Al-Sisi verso la riconferma in un Egitto sempre più fragile

Da domenica 10 a martedì 12 dicembre, i cittadini egiziani verranno chiamati alle urne in occasione delle elezioni presidenziali. I residenti all’estero, invece, hanno già votato tra il 1 e il 3 dicembre .

Nonostante il risultato sembri scontato – con la rielezione del presidente uscente Abd al-Fattah al-Sisi, al potere dal 2013, anno in cui rovesciò il presidente Mohammed Morsi  – va sottolineato che le attuali dinamiche politiche egiziane mostrano un Paese in una fase di fragilità prolungata dovuta soprattutto (ma non solo) a un’economia fortemente in crisi. In un contesto del genere, se il futuro a breve termine del regime sembra solido, quello a lungo termine appare meno certo.

Le presidenziali egiziane nel segno di al-Sisi

Le elezioni presidenziali in Egitto sono a maggioranza assoluta con la possibilità di un secondo turno: se nessuno dei candidati raccoglie un numero di preferenze superiore al 50%, i due più votati vanno al ballottaggio, che si svolge invece a maggioranza semplice.

L’attuale presidente al-Sisi ha vinto con oltre il 95% dei voti le ultime due tornate elettorali (nel 2014 e nel 2018), anche se entrambe le votazioni sono state definite una farsa da diverse organizzazioni locali e internazionali. Infatti, al-Sisi ha vinto alle urne contro candidati riconosciuti come suoi sostenitori: Hamdin Sabahi nel 2014 e Moussa Mustafa Moussa nel 2018.

Nonostante nel 2018 avesse promesso di non ricandidarsi, al-Sisi correrà quindi per un terzo mandato consecutivo – per “soddisfare le richieste del popolo egiziano”, a detta sua. In caso di vittoria, molto probabile, al-Sisi verrà confermato al potere fino al 2030 dal momento che la durata del mandato presidenziale è stata aumentata da quattro a sei anni con la riforma costituzionale del 2019, la stessa che, approvata tramite referendum, ha introdotto la possibilità di un terzo mandato consecutivo come capo di Stato.

Anche in quella occasione, svariati osservatori indipendenti parlarono di brogli e pressioni esercitate dalle forze di sicurezza in favore della riuscita del suffragio – alla fine passato con l’89% dei voti e un’affluenza di poco superiore al 44%. Celebre, ad esempio, il caso denunciato dal Wall Street Journal di voti comprati in cambio di denaro o cibo.

I “rivali” di al-Sisi e il caso Tantawy

Secondo la Costituzione egiziana, chiunque voglia partecipare alle presidenziali deve raccogliere a sostegno della propria candidatura le firme di 20 parlamentari o 25 mila elettori provenienti da almeno 15 governatorati (con un minimo di mille firme a governatorato). Al termine ultimo per la deposizione delle candidature (il 16 ottobre), oltre all’ex generale nonché presidente uscente, solo altri tre candidati sono riusciti a rispettare i requisiti minimi stabiliti dall’autorità nazionale elettorale egiziana.

In ordine cronologico, il primo rivale di al-Sisi a depositare la propria candidatura è stato Farid Zaharan, leader del Partito socialdemocratico ed ex attivista di sinistra negli anni Settanta. Nonostante sia considerato tra i volti principali dell’opposizione, Zaharan rimane vicino alla dirigenza dei servizi di intelligence egiziani e di conseguenza ad al-Sisi stesso, che dal 2010 al 2014 ne è stato il capo.

Il secondo candidato a presentarsi come sfidante è stato Abd al-Sanad Yamama, segretario del più antico partito liberale d’Egitto, il Wafd. Infine, anche Hazem Omar del Partito popolare repubblicano (nazionalisti), ex imprenditore e attuale sostenitore di al-Sisi, si è ufficialmente candidato il 14 ottobre.

Gli altri potenziali candidati, tra cui la leader del Partito Dostour (liberali) Gameela Ismail, non sono riusciti a raggiungere i requisiti minimi per partecipare alle elezioni. Rimane emblematico però il caso di Ahmed Tantawy, ex segretario del Partito al-Karama, di orientamento nasseriano (socialismo arabo), contro il quale è stato avviato un processo il 7 novembre. Tantawy, infatti, è stato accusato e poi arrestato insieme ai suoi più stretti collaboratori e alcuni familiari con generiche accuse di cospirazione e divulgazione di fake news o materiale elettorale non autorizzato. Lo stesso Tantawy aveva inoltre denunciato più volte l’atteggiamento intimidatorio delle forze di polizia durante i suoi comizi o agli stand adibiti alla raccolta firme per la sua candidatura.

Nonostante non si possa considerare una sorpresa – nel 2022 fu costretto a dimettersi dal suo ruolo di deputato per andare in autoesilio a Beirut -, l’arresto di Tantawy rimane parte di una vasta campagna di repressione del regime in vista della tornata elettorale portata avanti su più fronti, anche digitali. Ad oggi, più di 200 persone (tra cui molti attivsti) sono state arrestate con accuse di terrorismo, diminuendo drasticamente il già risicato spazio lasciato nella sfera pubblica a società civile e opposizione politica.

La grande protagonista delle elezioni: la crisi economica

Sebbene la campagna elettorale si sia svolta sottotono, visto il risultato scontato, la grande protagonista di questa tornata è la crisi economica che da anni soffoca la società egiziana.

La stessa scelta di anticipare le elezioni – inizialmente previste nella primavera del 2024 – è dovuta alla crisi economica. L’inflazione ha superato il 40% e la svalutazione della moneta ha raggiunto il 50%, mentre il 30% degli egiziani vive sotto la soglia di povertà (dati CAPMAS, ente statistico egiziano) – percentuale che secondo la Banca mondiale si attesta invece intorno al 60%.

Nonostante la campagna infrastrutturale e la politica estera portate avanti da al-Sisi in nome di una rinnovata grandeur egiziana, le autorità hanno deciso di anticipare le elezioni per evitare un aumento del malcontento, da un lato, per l’eventuale peggiorare della situazione economica, dall’altro, per le dolorose riforme economiche e finanziarie che verranno adottate nei prossimi mesi.

A preoccupare in particolar modo la classe dirigente egiziana sono le riforme strutturali del sistema economico – tra cui il passaggio a un regime permanente di tasso di cambio flessibile e la riduzione del debito pubblico – alle quali è vincolato il prestito da 3 miliardi di dollari accordato nell’ottobre del 2022 con il Fondo monetario internazionale (Fmi). 

Diversi analisti hanno sottolineato che, nonostante il prestito del Fmi e l’entrata nel gruppo BRICS del Cairo (prevista nel gennaio 2024), le problematiche dell’economia egiziana sono legate a debolezze strutturali dovute alla dipendenza dai beni alimentari importati (sui quali ha impattato negativamente la guerra in Ucraina), il monopolio dell’esercito su diversi settori produttivi e politici e la carenza di risorse idriche che, oltre al settore primario, influenza anche la produzione energetica del Paese nordafricano.

Infine, vanno ricordate altre tematiche che occupano uno spazio importante all’interno del dibattito pubblico egiziano come, ad esempio, la questione palestinese e le relazioni con Israele, la disputa con l’Etiopia e la stabilità di Paesi confinanti come Sudan e Libia.

Se la vittoria alle urne di al-Sisi appare certa, il regime inizia a mostrare alcune debolezze strutturali che non possono più essere ignorate dal ceto dirigente egiziano. Con una povertà dilagante, un’economia arenata e la conseguente impopolarità di al-Sisi fare affidamento unicamente sull’esercito e sui partner internazionali potrebbe risultare una strategia fallace sul lungo termine.

foto di copertina EPA/WAEL HAMZEH

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