Elezioni in Iran: vince il boicottaggio del voto

di Enrico la Forgia, vicedirettore Lo Spiegone, e Viola Pacini, caporedattrice MENA

Venerdì 1 marzo si sono svolte in Iran le elezioni valide per l’Assemblea Consultiva Islamica, organo con funzioni legislative, e l’Assemblea degli Esperti dell’Orientamento, con funzioni più religiose e clericali.

Nonostante i risultati siano abbastanza scontati, con i principalisti (ovvero i conservatori) in netto vantaggio rispetto ai riformisti, queste elezioni rimangono un valido termometro politico per interpretare gli umori politici del Paese, soprattutto per quanto riguarda i giovani. Di fatto, queste erano le prime elezioni a svolgersi dopo l’ondata di proteste scatenata dal femminicidio di Jina “Mahsa” Amini, la 23enne curdo-iraniana uccisa dalla polizia morale nel settembre del 2022 per aver “indossato male” il velo.

Il sistema elettorale iraniano per i due organi “democratici”

Gli iraniani sono stati chiamati a votare per i due organi rappresentativi del Paese: l’Assemblea Consultiva Islamica, ovvero il Parlamento, e l’Assemblea degli Esperti dell’Orientamento. Potevano recarsi alle urne tutti i cittadini che hanno compiuto la maggiore età e godono dei diritti politici.

Nel caso del Parlamento, i seggi sono 290, di cui 5 riservati alle minoranze del Paese – ovvero ebrei, cristiani caldei, cristiani assiri, zoroastriani e armeni, che votano i propri rappresentanti in maniera distinta. I restanti 285 seggi sono divisi tra le 196 circoscrizioni, divise in due diverse tipologie collegiali.

I collegi uninominali sono caratterizzati da un sistema maggioritario a doppio turno con voto limitato (un’unica preferenza esprimibile), in cui i candidati devono superare almeno il 25% delle preferenze nel primo turno per venire eletti. I collegi plurinominali prevedono invece un sistema maggioritario con voto illimitato. Ogni elettore ha tanti voti quanti il numero di seggi disponibili, che vengono quindi assegnati ai candidati con più preferenze fino all’esaurimento. Anche in questo caso, è necessario superare la soglia del 25% delle preferenze per venire eletti.

Qualora rimangano dei seggi vacanti per mancato raggiungimento del quorum minimo, viene organizzato un secondo turno di votazioni con il doppio dei candidati rispetto al numero di posizioni da coprire. Quale organo legislativo, l’Assemblea Consultiva Islamica ha il compito di discutere, approvare e respingere le leggi.

L’Assemblea degli Esperti dell’Orientamento

L’Assemblea degli Esperti dell’Orientamento è un organo composto da 88 mujtahid, ovvero figure con alte competenze religiose e legislative autorizzate a interpretare la legge islamica senza doversi basare su sentenze precedenti.

Vista l’età e lo stato di salute dell’attuale ayatollah Ali Khamenei (classe 1939), l’assemblea sembra ricevere più attenzione rispetto al Parlamento, in quanto è anche l’organo che si esprime sulla successione alla carica di Guida Suprema della Repubblica islamica, il capo dello Stato iraniano. I mujtahid vengono nominati per elezione diretta del popolo (votano tutti gli aventi diritto) per un mandato della durata di 8 anni.

Va sottolineato che i candidati all’Assemblea degli Esperti devono essere approvati dal Consiglio dei Guardiani, il quale ha scartato la maggior parte di coloro che si erano presentati quest’anno, approvandone solo 15.200 su circa 50.000. Inoltre, i membri dell’Assemblea degli Esperti che vincono le elezioni devono ricevere il consenso dall’ayatollah prima di entrare pienamente nelle proprie funzioni. Un meccanismo che lascia pochi dubbi sull’indipendenza dei mujtahid.

Un dato importante è che all’ex presidente Hassan Rouhani, definito l’uomo dei liberali moderati, è stato impedito di candidarsi, mentre solo 30 riformisti sono riusciti a strappare l’approvazione del Consiglio dei Guardiani, sintomo di un organo ormai quasi completamente pilotato dal clero, dall’ayatollah stesso e, in generale, dalle frange islamiste più conservatrici del Paese.

L’affluenza alle urne come dato più significativo

Il risultato più significativo è la bassissima affluenza alle urne. Se i vertici di Stato temevano di venire delegittimati con un’affluenza inferiore al 40% – come nelle elezioni precedenti alla Rivoluzione islamica del 1979 -, l’affluenza è comunque andata molto vicina alla fatidica soglia d’epoca monarchica, fermandosi intorno al 41%.

Tuttavia, è da evidenziare come l’affluenza sia in caduta libera dalle elezioni del 2016, quando si superò il 60% di affluenza sulla scia dell’accordo sul nucleare e le concessioni economiche da parte occidentale. Il ritiro degli Usa dall’accordo stesso e la crisi economica fecero poi crollare l’affluenza al 43-44% nel 2020, ed è presumibile che l’ondata di proteste del 2022 e l’acuirsi della crisi abbiano spinto ancora più in basso la partecipazione popolare.

Secondo una raccolta di sondaggi incrociati e analizzati dal Middle East Institute, vi è una spaccatura nella partecipazione tra gli iraniani over 60 e gli under 30 (che costituiscono oltre il 40% della popolazione). Risulta infatti che solo il 24% dei giovani in tale fascia di età avrebbe votato, contro il 34% a livello nazionale e l’oltre 50% degli iraniani over 60.

Le mosse del regime e la risposta popolare

Come da prassi, lo Stato ha annunciato di tenere aperte le urne anche dopo la scadenza del termine per votare. Ufficialmente, questa estensione avrebbe dovuto permettere alle presunte lunghe code fuori dai seggi di esprimersi, ma in realtà è servita per rosicchiare qualche punto percentuale all’affluenza e mantenere un minimo di parvenza di legittimità.

Un altro esempio di manovra tesa a legittimare i candidati è stata l’elezione all’Assemblea degli Esperti di Ebrahim Raisi, l’attuale Presidente del Paese, che si è assicurato per la terza volta un seggio con oltre l’82% dei voti dalla provincia del Khorasan meridionale. Inizialmente non vi erano altri candidati alla medesima posizione, perché il Consiglio dei Guardiani aveva depennato tutti i possibili avversari. Tuttavia, è stato presentato all’ultimo minuto un concorrente fantoccio, il quale ha modificato il proprio distretto di appartenenza per concorrere contro Raisi.

La bassissima affluenza alle urne e i trucchi che il governo ha dovuto adottare per infondere una parvenza di legittimità alle elezioni sono il sintomo di qualcosa di più profondo: una generale sfiducia verso i vertici del potere.

Le frange meno conservatrici della popolazione, in particolare i più giovani, hanno percepito queste elezioni come una misura cosmetica da parte di un regime che ha deluso le aspettative dei propri cittadini, fallendo nei compiti di migliorare le condizioni economiche e lavorative del Paese e garantire le libertà personali. La stessa coalizione del Fronte Riformista non ha presentato candidati, definendo il processo elettivo insensato e ineffettivo. Anche l’ex Presidente Mohammad Khatami, di orientamento riformista, ha boicottato il voto.

Un regime insicuro?

Abas Aslani, ricercatore presso il Centre for Middle East Strategic Studies di Ankara, ha visto in queste elezioni non solo un esempio dell’insoddisfazione dei cittadini, ma anche un sintomo dell’insicurezza da parte del regime. Nonostante abbiano in pugno il Parlamento, l’esecutivo e il sistema giudiziario, i conservatori devono prepararsi alle elezioni presidenziali previste per il prossimo anno, i cui risultati, a questo punto, non possono essere dati per scontati.

La scarsa fiducia nei confronti dell’Assemblea degli Esperti e del clero in generale, inoltre, aggiunge un punto interrogativo in più sulla successione alla carica di ayatollah, viste le condizioni di Ali Khamenei. Quando verrà il momento, l’Assemblea degli Esperti sarà in grado di leggere gli umori del Paese e optare per figure più popolari e “progressiste” o proseguirà sulla linea ultra-conservatrice tracciata dall’attuale Guida Suprema?

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