L’insediamento del governo di minoranza guidato da Takaichi Sanae sottende cambiamenti strutturali – sia interni che internazionali – che stanno stravolgendo il Giappone del dopo-Guerra Fredda. Se è vero che Takaichi è stata la prima giapponese ad assurgere alla presidenza del consiglio (per altro da self-made woman: un’eccezione rispetto allo strapotere delle dinastie politiche patrilineari dell’arcipelago), deve comunque la sua ascesa al sostegno del kingmaker in seno al Partito Liberal Democratico (PLD), il falco Asō Tarō, già primo ministro, e a lungo Vicepremier nonché Ministro delle Finanze nei sette anni di governo del sodale Abe Shinzō.
Di contro, il PLD si ritrova in minoranza in entrambe le camere della Dieta a causa delle recenti sconfitte elettorali, determinate dalla crisi sul carovita, e del coinvolgimento del PLD in diversi scandali, dai finanziamenti elettorali ai rapporti con la Chiesa dell’unificazione, una setta religiosa con profondi rapporti di convenienza con il mondo conservatore in Corea del Sud, Giappone e persino gli Stati Uniti. E anche su questi scandali gravita l’ombra di Abe, poiché la fazione del defunto primo ministro risultò maggiormente implicata. Come risultato, membri della frangia conservatrice del PLD son stati i grandi sconfitti alle ultime due elezioni, a beneficio di nuovi partiti di destra, comunque ancora minoritari nell’agone politico giapponese.
Takaichi tra pressioni USA e equilibri interni al PLD
Insomma, la Democrazia Cristiana giapponese (ovvero il PLD) è in crisi – soprattutto in funzione di un voto di discontinuità e di protesta, piuttosto che di un’onda lunga populista. Takaichi (e Asō) vorranno portare avanti le istanze restauratrici e iper-conservatrici della base politica, anche in funzione del credo personale, ma sanno che scontenterebbero l’opposizione interna al PLD e gli elettori moderati. Ne sono la riprova la volontà di Takaichi di ammorbidire le proprie posizioni già a partire delle elezioni per la presidenza del PLD, quindi la nomina di rivali politici all’interno del PLD a guida di importanti dicasteri ministeriali.
Takaichi deve inoltre accontentare le istanze che vengono da Washington, ottemperando all’accordo commerciale estorto dagli USA al predecessore Ishiba Shigeru: l’accordo “allevia” al 15% i dazi statunitensi imposti su gran parte delle importazioni di beni dal Giappone e imporrebbe 550 miliardi di dollari di investimenti entro la fine della presidenza Trump, investimenti che hanno bisogno dell’OK statunitense. In parte per pressioni statunitensi, il Giappone si ritrova a dover accrescere la spesa militare, con Takaichi che ha promesso il raggiungimento del target del 2% su PIL entro marzo 2026 e il neo-Ministro della Difesa Koizumi Shinjirō a favore del traguardo del 3.5% sul PIL in futuro. Washington e Tokyo dovranno inoltre rinegoziare i termini dell’accordo sulla ripartizione dei costi di mantenimento di basi, personale e mezzi USA in Giappone.
Svolta militarista e fine della storica alleanza PLD-Komeito
Al di là dell’aumentata spesa militare, il nuovo governo si propone di aumentare le capacità di raccolta di intelligence (soprattutto human intelligence, dopo aver già investito massicciamente su capacità di signal intelligence), di innalzare lo status del Cabinet Intelligence Research Office a quello di segretariato, di rilassare ulteriormente le restrizioni sulle esportazioni di armamenti, e di effettuare un ulteriore giro di vite sulla sicurezza economica. In funzione dell’enfasi sulla sicurezza, soprattutto militare, e in misura minore del reintegro in posizioni apicali al PLD di personalità politiche vicine ad Abe invischiate nei suddetti scandali, quali Hagiuda Kōichi, e del disprezzo malcelato delle frange nazionaliste del PLD, Asō in primis, il partito antimilitarista e di estrazione buddista del Komeito ha preso la storica decisione di abbandonare la coalizione di governo dopo 26 anni di matrimonio con il PLD. Il PLD della Takaichi governerà quindi con l’appoggio esterno dell’Ishin-no-kai, letteralmente il Partito per la Restaurazione [del Giappone] (PRG), le cui istanze sul dossier sicurezza coincidono con quelle della destra del PLD.
C’è sostanziale accordo tra Takaichi e il PRG anche sulla necessità di stimolare l’economia giapponese con misure fiscali e monetarie espansive (per inciso, altro terreno di scontro con il Komeito). Nel caso in cui il PLD riesca a soddisfare le richieste del PRG, quali la riduzione del 10% dei seggi parlamentari e il divieto di finanziamento ai partiti, e nel caso la neo-coalizione riesca, con successo, a coordinare le rispettive strategie elettorali per facilitarsi a vicenda alle prossime elezioni, potremmo addirittura assistere ad una presidenza del consiglio duratura, eventualmente con il PRG a pieno supporto del (e nel) governo.
Eredità di Abe tra nazionalismo e pragmatismo
Takaichi opererà quindi sul solco politico di Abe, cavalcando una politica economica espansiva come strumento di politica interna, e per imbonire l’opinione pubblica anti-militarista di un ulteriore innalzamento del profilo securitario del Giappone. È innegabile che Takaichi sia un falco nazionalista, per molti versi più ideologica di Abe e con tendenze non propriamente democratiche, come dimostrato dall’intimidazione dei mass media giapponesi quando fu Ministra degli Affari Interni e delle Comunicazioni. Ma, a differenza di Abe, si ritrova a capo di un governo di minoranza che deve fare buon viso a cattivo gioco. Un paio di cartine di tornasole saranno l’astensione dal visitare il controverso santuario di Yasukuni, dedicato ai caduti per l’imperatore e la patria (inclusi criminali di guerra, e pertanto fonte costante di polemiche interne e internazionali), e la cooperazione con la Corea del Sud, ad esempio promuovendone l’adesione all’accordo multilaterale di libero scambio noto come Comprehensive and Progressive Trans-Pacific Partnership (CPTPP), che riunisce dodici stati del Pacifico ed il Regno Unito.
Ricercatore associato presso l’Istituto Affari Internazionali (IAI), Professore part-time di studi Ue-Asia presso l’Istituto Universitario Europeo e, a breve, Assistant Professor in Asian International Affairs presso l’Università delle Hawai’i a Mānoa





