In Sudan prosegue il conflitto, scoppiato il 15 aprile, che vede opposti Abdel Fattah al-Burhan, capo dell’esercito sudanese, e Mohamed Hamdan Dagalo, leader delle Forze di Supporto Rapido. L’Orient-Le Jour riporta come il Sud Sudan abbia annunciato di aver negoziato una tregua di una settimana, dal 4 all’11 maggio, per iniziare a discutere di colloqui di pace. Un dialogo poi effettivamente iniziato il 6 maggio a Jeddah, in Arabia Saudita, come scrive Sudan Tribune. Stati Uniti e Arabia Saudita hanno rilasciato un comunicato congiunto in cui annunciano l’avvio dei colloqui per “risparmiare sofferenze al popolo sudanese e garantire la disponibilità di aiuti umanitari alle zone colpite”.
Le analisi dal conflitto in Sudan
Secondo Middle East Eye, il conflitto in Sudan rappresenta un test per la nuova diplomazia delle potenze del Golfo Persico e per i suoi limiti. Dallo Yemen arrivano buone notizie sulla ripresa delle relazioni diplomatiche per la risoluzione del conflitto; l’Arabia Saudita ha ripreso i rapporti con l’Iran; in Libia diminuisce l’intensità dei combattimenti. Un’escalation militare che renda il Sudan “una Siria sul Mar Rosso” è l’ultima cosa di cui avrebbero bisogno Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti. Ancora L’Orient-Le Jour riporta le dichiarazioni del Segretario generale dell’Onu Antonio Guterres, che ha ammesso il fallimento dell’organizzazione nell’evitare un conflitto in un Paese “che ha tanto sofferto, che si trova in una situazione economica e umanitaria così disperata da non potersi permettere una lotta per il potere tra due persone”.
Infine, sempre su Middle East Eye, la storica Willow Berridge ripercorre la storia recente del paese, per arrivare a tratteggiare uno scenario odierno che vede le due forze “non ugualmente bilanciate”, con un leggero squilibrio dei rapporti di forza in favore dell’esercito regolare sudanese, ma con un serio rischio di una crisi che si protragga nel tempo e che porti il Sudan ad un “livello di destabilizzazione mai così alto”.
La libertà di stampa in Africa
Il 3 maggio, in occasione della giornata mondiale per la libertà di stampa, Reporters Sans Frontières ha pubblicato il suo rapporto annuale sullo stato del giornalismo nel mondo; in un suo articolo Nigrizia fa il punto della situazione per quanto concerne il continente africano.
“Tra le macroaree monitorate, l’Africa è quella in cui gli indicatori presi in riferimento mostrano le flessioni più evidenti rispetto alle precedenti rilevazioni”, scrive la rivista, sottolineando come in quasi il 40% dei Paesi del continente le condizioni di lavoro dei giornalisti siano descritte come “difficoltose” (nel 2022 questo dato era al 33%).
Se l’Eritrea resta maglia nera del continente, classificandosi al 174° posto a livello mondiale, colpiscono i netti deterioramenti per la libertà di stampa in Senegal – che occupa oggi il 104° posto rispetto al 73° del 2022 – e della Tunisia, che anche a causa del crescente autoritarismo del presidente Kais Saied perde 27 posizioni rispetto allo scorso anno classificandosi 121°.
Tensioni in Sahel e Re Carlo III visto dal Kenya
In Burkina Faso, Jeune Afrique scrive come il presidente Ibrahim Traorè abbia dichiarato che il massacro di Karma del 20 aprile, in cui 136 civili sono stati uccisi da persone in uniforme militare, potrebbe essere stato compiuto non dall’esercito ma da gruppi jihadisti che si sono impossessati di armi e uniformi militari. Intanto, però, il Paese ha espulso due corrispondenti di due importanti quotidiani francesi, Le Monde e Libération – scrive BBC Africa – dopo la pubblicazione su Libération di un video che mostrava le esecuzioni di alcuni bambini in caserme militari.
Di nuovo Jeune Afrique scrive che la Germania ha annunciato il ritiro completo delle sue truppe dal Mali entro maggio 2024, a causa delle tensioni con la giunta attualmente al potere a Bamako. Africanews, infine, riporta le reazioni della popolazione del Kenya all’incoronazione di Re Carlo III avvenuta il 6 maggio: un evento che divide tra i sostenitori dell’amicizia con il Regno Unito e i critici del passato coloniale britannico.
Foto di copertina ANSA / Ufficio stampa Amnesty International