La Corte Suprema degli Stati Uniti ha eliminato un potenziale ostacolo alla riconquista della Casa Bianca da parte di Donald Trump, respingendo all’unanimità la sentenza di un tribunale del Colorado che aveva dichiarato l’ex presidente ineleggibile per le sue azioni durante l’assalto al Campidoglio, stabilendo che uno Stato non può prendere una simile decisione.
La sentenza a favore dell’ex presidente è arrivata alla vigilia delle primarie del Super Tuesday, quando 15 Stati, tra cui il Colorado (nord-ovest), terranno contemporaneamente le primarie per le elezioni presidenziali di novembre, che dovrebbero consolidare la marcia di Trump verso la nomination repubblicana per sfidare il presidente Joe Biden a novembre.
Si è trattato del caso elettorale più importante ascoltato dalla Corte da quando ha bloccato il riconteggio dei voti in Florida nel 2000, con il repubblicano George W. Bush in vantaggio di poco sul democratico Al Gore.
La decisione della Corte Suprema
La questione sottoposta ai nove giudici era se Trump non fosse idoneo a comparire sulla scheda elettorale delle primarie presidenziali repubblicane in Colorado per aver partecipato all’assalto al Campidoglio del 6 gennaio 2021, quando centinaia di suoi sostenitori, infiammati dalle sue infondate accuse di brogli elettorali, hanno preso d’assalto il santuario della democrazia americana, nel tentativo di impedire la certificazione della vittoria del suo avversario democratico, Joe Biden.
Con una decisione di 9-0, la Corte, dominata dai conservatori, ha dichiarato che “la sentenza della Corte Suprema del Colorado… non può essere accettata”, il che significa che Trump può comparire sulla scheda elettorale delle primarie dello Stato. “Tutti i nove membri della Corte sono d’accordo con questo risultato”, si legge nella sentenza, anche se un conservatore e i tre giudici liberali hanno dissentito su alcuni aspetti tecnici. Essi criticano il presidente John Roberts e gli altri quattro conservatori della Corte per essere andati oltre l’ambito del caso, stabilendo anche le condizioni in cui il Congresso potrebbe esercitare il suo potere di squalificare un candidato.
Trump ha salutato la decisione, dichiarando una “Grande vittoria per l’America!” in un post sul suo sito web Truth Social e ha reso omaggio ai nove giudici, tre dei quali sono stati nominati durante il suo mandato, per aver “lavorato così velocemente, così diligentemente e così brillantemente”.
“Questa non è in alcun modo una vittoria per Trump”, ha reagito Noah Bookbinder, presidente del gruppo di cittadini anti-corruzione Crew, che ha avviato il procedimento in Colorado, sottolineando che la Corte Suprema si è pronunciata esclusivamente “su basi tecniche legali” e non sui fatti.
Il 14° emendamento e la responsabilità al Congresso
Il 14° emendamento – citato dalla Corte suprema del Colorado lo scorso dicembre per escludere Trump dalle elezioni dopo l’assalto al Congresso – fu adottato nel 1868 ed era rivolto ai sostenitori della Confederazione separatista, sconfitta nella guerra civile americana (1861-1865), con lo scopo di impedire loro di essere eletti al Congresso o di ricoprire cariche federali. La sezione 3 di tale emendamento escludeva, infatti, dalle più alte cariche pubbliche chiunque avesse compiuto atti di “insurrezione o ribellione” dopo aver giurato di difendere la Costituzione.
Durante le due ore di discussione del mese scorso, i giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti, sia conservatori che liberali, hanno espresso preoccupazione per il fatto che siano i singoli Stati a decidere quali candidati possono essere presenti sulla scheda elettorale per le presidenziali di novembre. Da qui, la decisione presa dalla Corte Suprema che, come molti esperti avevano previsto, non si è avventurata nel campo minato della qualificazione delle azioni dell’ex presidente, ma ha affermato che “la responsabilità di applicare la Sezione 3 contro i titolari e i candidati di cariche federali spetta al Congresso e non agli Stati“, e che il principio si applica “in particolare (alla) Presidenza”. Lasciare che ogni Stato decida separatamente la questione potrebbe risultare in una vera e propria “trapunta patchwork”, in cui “un candidato potrebbe essere dichiarato ineleggibile in alcuni Stati e non in altri, sulla base della stessa condotta”, ha osservato la Corte.
Il Segretario di Stato del Colorado, Jena Griswold, si è detta “delusa dalla decisione della Corte Suprema che priva gli Stati” del potere di rimuovere i candidati federali dalle schede elettorali: lo Stato dovrebbe essere in grado di escludere gli insurrezionisti “che rompono il giuramento”.
La sentenza rende di fatto nulle altre sfide statali simili all’apparizione di Trump alle primarie, anche nel Maine, che vota anch’esso il Super Tuesday. Il Segretario di Stato del Maine, Shenna Bellows, ha dichiarato che l’esclusione di Trump dal voto è stata ritirata, scrivendo in un comunicato che i voti espressi per Trump “saranno contati”.
La sua unica rivale rimasta alle primarie repubblicane, l’ex governatrice della Carolina del Sud Nikki Haley, ha dichiarato alla CNN di essere soddisfatta della decisione. “Sto cercando di sconfiggere Donald Trump in modo leale e corretto. Non ho bisogno che lo tolgano dalla scheda elettorale per farlo”, ha detto.
Le altre controversie legali
La Corte Suprema, storicamente restia a farsi coinvolgere in questioni politiche, quest’anno è al centro della scena nella corsa alla Casa Bianca. Oltre al caso del Colorado, l’Alta Corte ha accettato di ascoltare la richiesta di Trump di essere immune da procedimenti penali in quanto ex presidente e di non poter essere processato per le accuse separate di aver cospirato per rovesciare le elezioni del 2020. Trump è stato messo sotto impeachment dalla Camera dei Rappresentanti a maggioranza democratica per aver incitato all’insurrezione, ma è stato assolto grazie al sostegno dei repubblicani al Senato.
Il 25 marzo è previsto il processo a New York con l’accusa di aver coperto il pagamento di denaro sporco a una pornostar in vista delle elezioni del 2016.
In un altro caso, Trump deve affrontare accuse federali in Florida per essersi rifiutato di consegnare documenti top secret dopo aver lasciato la Casa Bianca.
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