Non solo droni: l’industria militare dell’Iran in espansione

L’appoggio esplicito dell’industria militare iraniana all’invasione russa dell’Ucraina è noto dallo scorso autunno, quando per la prima volta sono stati avvistati nelle zone di conflitto munizioni circuitanti, noti alla stampa come “droni kamikaze”, di tipo Shahed-131 e Shahed-136 (o Geran-1 e Geran-2 per i russi), così come droni da ricognizione e intelligence Mohajer-6. Nonostante questi sistemi fossero già noti alle cronache a causa di altri eventi, come gli attacchi alle infrastrutture energetiche saudite e alle basi americane in Siria (anche per mano degli Huthi), l’entrata in azione dei droni multifunzioni e di munizioni circuitanti nel conflitto europeo ha generato riflessioni in Occidente sull’effettiva capacità di produzione bellica iraniana. Teheran, oltre ad equipaggiare l’esercito russo con i diversi modelli di droni, rifornisce la potenza euroasiatica con vari assetti militari e ne istruisce i soldati sulle tecniche e modalità di utilizzo. Si pensa che gli iraniani abbiano perfino accettato di garantire in futuro forniture di munizioni circuitanti Arash2 e missili balistici a corto raggio Fateh-110 e Zolfaghar, approfittando della fine dell’embargo vigente del JCPOA, fissata per ottobre 2023, e di quello delle Nazioni Unite sull’export di armamenti, scaduto nel 2020. 

Il sistema dei semiconduttori

Per quanto la questione in ambito difensivo rimanga di estrema importanza, l’ulteriore notizia del ritrovamento da parte delle forze ucraine di ingenti quantità di componenti elettroniche occidentali all’interno dei droni iraniani ha destato preoccupazioni per quanto concerne il mercato internazionale dei semiconduttori. Gran parte delle componenti rinvenute nei droni usati in guerra, infatti, proviene per lo più da aziende americane: dei tre modelli esaminati, il think tank Conflict Armament Research stima che l’82% provenga da tredici compagnie statunitensi specializzate (tra cui Analog Devices Inc., NXP USA Inc., Hemisphere GNSS e Texas Instruments), mentre il restante è riconducibile a Canada, Giappone, Svizzera, Cina e Taiwan. Si pone dunque il complicato quesito di come queste componenti siano arrivate al sistema militare iraniano, aggirando l’embargo sui prodotti ad uso militare imposto sul paese dalla Risoluzione 2231 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.

Con grande probabilità, le medesime aziende non sono direttamente responsabili della vendita dei propri prodotti a clienti iraniani. Più plausibilmente, una volta che il prodotto attraversa più transazioni, passando da rivenditori maggiori a quelli minori, i controlli si fanno meno stringenti, risultando nell’impossibilità di determinare effettivamente chi sia il compratore che si celi dietro la transazione finale. La natura dual-use degli stessi chip, inoltre, rende il tutto ancora più problematico: le componenti elettroniche sono articoli facilmente reperibili sul Web, altamente compatibili con svariate tipologie di apparecchiature e relativamente economiche. I compratori provenienti dall’ambito militare rappresentano solamente una piccola porzione dell’intero mercato, determinandone quindi il diffuso uso commerciale. Non da ultima, la dimensione dei chip rende il loro trafugamento un ulteriore fattore di rischio, come dimostrato dal caso di una donna cinese nel 2022.

Un ruolo rilevante nell’industria militare

Nell’ottica iraniana, questo tipo di dinamica non risulta di certo illogica, né tantomeno nuova. Attraverso una prospettiva storica, risulta semplice intendere le necessità strategiche di un’industria bellica che soffre di profonde carenze. Negli anni ‘70 lo Shah di Persia investì miliardi di dollari per l’acquisizione di equipaggiamenti militari americani, inclusi carrarmati, elicotteri e jet (di cui alcuni esemplari tutt’ora presenti nell’arsenale iraniano). A seguito della rivoluzione e del conseguente scoppio della guerra con l’Iraq, questi sistemi necessitavano disperatamente di pezzi di ricambio non più accessibili a causa del conflitto politico con gli Stati Uniti. Gravata dalle sanzioni economiche e dell’embargo internazionale, l’industria militare iraniana ha dovuto perseguire domesticamente le proprie prerogative. L’assetto industriale iraniano è stato completamente riorganizzato dalla Guardia Rivoluzionaria Islamica, la quale, puntando in particolare sulla produzione missilistica, è riuscita ad espandere enormemente la capacità bellica del paese.

Coi decenni Teheran ha sviluppato sistemi ed infrastrutture per eludere le sanzioni, riuscendo a disporre di un accesso regolare al mercato dei semiconduttori e di astute tecniche di spionaggio industriale (spesso congiuntamente a Cina e Russia), fornendo al proprio ecosistema di difesa precisi modelli tecnici su cui basare i propri prototipi. Ne sono esempio i motori utilizzati per i droni, per elencarne alcuni: negli Shahed-136, una riproduzione cinese dei Limbach 550e; negli Shahed-131, una rivisitazione della compagnia iraniana MADO del modello MDR-208, motore cinese che a sua volta ricalca l’inglese AR731; nei Mohajer-6, un Rotax 912, motore originale austro-canadese popolare nell’aviazione civile. Sebbene i prodotti iraniani non possano comunque competere qualitativamente con quelli occidentali, la teocrazia sciita è riuscita a ritagliarsi un importante ruolo nel mercato bellico globale, quello di produttore di armamenti a basso costo.

La risposta occidentale elaborata durante gli ultimi mesi è stata quella di proporre ulteriori round di sanzioni economiche. Sarebbe invece imperativo, oltre ad estendere la validità dell’embargo sugli armamenti, districare e smantellare sistematicamente la complessa rete di trasferimenti tecnologici alla base del programma industriale iraniano, esponendo i legami di Teheran all’interno del mercato globale ed identificandone le potenziali zone grigie in cui operino compagnie e rivenditori. Mentre l’Iran è di fatto divenuto un attore capace di barcamenarsi tra le mancanze e problematiche di un’economia pesantemente sanzionata, l’unica soluzione per minare i suoi obiettivi bellico-industriali risiede alla base del network che li nutre.

Foto di copertina EPA/IRANIAN ARMY OFFICE HANDOUT

Ultime pubblicazioni