In un recente progetto artistico, la cartografa Sabine Réthoré ha rovesciato di centottanta gradi la cartina del Mediterraneo invitando l’osservatore a un cambio di prospettiva su questo mare e le sue sponde.
Da questa prospettiva insolita il Mediterraneo ci appare come un mare chiuso, quasi un grande lago, le cui sponde potrebbero essere abitate da un unico popolo, o comunque da molti popoli strettamente legati tra loro. Questa percezione, che ci appare così lontana dalla nostra realtà odierna, si avvicina molto al modo in cui, in molti momenti della storia, i popoli del Mediterraneo concepivano e vivevano questo spazio.
Ad oggi, la sfida dell’Italia e dell’Europa è proprio quella di fornire risposte a un Mediterraneo frammentato. Un Mediterraneo diviso da confini invisibili, in particolare quello tra la sponda meridionale (dilaniata da crisi economiche e politiche che si intrecciano a conflitti armati) e la nostra sponda settentrionale che tentiamo a fatica di proteggere.
Riassumo qui di seguito le vulnerabilità del nostro paese, anche alla luce delle soluzioni ideate dall’attuale governo Meloni.
Patti fragili con controparti Nord-africane
Accordi con controparti politiche nel Nord Africa tesi a limitare flussi migratori provenienti da tali paesi (Tunisia, Libia, Egitto) e dalla regione del Sahel si mostrano efficaci, ma solo nel breve periodo. Tali accordi, stretti sulla base di relazioni personali tra rappresentati del governo italiano e leader nordafricani, hanno temporaneamente portato a una diminuzione dei flussi. Tuttavia, mettono l’Italia in una situazione di dipendenza da specifiche personalità che sono al potere in una certa congiuntura storica, ma la cui longevità non è ancorata in meccanismi istituzionali stabili. Il finanziamento diretto alla Tunisia per rinforzare la sua guardia costiera, o quello previsto dal memorandum Europa-Italia di Tunisi (giugno 2023) possono portare a risultati nel breve termine, come quello di una diminuzione delle partenze. Tuttavia, rischiano anche di rinforzare la rete clientelare del Presidente tunisino Kais Saied, indebolendo ancora di più l’efficienza amministrativa della Tunisia e la sua capacità di risollevare la sua economia.
Posizioni deboli su conflitti chiave
L’attuale governo ha lavorato molto sulla proposta di un Piano Mattei per l’Africa, potenzialmente volto a fornire delle risposte al problema migratorio attraverso il sostegno allo sviluppo in paesi pilota del Nord Africa e dell’Africa. Tuttavia, la mancata presa di posizione su conflitti chiave nell’area Mediterranea – in Sudan e soprattutto quello israelo-palestinese – suggerisce che al Piano Mattei non si affianca una riflessione sul posizionamento strategico del Paese nell’area. Un piano per lo sviluppo può aiutare la visibilità e la credibilità dell’Italia, ma in assenza di un’azione diplomatica e politica in queste stesse zone rischia di avere impatto e applicabilità limitati. L’Italia resta poi vulnerabile alle conseguenze di questi conflitti e la loro possibile espansione, soprattutto in un contesto di graduale disimpegno degli Stati Uniti dall’area. Il conflitto a Gaza ha già provocato una serie di altre crisi a cascata – la crisi del Mar Rosso che ha avuto un forte impatto su porti e commercio italiano – e rischia di espandersi verso il Libano dove l’Italia contribuisce alla missione UniFil. L’Italia ha lavorato sul dare risposte a singole crisi (si veda per esempio il comando italiano della missione europea Aspides nel Mar Rosso), ma manca di una visione strategica d’insieme capace di metterla al riparo dai loro effetti o che possa – insieme agli stati europei e gli Stati Uniti – aiutare a risolverle.
Un’Italia troppo lontana dall’Europa
L’Italia, anche attraverso il Piano Mattei, può aiutare l’Europa a ridefinire la sua politica verso le sponde meridionali del Mediterraneo e a introdurre un nuovo modo di fare diplomazia con il Sud del mondo. Tuttavia, per fare ciò, e per assicurare il successo del suo operato in Nord Africa e in Africa, deve investire nel coordinamento con altri Stati membri dell’Unione europea, collegando le proprie politiche al quadro che regola le relazioni Europa e Africa. Un maggiore coordinamento dell’Italia con l’Europa è poi condizione imprescindibile per definire il posizionamento strategico del Paese su conflitti chiave e fornisce accesso a finanziamenti necessari per portare avanti una politica verso l’Africa di più ampio respiro.
Le opportunità che si presentano al Paese per risolvere – o almeno limitare – le vulnerabilità strategiche sono le seguenti:
- Sviluppare una visione strategica per l’Italia sulla base di un più fluido scambio tra cariche governative che si occupano di politica estera (ministro degli Affari Esteri, Palazzo Chigi e ministro della Difesa), organi istituzionali della Farnesina e la sua Direzione MENA, e analisti con esperienza sul campo nella regione.
- Assumere una postura di ascolto verso i paesi dell’area Mediterranea, mantenendo attivi i canali di dialogo con una molteplicità di interlocutori. Molti dei paesi del Mediterraneo allargato fanno affidamento sull’Italia perché possa facilitare il dialogo tra paesi che sono in conflitto in questa regione, e possa più facilmente comprendere la posizione del sud del Mediterraneo e comunicarla al resto dell’Europa e dell’Alleanza Atlantica.
- Aiutare l’Europa a formulare una visione strategica capace di definire il suo ruolo in un ordine globale multipolare. Questa visione strategica non può scaturire dalle singole visioni degli stati europei, soprattutto se guidate da movimenti sovranisti, ma deve invece essere il risultato di una riflessione comune tra Stati membri e un potenziamento degli organi di politica estera comune.