Estonia: i Mig russi, gli F-35 italiani ed una NATO più europea

La palese e grave violazione dello spazio aereo estone da parte di tre caccia russi rappresenta un altro passo nell’escalation perseguita da Mosca, a cui la NATO sta rispondendo in modo proporzionato e tramite un maggiore ruolo dei Paesi europei Italia inclusa per assicurare la deterrenza collettiva e dissuadere attacchi più gravi.

La grave escalation russa

Ben 12 minuti di sorvolo, non pochi per un velivolo a quella velocità, sul Golfo di Finlandia da parte di una formazione di tre Mig non possono essere considerati un errore da parte del Cremlino. L’azione deliberata fa parte di un’escalation perché non si tratta di un episodio isolato ed è più grave dei precedenti atti ostili. Già il 10 settembre una ventina di droni russi erano entrati nello spazio aereo della Polonia, tre dei quali abbattuti dalla difesa aerea e missilistica integrata NATO. In particolare, nei cieli polacchi avevano ingaggiato F-16 polacchi e F-35 olandesi, supportati da un velivolo di sorveglianza italiano e da altri assetti NATO, mentre i sistemi tedeschi di difesa missilistica Patriot erano entrati in stato di allerta. In quell’occasione la Polonia aveva attivato l’articolo 4 del Trattato di Washington, secondo il quale gli stati membri si consultano ogni volta che, per uno di essi, l’integrità territoriale, l’indipendenza politica o la sicurezza siano minacciate. Nonostante questa risposta NATO, il 14 settembre lo spazio aereo rumeno è stato violato da un altro drone russo Geran, intercettato dall’aeronautica rumena ma non abbattuto per evitare eventuali vittime civili in una zona abitata.

Rispetto agli episodi precedenti, quello di ieri è più grave perché compiuto da velivoli con pilota a bordo: il caccia ha maggiore valore militare e politico del drone, è più innegabile la sua appartenenza alle forze armate russe, e il rischio di escalation è più alto in caso di abbattimento e quindi ferimento o morte del pilota russo. Infine, la violazione dello spazio aereo estone è più grave proprio perché avviene dopo l’abbattimento dei droni russi da parte NATO e l’attivazione dell’articolo 4, che evidentemente non hanno dissuaso Mosca dal testare di nuovo e in modo così plateale la difesa alleata. Difesa che ha reagito in modo efficace e tempestivo, con la manovra di “scramble” eseguita dagli F-35 italiani supportati da velivoli finlandesi e svedesi.

L’air policing e la difesa aerea e missilistica integrata NATO

Sul versante alleato, la NATO pattuglia i cieli dei Paesi Baltici dal loro ingresso nell’alleanza nel 2004. È infatti prassi comune, ai fini della deterrenza e difesa collettiva, che gli stati più piccoli non dotati di una propria aeronautica – le Repubbliche Baltiche, ma anche Islanda, Slovenia o Montenegro – vedano la sicurezza del proprio spazio aereo nazionale protetta a turno dagli alleati maggiori, tramite le missioni di “air policing. La missione sui cieli baltici è stata rafforzata già nel 2014 a causa della prima invasione russa dell’Ucraina, e poi dopo il 2022 vista la guerra in corso ai confini di NATO e UE. Si tratta sia di un pilastro della postura militare di deterrenza e difesa collettiva, sia di un tangibile segno di solidarietà politica, in quanto velivoli britannici, francesi, italiani, tedeschi o di altri alleati sono presenti a rotazione dove è necessario in tutta Europa, dall’Islanda ai Balcani passando per il delicato fianco est.

Le aeronautiche più capaci, come quella italiana, si assumono la maggior parte degli oneri e dei rischi, impiegando la punta di diamante del combattimento aereo, ovvero i caccia Eurofighter e F-35. Ma il contributo degli alleati alla difesa aerea e missilistica integrata, in cui si colloca l’air policing, è più ampio e articolato. Esso comprende sistemi di sorveglianza aerea, comando, controllo e comunicazione, come il velivolo CAEW (Conformal Airborne Early Warning) italiano che ha supportato l’abbattimento dei droni russi, oltre a radar a terra, assetti spaziali ed un ventaglio di sistemi per la difesa anti-missile.

Data la geografia dell’Europa e la minaccia prima sovietica e poi russa, nel dominio aereo è maggiore che in altri l’interconnessione delle forze alleate nel comando militare integrato NATO, in particolare tramite l’air command con sede nella base tedesca di Ramstein, sin dal periodo della Guerra Fredda. Nei decenni la NATO ha quindi sviluppato strategie, dottrine, tattiche e procedure, ha predisposto basi e assetti, ha svolto regolarmente attività di addestramento, simulazione ed esercitazioni, in modo da assicurare sia la protezione dello spazio aereo alleato 24 ore su 24, sia una gestione di incidenti o attacchi che al tempo stesso mantenga una deterrenza efficace ed eviti escalation accidentali. Tale impianto politico-militare è alla base della decisione, volta per volta, di abbattere o meno i droni russi in Polonia o in Romania, o di non colpire i velivoli pilotati di Mosca che sconfinano in Estonia.

L’approccio NATO è costantemente sottoposto a controllo e revisione tramite le strutture diplomatiche e politiche dell’Alleanza, fino al Consiglio Nord Atlantico convocato da Varsavia e Tallinn dopo le incursioni russe di settembre. Tutto ciò assicura un certo coordinamento tra gli alleati, che evita sia pericolose fughe in avanti da parte di chi è più direttamente minacciato, sia che ci si tiri indietro di fronte al pericolo degli alleati geograficamente e/o politicamente più lontani dalla minaccia.

Una NATO coesa e più europea

Nelle scorse settimane l’apparato politico-militare NATO ha reagito alle incursioni russe piuttosto bene, nonostante le tensioni e i dubbi sull’impegno americano nella sicurezza euro-atlantica generati dall’amministrazione Trump. Gli F-35 italiani e olandesi che sono intervenuti in Estonia e Polonia hanno infatti agito nel quadro del comando militare integrato NATO, che vede presenti e attivi assetti, tecnologie e personale statunitense – compreso il comandante supremo delle forze NATO, nonché delle forze americane in Europa, il generale Alexus G. Grynkewich, nominato dall’amministrazione Trump e in carica da appena due mesi. Dopo l’abbattimento dei droni russi in Polonia, gli alleati hanno lanciato l’attività Eastern Sentry con ulteriori mezzi aerei e navali inviati da Danimarca, Francia e Germania in Europa orientale per la difesa dello spazio aereo alleato.

A livello politico, l’amministrazione Trump non si è discostata dalle condanne pubbliche delle incursioni russe da parte dei vertici NATO, dei Paesi alleati e dei rappresentanti UE, trasmettendo disappunto per l’escalation di Mosca a fronte dei tentativi diplomatici dell’amministrazione Trump per una pace in Ucraina. Poiché le violazioni dello spazio aereo dei Paesi NATO non hanno portato a vittime o distruzioni, gli alleati hanno ritenuto di non invocare l’articolo 5 sulla difesa collettiva, attivato dal 1949 a oggi solamente dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001 contro gli Stati Uniti, ma piuttosto l’articolo 4, che già in altre circostanze era stato usato per rispondere adeguatamente in termini politico-diplomatici e inviare un messaggio di coesione e solidarietà. Sembra dunque tenere l’accordo politico raggiunto al vertice dell’Aia dello scorso giugno: maggiori investimenti europei nelle proprie forze armate a fronte dell’impegno politico-militare statunitense in una NATO regionale e monotematica, concentrata sulla deterrenza e difesa collettiva dell’Europa rispetto alla Russia.

In questo contesto, le incursioni russe delle scorse settimane hanno visto nella risposta alleata un ruolo maggiore della componente europea dell’alleanza atlantica. In Estonia sono intervenuti i caccia italiani, finlandesi e svedesi, e in Polonia i velivoli dell’Olanda e dell’Italia, mentre i rinforzi sul fianco est decisi nel quadro di Eastern Sentry sono danesi, francesi e tedeschi. Si tratta di passi importanti, che si sommano a quelli compiuti con le forze multinazionali terrestri attualmente schierate negli otto Paesi del fianco est: solo una è a guida americana, mentre le altre sette sono guidate dagli alleati europei – l’Italia ha il comando in Bulgaria – e dal Canada.

Questi e altri elementi dovrebbero essere messi a sistema in un pilastro europeo della NATO più ampio, solido e coeso, a livello sia militare che di leadership politica nell’Alleanza, in grado di compensare la possibile, parziale riduzione delle forze convenzionali americane in Europa nel breve o medio termine. L’obiettivo è mantenere credibile ed efficace la deterrenza collettiva e evitare così attacchi russi ben più gravi di quei 12 minuti di volo dei Mig nel cielo estone.

Responsabile del Programma "Difesa, sicurezza e spazio" dell’Istituto Affari Internazionali. Dal 2018 è anche docente presso l’Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze (ISSMI) del Ministero della Difesa italiano. E' stato mentor presso il NATO Defense College, e dal 2016 è membro del comitato scientifico del Armament Industry European Research Group (Ares Group).

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