittadinanza e che ora vive in esilio in Svezia, “I nostri passaporti non sono un diritto di nascita. Sono fanno parte delle prerogative del sovrano”.

Divide et impera

Tutto ciò è possibile in quanto il potere è concentrato nelle mani di un membro della famiglia reale che detiene il potere esecutivo. Sebbene il Bahrain sia ufficialmente una monarchia costituzionale, né il Parlamento, né il Consiglio della Shura, né la società civile sono realmente indipendenti. La famiglia reale governa lo stato e detiene un potere tale da permetterle di determinare il valore da attribuire alla cittadinanza. I diritti e l’identità nazionale in Bahrain sono una merce sovrana in un contesto sia autocratico che neoliberale: una cittadinanza mercificata che può sempre essere revocata dal sovrano e che non fornisce né protezione né identità.

La società ne risulta, quindi, inevitabilmente frammentata a causa della tattica “divide et impera” messa in atto dalla famiglia reale al fine di garantire la sopravvivenza del regime e limitare il dissenso interno. Il Bahrain è dunque costituito da comunità separate che vivono in uno stato di precarietà semi-permanente. La quasi totalità della popolazione è consapevole che la cittadinanza può essere revocata in ogni momento, rappresentando un vero affronto ai diritti umani e al diritto internazionale. Una tattica simile, inoltre, inibisce qualsiasi forma di nazionalismo inclusivo e di costruzione dell’identità nazionale, facendo sì che le comunità abitanti il Bahrain rimangano divise, impaurite e dunque più facili da controllare. 

Complicità internazionale 

Il diritto internazionale stabilisce che nessun paese può legalmente revocare la cittadinanza a un individuo rendendolo, dunque, apolide. Sebbene Stati Uniti, Regno Unito e Unione Europea abbiano talvolta espresso preoccupazione o disappunto per il rifiuto del Bahrain di rispettare il diritto internazionale e i diritti umani dei suoi cittadini, raramente hanno rimproverato il governo per queste azioni. Al contrario, questi Stati hanno sempre dato priorità alle loro relazioni militari ed economiche con il Paese. Il Bahrain, infatti, ospita la Quinta Flotta statunitense, il suo più grande distaccamento navale nella regione, mentre il Regno Unito vi ha stabilito una base militare permanente nel 2018.

Per quanto concerne l’Unione Europea, i suoi rapporti con il Bahrain devono tenere in considerazione l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Essendo due dei principali sostenitori del Bahrain, l’Ue, che non ha a disposizione lo stesso potere degli Stati Uniti e del Regno Unito, ritiene di dover considerare i rischi di turbare gli alleati del CCG del Bahrain, preoccupati per le ripercussioni economiche ed energetiche sull’Europa.

Se gli Stati Uniti, il Regno Unito e l’Unione Europea applicassero una condizionalità democratica, anche solo rudimentale, ai loro accordi internazionali in Medio Oriente e Nord Africa (MENA), un paese come il Bahrain sarebbe probabilmente costretto a fare concessioni. Nel XXI secolo, i quadri internazionali dei diritti umani e i loro principali sostenitori geopolitici negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Europa hanno i mezzi per depotenziare ed eliminare lo stato di eccezione in Bahrain. La sfida più grande rimane, per questi sostenitori internazionali, trovare la volontà politica di far rispettare questi standard.

Foto di copertina EPA/MOHAMMED BADRA

Ultime pubblicazioni