L’eredità controversa di Mikhail Gorbaciov

William Taubman, autore di un’importante biografia del leader sovietico, ha chiamato Mikhail Gorbaciov un “eroe tragico”. In effetti, la sua parabola umana e politica lo fa sembrare l’uomo dei paradossi, una figura enigmatica che ha messo in moto processi di cambiamento che poi non è riuscito a indirizzare nella direzione auspicata. I cambiamenti innescati da Gorbaciov hanno interessato soprattutto tre ambiti: il sistema internazionale, l’Europa, l’Unione sovietica.

Un “nuovo pensiero” per una nuova sicurezza collettiva

Il principale cambiamento nel sistema internazionale è rappresentato indubbiamente dalla fine della guerra fredda e della competizione bipolare. Proprio per il successo del suo progetto riformatore Gorbaciov si era reso conto di avere bisogno di un quadro di distensione con l’Occidente e annunciò “un nuovo modo di pensare” per la politica estera sovietica, basato sull’interdipendenza dei problemi, la de-ideologizzazione delle relazioni internazionali, il rifiuto dell’uso della forza come strumento di politica estera. L’annuncio del ritiro sovietico dall’Afghanistan e le iniziative per il disarmo, che sfoceranno nel 1987 nel trattato INF con Washington per l’eliminazione dei missili intermedi stazionati in Europa, sono stati i primi segnali dell’avvio di una nuova fase nelle relazioni internazionali. Negoziati per costruire meccanismi di sicurezza collettiva al posto di un rapporto conflittuale con l’Occidente.

Nel discorso pronunciato il 6 luglio 1989 all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa a Strasburgo, oltre a indicare il progetto della casa comune per il futuro dell’Europa, affermò che ogni tentativo di limitare la sovranità degli Stati era inammissibile. Era la fine di fatto della dottrina Breznev, che aprì la strada a istanze di libertà a lungo soppresse nei paesi del blocco sovietico.

La fine della guerra fredda

Nel giro di poco tempo il processo politico che lui stesso aveva messo in moto finirà per travolgere tutti i regimi del blocco sovietico, portando allo scioglimento del Patto di Varsavia e alla dissoluzione della stessa Unione sovietica nel dicembre 1991. A Gorbaciov e alla sua personalità, è stata addossata tutta la responsabilità della sconfitta dell’Urss e di avere perso la guerra fredda.  Una lettura parziale, che non tiene conto del fatto che la sfida della guerra fredda durante gli anni Settanta e Ottanta, con i massicci investimenti dell’Occidente in tecnologia e ricerca, aveva già assegnato un vantaggio incolmabile agli Stati uniti. Come ha osservato l’ambasciatore Richard Burt, negoziatore americano nel 1991 del trattato START1, “la Guerra Fredda l’ha persa Breznev non Gorbaciov”.

Ḕ in Europa, con l’abbattimento del muro di Berlino e della cortina di ferro che tagliava in due il vecchio continente, che si ebbe il cambiamento più radicale. Accolto all’inizio quasi con cautela dagli Stati uniti: il presidente americano George Bush disse “ non danzeremo sul muro di Berlino”, un atteggiamento che rifletteva la scelta di non umiliare il leader del Cremlino. L’accelerazione impressa dal cancelliere tedesco Kohl all’unificazione tedesca cambiò tempi e modi dell’uscita dell’Europa dalla guerra fredda, rivelando anche la debolezza delle carte in mano a Gorbaciov.

Il mito della “promessa tradita”

Nel momento in cui aveva bisogno dell’aiuto economico degli occidentali per sostenere il suo progetto riformatore, finì per accettare l’impostazione statunitense che l’unità tedesca dovesse avvenire all’interno del quadro atlantico, salvaguardando il ruolo della Nato nel nuovo scenario di sicurezza europeo. L’assicurazione data dal Segretario di Stato Baker nel febbraio 1990 agli interlocutori sovietici che la Nato non si sarebbe estesa “One Inch East dal confine tedesco non fu tradotta in impegno formale, e ha portato a creare il mito della “promessa tradita”. Nel 1990 le informali assicurazioni occidentali furono date quando esisteva ancora il Patto di Varsavia, cosa che rendeva difficile pensare a un’estensione della Nato. La discussione dell’espansione non era in agenda e questo fu ciò che l’amministrazione Bush disse a Gorbaciov.

L’occasione mancata della “casa comune europea”

La disintegrazione del sistema sovietico nell’Europa dell’Est favorì il processo di integrazione dell’Europa occidentale, e il passaggio dalla Comunità economica europea all’Unione europea con il trattato di Maastricht del febbraio 1991. In prospettiva si delineava l’allargamento della nuova Europa ai paesi centro-orientali. La proposta di una casa comune europea messa sul tavolo da Gorbaciov di fatto fu ignorata dagli altri europei, e sopraffatta dalla volontà dei nuovi governi dei paesi dell’Est europeo, attratti dal dinamismo economico del processo di integrazione europea, di entrare nella Comunità e nella NATO. Nelle capitali europee la perestrojka appariva sempre più come il tentativo di arrestare il declino dell’impero sovietico, e non una credibile strategia per realizzare il difficile compito di riformare il sistema.

Ci si può tuttavia chiedere se non si sia persa l’occasione di definire con una Russia collaborativa, la Russia di Gorbaciov, una soluzione pan-europea. Non essere riusciti a trovare il modo di ancorare la Russia all’Europa, con una nuova architettura di sicurezza europea, è probabilmente una delle principali occasioni perse della fine della guerra fredda.

La riforma incompiuta

Infine, nell’Unione sovietica, Gorbaciov con perestrojka e glasnost ha introdotto riforme economiche, politiche, costituzionali che nelle sue intenzioni dovevano modernizzare e democratizzare il sistema. Più libertà e diritti civili hanno significato anche apertura culturale, si potevano leggere gli autori prima proibiti – Pasternak, Solgenitsin – mentre si chiusero i gulag e Sacharov fu liberato dall’esilio interno. Al leader del Cremlino, che voleva riformare il sistema e non distruggerlo, mancò la volontà di forzare la resistenza della nomenklatura, dell’apparato militare e industriale, legato alle logiche della guerra fredda.

Le sue riforme incompiute hanno destabilizzato il vecchio sistema dell’economia centralizzata senza riuscire a creare un’economia di mercato. I russi potevano consumare, spendere, ma sul mercato non vi erano beni. Questo spiega le lunghe code, la penuria e la sensazione del peggioramento del tenore di vita della popolazione che molti ricordano ancora oggi e rimproverano alle riforme gorbacioviane.

La scelta di Gorbaciov di non interferire nella transizione verso la democrazia nei paesi dell’Europa dell’Est, e la sua avversione all’uso della forza, sia in politica estera che interna, resta il suo lascito principale. Da cui si è drammaticamente allontanata la Russia di Putin.

Foto di copertina EPA/MAXIM SHIPENKOV

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