Confini: storia di un costrutto umano

Il filosofo francese Michel Foucault definiva il termine confine come “dispositivo spaziale che regola e dispone il rapporto tra dentro e fuori, tra inclusione ed esclusione”. In questo senso, i confini non sono solo geografici e politici ma anche psicologici e sociali, e permettono di definire comunità distinte. Questi primi tipi di confine si imposero all’indomani della rivoluzione agricola, seppur ancora fluidi e interponibili a seconda dei rapporti di forza tra le varie comunità.

Westfalia come spartiacque

Tale fluidità caratterizzò tutta l’epoca classica e il medioevo, cambiando tuttavia radicalmente in epoca moderna con la pace di Westfalia del 1648. Da fluido il confine diventa rigido, una linea di demarcazione che delimita e protegge la comunità nazionale. L’esistenza di apparati burocratici complessi e protetti da confini rigidi permise il dispiegamento di forze riformatrici in alcuni stati europei e soprattutto nel Regno di Inghilterra. Qui l’assolutismo basato su modelli politico-economici estrattivi venne progressivamente superato da nuovi sistemi. A partire dal 1678 la nazione inglese sviluppò una società dotata di modelli politicamente ed economicamente più inclusivi, come il Parlamento e la libertà di impresa.

I confini dopo i due conflitti mondiali

Gli elementi di porosità dei confini permisero inoltre la circolazione di idee e fenomeni. In questo modo l’esperienza inglese superò velocemente la Manica, sia sotto forma di richieste politiche, sia attraverso la diffusione della rivoluzione industriale sul continente europeo. La Rivoluzione Francese, i moti del XIX secolo e l’industrializzazione di certe aree del continente furono fenomeni resi possibili dalla porosità di quei confini che nel secolo precedente avevano creato un luogo sicuro per lo sviluppo embrionale di tali fenomeni. A partire dal XIX secolo, l’economia europea cominciò quindi ad internazionalizzarsi al fine di usufruire appieno del nuovo assetto capitalista delle società europee e nord-americane. 

Allo stesso tempo però tali società furono attraversate da un crescente nazionalismo che rivalutò il concetto di confine in chiave rigida. L’esasperazione dell’irrigidimento dei confini sfociò nel primo conflitto mondiale, portando ad un divario netto tra internazionalizzazione dei confini economici e chiusura dei confini politici. Tale dicotomia risultò ancora più evidente nel primo dopoguerra: ad un’economia basata su prestiti incrociati tra grandi potenze faceva fronte un periodo di forte tensione geopolitica. Fu proprio questa interdipendenza e assenza di confini economici che permise il veloce espandersi della crisi del 1929 alla Repubblica di Weimar, creando così un ambiente fertile per l’ascesa del nazional-socialismo ed un conseguente nuovo irrigidimento dei confini. 

Nel secondo dopoguerra, alla crescente internazionalizzazione dei confini economici corrispose infine una maggiore internazionalizzazione dei confini politici in alcune aree del mondo, dando vita ad un periodo di pace e benessere senza eguali nella storia umana. Tale sviluppo si basa su un modello economico in cui merci, multinazionali e capitali si muovono su un piano mondiale mentre la maggior parte degli stati non è riuscita a raggiungere un livello di internazionalizzazione sufficiente per governare tali fenomeni. Se da un lato tale situazione ha permesso il rapido sviluppo economico alle aree più competitive del mondo, dall’altro ha provocato l’abbassamento del tenore di vita della classe media occidentale, generando un sentimento di smarrimento e frustrazione che ha influito sugli apparati democratici occidentali. 

Il mondo frastagliato e i confini discordanti

I confini politici, economici e sociali non hanno quindi di per sé una connotazione positiva o negativa: possono infatti sia permettere lo sviluppo di idee innovative in un ambiente protetto, sia dare vita a conflitti armati. Le tensioni maggiori si sviluppano nel momento in cui i tre tipi di confine sono discordanti, come nel primo Novecento, mentre i periodi di maggiore sviluppo coincidono con un sovrapposizione di tali confini, come nel secondo dopo-guerra. Il mondo di oggi si trova però frastagliato: alla globalizzazione dei confini economici corrisponde una divisione in macro-aree dei confini culturali e lo stato-centrismo più o meno marcato dei confini istituzionali e politici. 

Un tale stato di scostamento tra confini politici, economici e culturali, non permette di affrontare le sfide globali in maniera soddisfacente in quanto riduce la capacità di reazione delle organizzazioni internazionali, degli stati e degli individui. Nel contesto storico odierno una soluzione transitoria potrebbe risultare dal restringimento dei confini economici. Questo in parte è già accaduto all’indomani dell’epidemia di Covid-19 e si è accentuato con il conflitto in Ucraina. Una polarizzazione dei confini economici impatterebbe negativamente sulla crescita economica mondiale ma potrebbe essere un metodo efficace per prevenire conflitti di scala maggiore.

 width=Il Premio IAI è stato realizzato con il contributo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ai sensi dell’art. 23- bis del DPR 18/1967

Le posizioni contenute nel presente articolo sono espressione esclusivamente degli autori e non rappresentano necessariamente le posizioni del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale

L’autore è uno dei finalisti del Premio IAI “Giovani talenti per l’Italia, l’Europa e il mondo”. I loro saggi,sul tema “I confini in un mondo interconnesso” saranno pubblicati nelle collane editoriali dello IAI. I primi tre classificati avranno l’opportunità di discutere le proprie idee in un evento con personalità del mondo politico, culturale, scientifico, che si svolgerà a novembre.

Foto di copertina EPA/Wojtek Jargilo

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