Nella totale assenza di una ricostruzione nazionale della Siria, Paesi come la Russia, l’Iran, la Turchia e persino il regime siriano hanno iniziato ad elaborare proprie strategie di intervento per ricostruire le aree del paese poste sotto la propria influenza. Si tratta di piani selettivi che con il tempo stanno creando aree disarticolate caratterizzate da diversi gradi di stabilità e sviluppo, rendendo così sempre più incerto il futuro di un paese dilaniato dalla guerra.
L’accumulazione di progetti simultanei elaborati e applicati su piccola scala, in diverse parti del paese, porterà, infatti, all’emergere di area ricostruite ma disgiunte tra loro, trascurando ampie zone del paese, minando a lungo andare l’integrità territoriale della Siria.
Tuttavia, è importante ricordare che la maggior parte dei danni al sistema siriano è stata causata dagli stessi attori che ora si contendono la parziale ricostruzione del paese: gli obiettivi della ricostruzione coincidono, quindi, con quelli della distruzione – una dinamica contorta che ha permesso però a Turchia, Iran e Russia di accrescere i propri profitti economici nell’area.
Le azioni del regime siriano
Non solo Turchia, Russia e Iran, ma lo stesso regime siriano lavora da anni, ricorrendo a strumenti militari e legali, per ricostruire selettivamente solo quelle aree del Paese che hanno un chiaro valore economico o politico. Si tratta, principalmente, dell’area di Damasco e delle zone costiere.
Lo scopo è quello di creare un sistema che limiti l’azione e l’attività di qualsiasi attore estraneo al regime, come le comunità controllate dall’opposizione le cui abitazioni vengono demolite al fine di disincentivare la loro presenza per sostituirli, successivamente, con persone di diversa estrazione socioeconomica e diverso orientamento politico. L’obiettivo viene perseguito manipolando e deviando gli aiuti internazionali, oltre che monopolizzando il mercato dei materiali da costruzione.
Gli obiettivi dell’Iran
La presenza iraniana in Siria si è manifestata attraverso la distruzione sistematica e deliberata delle aree intorno ai santuari sciiti, come il santuario Sayyida Zeinab nel sud di Damasco e il santuario Sayyida Sukayna a Darraya. La devastazione è stata accompagnata dallo sradicamento dei residenti locali e dalla successiva confisca e ricostruzione delle diverse proprietà per ospitare, invece, famiglie sciite e turisti religiosi.
Una tattica molto simile a quella messa in atto dallo stesso regime siriano. Lo scopo iraniano è quello di influenzare direttamente settori economici essenziali e ridisegnare il tessuto sociale e urbano in aree come Damasco, Aleppo e Deir-ez-Zor. Una tattica che ha colpito anche quest’ultima città, dove l’Iran è intervenuto al fine di disperdere intere comunità durante la guerra contro l’Isis.
Alla distruzione, seguono opere di ricostruzione, perseguite tramite accordi commerciali redditizi e a lungo termine siglati con il regime siriano. Ciò avviene in particolare nei settori del carburante, dell’elettricità e delle telecomunicazioni. Inoltre, l’Iran ha esplicitato l’intenzione di vendere materiali da costruzione in Siria a tariffe preferenziali e di costruire unità abitative.
La Russia e il mercato siriano
Il processo di distruzione-ricostruzione messo in atto, invece, dalla Russia passa da due strategie conosciute come government-to-government e business-to-business, così da garantirsi una partnership con la Siria che qualifichi la Russia come ‘nazione favorita’ nei rapporti economico-commerciali. Lontano dalla distruzione materiale promossa dall’Iran, la Russia sta portando avanti forme di cooperazione militare e diplomatica al fine di favorire i propri interessi strategici, in particolare intorno alla base aerea di Khmeimim.
L’approccio business-to-business, invece, è volto a spianare la strada verso il mercato siriano alle grandi e medie imprese russe, soprattutto nei settori dell’energia, del turismo e dei trasporti. Dal 2017, diverse società legate al governo russo hanno firmato contratti relativi a petrolio e gas; per la costruzione di resort turistici e di grattacieli residenziali a Tartus, Latakia e Homs; per la gestione di importanti infrastrutture di trasporto come il porto di Tartus, la ferrovia siriana e l’aeroporto internazionale di Damasco.
La strategia della Turchia
La politica turca in Siria si basa, ad oggi, su due importanti pilastri: il controllo diretto dei territori all’interno della Siria e la creazione di aree stabilizzate. Questo a sua volta serve a due obiettivi: diminuire la possibile creazione di un’entità curda e creare una zona sicura per il ritorno dei rifugiati siriani attualmente in Turchia.
La Turchia non solo ha riabilitato infrastrutture e strutture pubbliche come ospedali, università e città industriali, ma ha anche costruito strutture di governance e di sicurezza nelle aree sotto il suo controllo. Tuttavia, la dinamica di distruzione-ricostruzione operata dalla Turchia prevede il diretto controllo di queste operazioni da parte di agenzie umanitarie, di sviluppo e di governo turche.
Anche la crisi umanitaria dei rifugiati siriana si è trasformata in un’arma nelle mani della Turchia, che ha ripetutamente espresso l’intenzione di rimandare più di un milione di rifugiati siriani nel nord della Siria, nonostante la stragrande maggioranza non provenga da queste aree. Per assorbire questo afflusso, la Turchia ha realizzato e sostenuto nuovi piani regolatori e ha avviato progetti su larga scala per la costruzione di nuove città. Questi includono nuove unità abitative costruite direttamente da agenzie turche e ONG siriane.
I piani di ricostruzione attualmente applicati alla Siria sono selettivi e opportunistici. Minacciano i diritti di proprietà e il tessuto sociale e permettono agli attori stranieri o agli alleati del regime di monopolizzare settori economici vitali e risorse naturali. Ciò porterà a uno sviluppo locale disomogeneo e con alti rischi per l’integrità territoriale della Siria. Il risultato sarà quello di perpetuare le sofferenze dei siriani in Siria, mentre diminuirà la speranza di ritorno per quelli all’estero.
Foto di copertina EPA/IRANIAN PRESIDENTIAL OFFICE