Cosa sapere sulle elezioni in Turchia

Il 14 maggio, si svolgeranno in Turchia le elezioni generali (presidenziali e parlamentari) in quella che molti analisti hanno definito la tornata elettorale più importante della storia del Paese. A pochi mesi dal primo centenario della Repubblica di Turchia (fondata nell’ottobre del 1923), l’attuale presidente, Recep Tayyip Erdogan, rischia infatti di dover lasciare la carica di capo di stato dopo nove anni e venti in totale come personalità politica più importante del Paese, considerando le diverse cariche da premier. 

Al momento, a far pendere la bilancia in favore dell’opposizione sarebbero la crisi economica e la questione del terremoto di febbraio, che hanno messo in luce la corruzione e l’inefficienza del governo. 

Il sistema elettorale turco

Domenica dalle urne uscirà non solo il nome del prossimo presidente turco ma anche la composizione della Grande Assemblea Nazionale Turca, il parlamento composto da 600 deputati eletti per un mandato di cinque anni.

Il presidente della Turchia viene eletto tramite suffragio universale per un mandato di cinque anni. Secondo la Costituzione, la carica viene affidata al candidato che ottiene la maggioranza assoluta dei voti (50%+1). Nel caso nessuno dei candidati riesca a superare tale soglia al primo turno, è previsto un ballottaggio tra i due principali (che raccolgono il maggior numero di voti nella prima tornata). 

Per quanto riguarda le parlamentari, i 600 deputati vengono eletti tramite un sistema elettorale proporzionale negli 87 distretti del Paese. I seggi vengono distribuiti tra i partiti e le coalizioni con il metodo D’Hondt: i voti raccolti vengono divisi ripetutamente per un numero crescente di unità fino al raggiungimento del numero di seggi del distretto, che vengono assegnati in ordine decrescente al termine del processo. Tuttavia, per entrare in Parlamento, i partiti o le coalizioni devono superare la soglia di sbarramento del 7% su scala nazionale.

Il duello presidenziale Erdogan-Kilicdaroglu

L’attenzione è rivolta soprattutto alle elezioni presidenziali, i cui candidati principali sono Erdogan e Kemal Kilicdaroglu. L’attuale presidente, a capo del Partito della Giustizia e dello Sviluppo (Adalet ve Kalkınma Partis, AKP), conservatore a trazione religiosa, corre per il suo terzo mandato. 

Nonostante il limite di due mandati sancito dalla Costituzione, a Erdogan è permessa la partecipazione in quanto il suo primo mandato risale al 2014 – prima della riforma costituzionale del 2017 – e non viene quindi considerato nel conteggio. Il presidente uscente può contare sul voto di gran parte dell’elettorato conservatore e religioso, nonostante l’alleato di sempre, il Partito del Movimento Nazionalista (Milliyetçi Hareket Partisi, MHP), abbia deciso di correre per la presidenza con un proprio candidato, Sinan Ogan, decidendo di sostenere Erdogan unicamente nel caso si arrivi al ballottaggio.

Lo sfidante principale, Kilicdaroglu, è invece il leader del Partito Popolare Repubblicano (Cumhuriyet Halk Partisi – CHP), erede del kemalismo, di centro-sinistra e laico. Kilicdaroglu risulta il candidato comune della principale coalizione di opposizione sia alle presidenziali sia alle parlamentari: il cosiddetto “Tavolo dei Sei”, che conta sui quattro partiti dell’”Alleanza della Nazione” e su altre due formazioni politiche fuori dalla coalizione ma che hanno pubblicamente sostenuto la candidatura. Oltre al CHP, infatti, partecipano alla coalizione il “Buon Partito” (Iyi Parti, IYI), nazionalista, il Partito della Felicità (Sadeet Partisi, SP), conservatore e religioso, e il Partito Democratico (Demokrat Parti, DP), liberale. Il sostegno extra-coalizione viene invece dal Partito della Democrazia e del Progresso (Deva) e il Partito del Futuro (GP), entrambi di centro-sinistra.

Il Tavolo dei Sei si presenta come un’alleanza politica formata da partiti eterogenei a livello ideologico e di visione del Paese, con l’obiettivo di sconfiggere Erdogan come unico collante. Nei mesi passati, la coalizione ha rischiato di sciogliersi a causa della scarsa popolarità di Kilicdaroglu, soprattutto agli occhi di Meral Aksener, presidente della seconda forza della coalizione, IYI. L’accordo finale è giunto a marzo, quando le forze si sono trovate sulla scelta dell’attuale candidato congiunto a patto che, in caso di vittoria, vengano nominati vice-presidenti Ekrem Imamoglu e Mansur Yavas (entrambi del CHP), sindaci rispettivamente di Istanbul e Ankara, giudicati più popolari e carismatici rispetto a Kilicdaroglu, sulle cui spalle gravano diverse sconfitte politiche e un’età non indifferente (75 anni).

Secondo le principali agenzie che hanno raccolto dati nelle ultime due settimane (Euronews, AR-G Arastirma, GEHSC, 600Vekil), si tratta di un testa a testa: lo sfidante Kilicdaroglu sarebbe leggermente in vantaggio nelle intenzioni di voto con una percentuale di preferenze che va dal 46 al 49% dei voti, mentre Edogan rimane tra il 43 e il 47%: nessuno oltre il 50%. I candidati minori, Muharrem Ince del Partito della Patria (Memleket Partisi, MP) e Onan (MHP) dovrebbero raccogliere circa il 2% e il 3%, rispettivamente. 

Se queste previsioni dovessero rivelarsi vere, si arriverebbe al ballottaggio, previsto per il 28 maggio, con un vantaggio tutt’altro che largo per Kilicdaroglu. Il numero degli indecisi è ancora alto e potrebbe influenzare drasticamente i risultati. Come sottolineato nelle ultime ore da JamesInTurkey, sito che si occupa di politica turca, il momentum è a favore dell’opposizione e Kilicdaroglu potrebbe addirittura vincere al primo turno superando di poco il 50% dei voti.

Il peso della “Terza coalizione”

I rapporti di forza alle parlamentari risultano invece più equilibrati, dal momento che l’AKP di Erdogan si presenterà all’interno della coalizione di destra “Alleanza popolare”, che oltre all’AKP vede la partecipazione del MHP. Le principali agenzie (AR-G Arastirma, Ivam) vedono la coalizione di destra in vantaggio con un numero di preferenze che va dal 41% al 48%. L’Alleanza della Nazione, invece, viene collocata tra il 37% e il 44% delle preferenze. Tuttavia, nel caso i restanti partiti del Tavolo dei Sei (fuori dall’Alleanza della Nazione per le parlamentari) superassero la soglia di sbarramento, sarebbero in grado di rafforzare il fronte anti-Erdogan alleandosi con l’opposizione. Rimane in dubbio il ruolo della terza coalizione, l’ “Alleanza del Lavoro e della Libertà” che secondo le previsioni otterrà il 12-13%. 

L’Alleanza del Lavoro e della Libertà è formata dal Partito della Sinistra Verde (Yesil Sol Partisi, YSP), ecologista e libertario, dal Partito del movimento dei Lavoratori (Emekci Hareket Partisi, EHP), socialista, dal Partito della Libertà Sociale (Toplumsal Ozgurluk Partisi, TOP), socialdemocratico, e dai principali volti del Partito Democratico dei Popoli (Halkların Demokratik Partisi, HDP), socialdemocratici e filo-curdo. Tale coalizione è considerata da molti l’ago della bilancia a favore dell’opposizione, dal momento che una sua alleanza con la destra erdoganiana è impossibile. Tuttavia, a causa di rivalità ideologiche e storiche con alcuni partiti dell’opposizione è possibile che si presenti come un terzo blocco indipendente all’interno del Parlamento.

L’HDP ha preso due storiche decisioni: da un lato non si presenta alle presidenziali per evitare di togliere voti all’opposizione; dall’altro correrà alle parlamentari sotto il simbolo del YSP con i propri politici più in vista. Infatti, l’HDP rischia la chiusura per il cosiddetto “Kobani Case”, un processo aperto nei confronti del partito per favoreggiamento di terrorismo. La scelta di citare in giudizio l’HDP fu accolta con favore dai partiti dell’attuale opposizione, andando ad aumentare il solco ideologico che tutt’oggi li separa dalle forze più radicali dello scenario politico turco.

Violenze, censure e arresti

Se l’attuale scenario politico turco appare particolarmente polarizzato, ciò aumenta la tensione nazionale e internazionale sullo svolgimento delle elezioni. Diverse voci dell’opposizione hanno denunciato irregolarità e repressioni da parte delle forze filo-Erdogan. Il Tavolo dei Sei ha denunciato un trattamento impari a livello di tempo concesso dalle principali emittenti televisive e radiofoniche nel periodo di campagna; mentre l’HDP ha denunciato l’arresto di avvocati, giornalisti e politici, molti dei quali ancora detenuti. 

A gettare benzina sul fuoco, le dichiarazioni dell’entourage di Erdogan. Diverse voci del governo, infatti, hanno parlato di “colpo di Stato elettorale orchestrato dall’Occidente” o hanno sostenuto i mai provati legami tra l’estrema sinistra del Paese e il PKK. In un clima del genere, diversi osservatori internazionali hanno sollevato dubbi sulla regolarità delle elezioni – con la questione delle popolazioni terremotate del sud-est del Paese che in quanto sfollate non possono votare nei propri distretti – e sull’eventuale passaggio di potere nel caso Erdogan perda. 

Articolo a cura di Enrico La Forgia, caporedattore SWANA e vicedirettore de Lo Spiegone

Foto di copertina EPA/SEDAT SUNA

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