Cosa sapere sul voto in Spagna

Se è vero che tutta l’Europa sta attraversando un’ondata di calore senza precedenti, in Spagna la temperatura è, se possibile, ancora più alta – e non solo dal punto di vista climatico. Il paese iberico, infatti, si prepara alle elezioni generali del 23 luglio che potrebbero non solo ribaltare gli attuali rapporti di forza nel Paese, bensì modificare gli equilibri politici di tutto il continente.

Partiti e sondaggi

Dopo la disfatta del Partito Socialista (PSOE) alle ultime elezioni locali di maggio, in cui il PSOE ha perso in 9 delle 12 regioni al voto nonché in diversi importanti municipi, il premier Sanchez ha deciso di anticipare di qualche mese le elezioni previste entro la fine dell’anno, portando per la prima volta nella storia la Spagna al voto nel mese di luglio.

Una decisione che assume i tratti della mossa disperata, per provare a prendere in contropiede una destra che ha tutti i favori del pronostico: il Partido Popular (PP), guidato da Alberto Núñez Feijóo, è saldamente in testa ai sondaggi da oltre un anno, e nonostante un recente recupero del PSOE, mantiene almeno cinque punti percentuali di vantaggio (33% contro 28%) nei confronti dei socialisti.

Seguono, con un grande distacco e pressoché appaiati intorno al 13/14%, la piattaforma di sinistra Sumar, fondata dalla vicepremier e ministra del Lavoro uscente Yolanda Díaz; e soprattutto i post-franchisti di Vox, che potrebbero essere determinanti ai fini della creazione di un governo di coalizione insieme al PP.

Il sistema elettorale in vigore nel Paese, infatti, visto il suo impianto proporzionale, obbligherà verosimilmente il partito vincitore a ricercare alleanze per poter governare. Il PP ha come unica possibile opzione un accordo con Vox – da capire se con un coinvolgimento diretto o meno di questi ultimi nell’esecutivo – mentre il PSOE, dovesse ottenere un buon risultato, potrebbe puntare ad una riproposizione del governo di minoranza in piedi fino ad oggi con il sostegno esterno degli indipendentisti di sinistra della Catalogna e dei Paesi Baschi.

Il ruolo decisivo delle autonomie

Nonostante non ci siano altri partiti di rilievo nazionale che possano ambire alla conquista di seggi in Parlamento, infatti, la legge elettorale in vigore in Spagna, che assegna i seggi su base circoscrizionale (50 circoscrizioni, corrispondenti alle province), concede quindi una rilevanza non trascurabile ai partiti regionalisti.

Secondo l’ultimo sondaggio dell’istituto Cluster17, ad esempio, sono diversi i partiti locali che entrerebbero in Parlamento anche con un cospicuo numero di seggi: a farla da padroni sono ovviamente i catalani, con la Sinistra Repubblicana di Catalogna e Junts per Catalunya che otterrebbero circa 18 deputati sui 48 disponibili per la regione. Discorso analogo anche per EH Bildu, il partito della sinistra basca, e il Partido Nacionalista Vasco, di ispirazione più conservatrice, che racimolerebbero 10 seggi sui 18 espressi dalle tre province dei Paesi Baschi.

Se a ciò si aggiungono anche i possibili seggi del Blocco Nazionalista Galiziano, della Candidatura di Unità Popolare catalana e di altre formazioni locali, ecco che il rapporto con le autonomie regionali diventa un fattore chiave per la stabilità del futuro esecutivo spagnolo.

Se da questo punto di vista è più facile prevedere l’atteggiamento dei partiti progressisti, è più incerto l’approccio alla questione per un eventuale governo che coinvolga Vox: il partito guidato da Santiago Abascal ha tra i suoi obiettivi dichiarati l’abolizione delle autonomie regionali in nome di un centralismo del potere che strizza l’occhio, in maniera nemmeno troppo velata, ai tempi del franchismo. Un atteggiamento che difficilmente potrebbe convivere con un PP pienamente integrato nell’attuale assetto istituzionale del Paese.

La dimensione europea

Ma non è solo la ridefinizione degli equilibri a Madrid a suscitare l’interesse per questo voto. Il 1° luglio la Spagna ha assunto la presidenza di turno del Consiglio dell’Unione Europea, con il premier Pedro Sanchez che ha indicato tra i temi che caratterizzeranno il semestre spagnolo, “reindustrializzazione, transizione verde, rafforzamento della giustizia sociale e unità dell’Ue”.

Priorità dell’attuale esecutivo che molto probabilmente non corrisponderanno a quelle di un eventuale nuovo governo di destra, con il rischio inoltre che l’inevitabile transizione dei poteri rallenti e renda meno efficaci i negoziati guidati da Madrid. Tra i quali ci sono dossier urgenti come la riforma del Patto di stabilità o il Patto sulla migrazione e l’asilo.

Ma la dimensione europea del voto spagnolo si misura anche nella prospettiva di un altro appuntamento elettorale, ovvero le elezioni europee del 2024.

Un governo di coalizione tra il PP, parte fondante del Partito Popolare Europeo, e Vox, iscritto all’Alleanza dei Conservatori e Riformisti, rappresenterebbe una prova generale per un’alleanza che mira a sovvertire la tradizionale coalizione larga tra popolari e socialisti che “governa” l’emiciclo di Bruxelles. Anche per questo, probabilmente, Giorgia Meloni – da poco rieletta presidente del partito dei conservatori europei – ha ribadito ancora una volta il suo endorsement a Vox. La campagna elettorale più calda della storia della Spagna, insomma, potrebbe durare ben oltre il 23 luglio.

Foto di copertina EPA/MARISCAL

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