Proponiamo di seguito tre brevi estratti di articoli pubblicati tra il 1989 e il 1992 su The International Spectator, la rivista in lingua inglese dell’Istituto Affari Internazionali, dedicati all’impatto interno e internazionale del nuovo corso della politica sovietica avviato da Mikhail Gorbaciov. La selezione dei testi è a cura di Leo Goretti, co-Editor di The International Spectator.
1989: la scommessa di Gorbaciov (di Roberto Aliboni-Gianni Bonvicini-Cesare Merlini-Stefano Silvestri)
Quando lo studioso sovietico Bogomolov, intervenendo il 30 gennaio 1989 all’Istituto Affari Internazionali, affermò che l’Urss era pronta ad accettare l’autonomia interna ed estera dei paesi dell’Europa Orientale, fu impossibile comprendere appieno fino a che punto le sue parole stavano anticipando gli eventi a venire.
La rivoluzione politica in atto nell’Europa Orientale, con la fine dell’egemonia dei partiti comunisti, è stata permessa ed in qualche misura incoraggiata da Gorbaciov, in un tentativo estremo di salvare l’economia e l’integrità nazionale dell’Unione Sovietica. […]
Il problema del pluralismo in Unione Sovietica, diversamente dai paesi dell’Europa Orientale, è di origine etnico-nazionale. Ma ha anche un fondamento politico: il Partito ha perso credibilità. È improbabile che questi due movimenti verso il pluralismo possano avanzare contemporaneamente senza portare al collasso incontrollato del sistema sovietico. È facile comprendere perché Gorbaciov stia provando a minimizzare le connessioni tra le riforme in Urss e la crisi internazionale. […]
La scommessa di Mikhail Gorbaciov è lasciare che gli eventi in atto negli ex Stati satellite del Patto di Varsavia facciano il loro corso, una volta rimossi i vincoli dell’egemonia sovietica, nella speranza che il vuoto politico risultante non venga occupato dall’Occidente […]
In breve, Gorbaciov sta cercando di evitare che lo sgretolarsi della vecchia sfera di influenza e di omogeneità politica ed ideologica del blocco sovietico interferisca con il mantenimento del sistema sovietico di alleanza e sicurezza.
1990: verso la fine dell’impero? (di Marco Carnovale)
La principale caratteristica del ‘nuovo pensiero’ [di Gorbaciov] negli affari interni sovietici è stata un tentativo di mobilitare il potenziale represso della popolazione permettendo un livello di partecipazione politica senza precedenti, cercando al contempo di mantenere un controllo centralizzato del processo in atto. In politica estera, il principale connotato del ‘nuovo pensiero’ è rappresentato dal riconoscimento esplicito (i) dell’insufficienza dei mezzi militari al fine di ottenere la sicurezza e del fatto che i legami politici ed economici sono quelli più importanti; (ii) dell’interdipendenza degli Stati nel campo della sicurezza. […]
Un tema importante per l’Occidente è se il ‘nuovo pensiero’ di Gorbaciov implichi, o richieda, la fine del carattere ideologico dello Stato sovietico […]
Può esistere l’impero russo se il comunismo viene abbandonato in favore della democrazia? La risposta è destinata ad essere negativa: un impero coercitivo dominato con la forza sarebbe incompatibile con i valori dell’umanesimo, dell’autodeterminazione e dello stato di diritto che sono la base del ‘nuovo pensiero’. Ma, quando Mosca rinuncerà allo strumento militare, non ci sarà nulla (di politico, ideologico, religioso o economico) a tenere insieme l’impero se non il libero arbitrio dei suoi componenti.
Potrà Gorbaciov, dopo essersi ritirato dall’Europa Orientale, sopravvivere alla disintegrazione dell’impero costruito dai russi sotto gli zar prima e sotto Stalin poi, al fine di realizzare la perestrojka? È possibile, ma è un’operazione destinata ad essere pericolosa. Indipendentemente dal risultato, c’è un dilemma ineluttabile tra unità e riforme, e una scelta definitiva tra le due deve ancora essere effettuata.
Se, come sembra essere plausibile, la scelta verrà fatta in favore del riformismo, come si dissolverà l’impero? Lo farà come l’impero britannico, con una ritirata relativamente elegante, o piuttosto come quello francese, con il centro in lotta per ogni centimetro di territorio? O ancora, assomiglierà alla dissoluzione dell’Impero ottomano, con un graduale ma inesorabile rimodellamento dei confini che alla fine ridurrà l’impero al suo nucleo etnico? O ci si limiterà a gestire un inevitabile declino verso l’oblio?
1991: la dissoluzione dell’Urss (di Marco Carnovale)
Molti studiosi, dentro e fuori l’Unione Sovietica, avevano da tempo lanciato l’allarme rispetto alla possibilità di un ritorno al potere dei conservatori supportato dalle forze armate, dal KGB, dalla burocrazia di stato e dall’apparato del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (CPSU), ovvero dai bastioni del potere sovietico tradizionale che più di tutti aveva da perdere dalle trasformazioni di Gorbaciov. […] Era stato precisamente a causa di questo pericolo che, a partire dal 1988, l’Occidente si era adoperato per rafforzare il peso politico e la carriera personale di Gorbaciov e assicurare che durasse il più a lungo possibile. Veniva lodato per la sua visione politica ed il suo grande coraggio, così come per i successi della sua politica estera. […]
Il supporto occidentale a Gorbaciov rappresentò un sostegno utile fino all’autunno/inverno del 1989/1990, ovvero finché Gorbaciov (nonostante la sua crescente impopolarità) riuscì a sostenere che non vi erano alternative al suo programma ‘centrista’ di riforma – una cosa che non si stancava mai di ripetere. In realtà, ancora nel 1989, un’alternativa c’era: la restaurazione del vecchio ordine, che la maggioranza delle persone – sia dentro che fuori l’Unione Sovietica – temeva. […] In tali circostanze, il supporto occidentale rafforzava l’influenza politica interna di Gorbaciov.
A partire dall’inverno del 1990, tuttavia, i successi in politica estera non furono più sufficienti a rallentare il collasso della popolarità e del sostegno interno a Gorbaciov. La perestrojka economica – il tentativo di tenere in vita il vecchio sistema comunista con iniezioni casuali di capitalismo – aveva chiaramente fallito. La nostalgia per il minimo essenziale garantito dal vecchio sistema stava crescendo fra le masse. Ma per la prima volta nella storia sovietica (o russa), un’alternativa alla restaurazione si delineava all’orizzonte: l’abbandono del comunismo, sostenuto da colui che stava rapidamente diventando l’uomo politico più popolare nel paese, Boris Eltsin.
Foto di copertina ARCHIVIO / ANSA / PAL