Un tempo leader mondiale sul clima, l’UE ha ceduto all’autolesionismo delle destre

Le politiche climatiche sono tradizionalmente un cavallo di battaglia dell’Unione europea. Tuttavia, mentre i negoziatori sono riuniti in Brasile per la Cop30, la leadership europea rischia di vacillare. Il contesto è molto diverso da quello che dieci anni fa a Parigi portò all’accordo per limitare il riscaldamento globale a 1,5° C. 

Dal Green Deal agli impegni concreti dell’Unione europea

Quell’accordo aprì la strada al Green Deal europeo. Non era un piano perfetto, e i leader europei non hanno tenuto sufficientemente conto dell’impatto sociale della transizione energetica, ma l’Ue aveva innegabilmente sostenuto i suoi impegni con azioni concrete e finanziamenti.

Il rischio di un crollo della leadership europea sul clima

Oggi in Brasile, la leadership europea in materia di clima potrebbe sgretolarsi. Non solo perché gli Stati Uniti si sono nuovamente ritirati dall’accordo di Parigi e l’amministrazione Trump sta cercando  di indebolire gli impegni di altri paesi, né solo perché i paesi del sud del mondo rifiutano di compromettere la crescita per il clima, incolpando il nord del mondo, in particolare l’Europa, per la crisi. È anche perché la stessa Europa, in preda a una “reazione anti-verde” interna, rischia di restare ai margini.

La campagna anti-Green Deal della destra europea

Dopo la pandemia di Covid-19 e l’invasione dell’Ucraina, i gruppi nazionalisti e di estrema destra hanno fatto il Green Deal in uno spauracchio: un progetto ideologico guidato dai liberali e dalla sinistra per indebolire l’Europa. Queste forze hanno ripetutamente sostenuto che il Green Deal avrebbe causato la deindustrializzazione dell’Europa e permesso a Pechino di sfruttare nuove interdipendenze verdi. 

L’effetto contagio sul centro-destra e le pressioni esterne

Tali critiche si sono diffuse dalle destre estreme e hanno contagiato il centro-destra, amplificate dalla pressione dell’amministrazione Trump e dei principali esportatori di gas come il Qatar, che hanno minacciato di sospendere le forniture se l’Ue non avesse attenuato o abbandonato le sue richieste di rendicontazione sulla sostenibilità. Oggi il Green Deal è scomparso dal lessico europeo, sostituito da “competitività”, “neutralità tecnologica” e “semplificazione burocratica”, oltre alla difesa.

Il ridimensionamento degli obiettivi climatici europei

Gli ottimisti speravano che si trattasse solo di un cambiamento retorico per rendere la politica climatica più appetibile dal punto di vista politico. Purtroppo, l’Ue ha notevolmente indebolito i suoi piani di riduzione dei gas serra per il 2040, inserendo clausole di revisione che consentono di fare marcia indietro in periodi di recessione economica e affidandosi a crediti di carbonio dalla dubbia validità scientifica. Non sorprende che siano stati i governi di estrema destra, in Italia e in Europa centro-orientale, a guidare questa retromarcia.

Ritardi normativi e possibili passi indietro

L’Ue ha inoltre ritardato sia l’estensione del sistema di scambio delle quote di emissione alle abitazioni e ai trasporti, sia l’attuazione della normativa sulla deforestazione, e potrebbe attenuare il divieto sulle auto a combustione previsto per il 2035. Si prevedono ulteriori passi indietro, con la scusa della semplificazione burocratica, che rischiano di minare anche la tariffa esterna sulla CO2 (CBAM). 

Un autogol europeo: sicurezza energetica e concorrenza verde

Gran parte di questo equivale a un autogol per l’Europa. L’Ue non sostenne la necessità di una forte politica climatica solo per idealismo, ma anche perché, in quanto continente povero di combustibili fossili, la sua sicurezza energetica e la sua prosperità dipendevano da questo. E mentre la Cina, anch’essa importatrice di idrocarburi, accelera i suoi sforzi nel promuovere le energie rinnovabili e le tecnologie verdi, l’Europa rischia invece di rallentare, dimenticando che i principi climatici e la prosperità economica sono intrecciati.

Il paradosso: l’Europa arretra mentre la Cina avanza

Il paradosso si aggrava poiché l’Europa sta minando la propria posizione globale di leader nella lotta ai cambiamenti climatici, facendo apparire la Cina più virtuosa di quanto non sia. I paesi europei si sono impegnati a ridurre le emissioni tra il 66,3% e il 72,5% entro il 2035 prima della Cop30. Ma l’indebolimento di questi obiettivi a ridosso della Cop30 getta un’ombra sulle ambizioni europee, mentre la Cina punta solo a una riduzione del 10% nel prossimo decennio.

Uno spiraglio per il futuro della leadership climatica europea

Non tutto è perduto. L’Europa rimane in prima linea nel percorso verso l’azzeramento delle emissioni nette in termini di obiettivi, politiche e finanziamenti. Ma il suo interesse rimane quello di essere all’avanguardia nel promuovere l’azione per il clima e trovare, ancora una volta, una causa politica comune con il sud del mondo.

Direttore dell'Istituto Affari Internazionali, part-time professor alla School of Transnational Governance dell'European University Institute, professore onorario all’Università di Tübingen e amministratore non esecutivo e indipendente di Acea.

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