Coercizione economica: definizioni, casi reali e nuove prospettive nelle relazioni internazionali

Le crescenti tensioni geopolitiche e il progressivo indebolimento del sistema multilaterale internazionale fanno da sfondo a risorgenti protezionismi in campo commerciale. Il pendolo della storia volge verso una deriva securitaria del commercio internazionale, tassello di uno scenario già complicato da conflitti bellici e tensioni geopolitiche. In tale contesto, l’interdipendenza economica, paradigma della globalizzazione, delinea un fenomeno nuovo e dal perimetro incerto: la coercizione economica.

Coercizione, in generale, significa obbligare a fare o non fare una cosa, tramite la minaccia o l’uso della forza. Il soggetto che la esercita impone la sua volontà su quello che la subisce, non privandolo del tutto della libertà di agire, ma portandolo forzatamente a scegliere tra alternative predefinite e opzioni ridotte. Tale modus operandi può informare l’attività diplomatica di un Paese che attraverso politiche aggressive e intimidatorie, mira alla realizzazione di un disegno di politica estera. La coercizione economica può dunque rappresentare un aspetto di una più ampia “diplomazia coercitiva”, manifestandosi nello specifico, nelle relazioni economiche e commerciali tra Paesi, quando uno Stato sfrutta dipendenze di natura economica per controvertere scelte sovrane di un altro. La coercizione economica attiene dunque all’altra faccia della medaglia dell’interdipendenza economica, non più promessa di un ordine internazionale fondato sul liberalismo economico, ma catalizzatrice dell’assoggettamento del più debole al più potente.

Questo fenomeno ha suscitato l’interesse dell’accademia, la cui letteratura però presenta importanti limiti. Tra questi, l’uso interscambiabile dei termini “coercizione economica” e “sanzioni economiche”, considerati quali sinonimi. Si tratta in realtà di due strumenti diversi, separati dalla legalità: le sanzioni sono legittime e gli stati possono disporne in caso di gravi violazioni del diritto internazionale, mentre la coercizione economica implica lo sfruttamento, illegale, di interdipendenze economiche per influenzare le scelte sovrane di un Paese.

Il secondo limite riguarda un’evidente etichettatura selettiva del fenomeno nei confronti della Cina, le cui politiche commerciali predatorie sono spesso citate come esempi di coercizione economica e fungono quali punti di partenza per lo studio del fenomeno per se. Se da un lato è innegabile che la Cina non sia estranea al ricorso a politiche coercitive, facendo leva sulle dimensioni della sua economia a livello globale, dall’altro concentrarsi esclusivamente su un Paese restituisce un’immagine parziale e dunque soggetta al rischio della strumentalizzazione.

In controtendenza rispetto a chi indica Pechino come principale se non esclusivo responsabile del fenomeno, si pone l’Unione europea, che con l’Anti Coercion Instrument (ACI) si è dotata di uno strumento per schermare i 27 Stati membri da atti o minacce di coercizione economica di Paesi terzi ispirandosi ad un approccio country-neutral. A tal fine l’ACI prevede un paniere di misure, principalmente commerciali, dal quale gli Stati membri possono attingere in modo proporzionale e bilanciato per contrastare casi accertati di coercizione. Tuttavia, il regolamento – ad oggi un unicum nel panorama legislativo – è stato concepito principalmente quale strumento deterrente il cui successo sarà misurato più dal suo effetto dissuasivo che dalla sua concreta attivazione.

La disamina dei casi ad oggi considerati quali “coercizione economica”, resa possibile dalla sistematizzazione presentata in un paper dell’OCSE, consente di individuare alcuni elementi fondamentali del fenomeno. Un primo caso del 2010 vede coinvolti Giappone e Cina in una disputa diplomatica, accesa dalla collisione di un peschereccio cinese con la guardia costiera giapponese e la successiva detenzione del capitano. A seguito dell’incidente, Pechino sarebbe ricorsa all’utilizzo di restrizioni all’export di terre rare (REE) dirette a Tokyo per esercitare pressione ai fini della risoluzione della disputa. Un altro caso riguarda Russia e Moldavia e in particolare la reazione di Mosca alla finalizzazione nel 2013 dell’Association Agreement tra Chişinău e Bruxelles. Con l’intensificarsi dei negoziati il Cremlino ha progressivamente imposto restrizioni commerciali ai prodotti moldavi con l’intento di scoraggiare Chişinău dal firmare l’accordo e di dare un assaggio delle possibili ritorsioni che questa avrebbe comportato. Un caso più recente vede coinvolte Cina, Lituania e, indirettamente, Taiwan, che nel 2021 decise di aprire un Ufficio di rappresentanza con il nome di “Taiwan Representative Office” a Vilnius, suscitando l’irritazione di Pechino. In risposta, le Autorità cinesi hanno cessato di fornire permessi per le importazioni di prodotti alimentari lituani e iniziato a esercitare pressioni sugli investitori stranieri attivi in Lituania.

La casistica succitata, assieme ad altri casi noti tra i quali uno che riguarda Australia e Cina, consente pertanto l’individuazione dei seguenti ricorrenti elementi: l’imposizione di costi economici per ottenere concessioni politiche tramite l’utilizzo di strumenti di politica commerciale; lo sfruttamento delle dipendenze economiche per costringere uno Stato a tornare sui propri passi rispetto a una scelta presa; la particolare vulnerabilità delle economie “export-oriented” di piccole dimensioni rispetto ai giganti del commercio internazionale.

La messa a fuoco su alcuni elementi che paiono fondanti e caratterizzanti il fenomeno lascia intuire una comprensione comunque ancora limitata del fenomeno e certamente soggetta a diverse interpretazioni. Del resto, l’essenza stessa della coercizione economica, che trova nell’arbitrarietà e nell’opacità un suo punto di forza, ne complica l’analisi. La coercizione economica, nutrendosi dell’interdipendenza del commercio tra Paesi, sembra rappresentare un cavallo di Troia nel sistema del commercio internazionale basato sulle regole (GATT e OMC) e sulla prevedibilità di azioni e contromisure.

Alla luce della complessità del fenomeno e del difficile contesto internazionale nel quale esso si colloca, se da un lato la ricerca sul tema può considerarsi in una fase ancora embrionale, dall’altro seguirne gli sviluppi può rappresentare un’utile lente per individuare possibili traiettorie di evoluzione dei rapporti interstatuali, in un mondo sempre più caratterizzato da confrontazioni economiche e sempre meno ordinato da architetture multilaterali.

Osservarne gli sviluppi dunque, guardando ad esempio in Europa a se e quando verrà attivato il meccanismo dell’ACI, potrà essere utile a saggiare lo stato di salute del sistema commerciale internazionale, nonché fornire una utile bussola per tutti coloro che, praticando o studiando le Relazioni Internazionali, si muoveranno nel nuovo (dis)ordine globale.

di Nico Frandi, assistito da Matilde Fabrizio

Nico Frandi è Consigliere e Capo Ufficio DGUE X – Accesso ai Mercati e Difesa Commerciale – del M.A.E.C.I.. Matilde Fabrizio è Dott.sa Collaboratrice  al MAECI – Delegazione per la Presidenza Italiana del G7

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