Con la comunicazione del 24 gennaio 2024 la Commissione europea ha adottato un insieme di iniziative nell’ambito nell’attuazione della Strategia europea di sicurezza economica del 2023, a complemento dei nuovi strumenti di difesa commerciale quali anti-coercizione, controllo sussidi esteri, reciprocità di accesso ai mercati. Il pacchetto di proposte include:
- una proposta legislativa per la revisione del Regolamento (Ue) 2019/452 sul controllo degli investimenti diretti esteri;
- tre Libri bianchi che avviano consultazioni pubbliche su come migliorare l’efficacia dei controlli Ue sull’esportazione di beni duali, identificare i potenziali rischi per la sicurezza legati agli investimenti delle imprese europee nei paesi terzi (Outbound Investments– investimenti in uscita), rafforzare il sostegno alle attività di ricerca e sviluppo che coinvolgono tecnologie con potenziale uso civile-militare;
- una proposta di raccomandazione del Consiglio sul rafforzamento della sicurezza della ricerca.
Si consolida la consapevolezza europea di tutela dei propri interessi
A questo risultato si è arrivati come conseguenza delle tensioni e crisi internazionali, delle trasformazioni che stanno rimodellando la postura economica mondiale e l’architettura della sicurezza che ha garantito una relativa stabilità negli equilibri continentali. Ma anche grazie al faticoso superamento in Europa di un’impostazione rigida e ideologica del mercato e del consumatore, disinteressandosi delle distorsioni e della concorrenza sleale al di fuori del perimetro Ue. Ci si è accorti un po’ alla volta dei rischi e dello svantaggio competitivo di un approccio considerato oggi naif, ormai obsoleto e inadeguato alle nuove sfide. È solo dagli ultimi anni che l’Europa ha superato un vacuum legislativo, dotandosi di un quadro normativo con un pacchetto di misure soprattutto di tutela commerciale.
La proposta di revisione del Regolamento sugli investimenti esteri diretti
Il Regolamento attualmente in vigore istituisce un meccanismo di screening degli investimenti esteri diretti nel mercato interno operati da investitori non europei. L’obiettivo era incentivare i Paesi membri ad adottare nei rispettivi ordinamenti modalità di controllo per la tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico in maniera coerente con il framework normativo europeo, presupponendo un certo livello di trasparenza e coordinamento.
Oggi con la proposta di revisione del Regolamento 452/2019 la Commissione europea si pone l’obiettivo di ampliare l’ambito applicativo delle norme Ue sugli investimenti esteri diretti e rafforzare i controlli, prevedendo nuove norme procedurali anche per ovviare alle diverse tempistiche di notifica nazionali che compromettono il coordinamento intra-europeo, nuovi obblighi minimi di screening per gli Stati membri che i regimi di controllo nazionali saranno tenuti a rispettare, inclusione degli investimenti greenfield, possibilità di una verifica ex-post entro 15 mesi dall’esecuzione dell’operazione, rafforzamento del meccanismo di cooperazione e scambio di informazioni tra Stati membri e Commissione europea nei settori non coordinati.
In pratica si propone una limitata armonizzazione diretta a ridurre le disparità tra i meccanismi di controllo nazionale attualmente vigenti, con attenzione a non pregiudicare la coesistenza con la competenza esclusiva dei Paesi membri per la propria sicurezza nazionale e la facoltà di adottare o mantenere in vigore le disposizioni.
Nuove nozioni di investimento estero diretto e investimento nell’Unione con controllo estero
Nella sua proposta di Regolamento, la Commissione introduce una novità giuridica che ha una portata di un certo tenore, con implicazioni relative all’ambito di applicazione dell’attuale Regolamento 452/2019 e al diritto di veto dei Paesi membri. Vengono, cioè, recepite le indicazioni della recente giurisprudenza della Corte europea (caso Xella del 2023, Causa C-106/22), che rappresenta la prima pronuncia sulla compatibilità tra il diritto Ue e i meccanismi di controllo degli investimenti esteri diretti.
La Corte chiarisce il concetto di “investimento estero diretto” adottando un’interpretazione restrittiva delle definizioni riportate nel Regolamento. L’investitore è estero, e l’investimento si qualifica come investimento estero diretto, solamente nel caso in cui la società che esegue l’investimento o l’operazione è costituita in un Paese terzo. La Corte qualifica, dunque, come soggetti europei le società costituite in uno Stato membro da soggetti extra-europei.
Non rientra invece nella nozione l’origine degli azionisti né la presenza di un socio di controllo extra-europeo. Si richiama l’articolo 54 del TFUE dove si stabilisce che lo status di società dell’Unione si fonda sul luogo della sede sociale e sull’ordinamento giuridico di appartenenza della società, e non sulla nazionalità dei suoi azionisti. Ad ogni modo viene specificato che si tratta di una nozione non di ordine generale, ma che si limita all’interpretazione di questo Regolamento e non incide sui meccanismi di controllo previsti dalle normative nazionali, le quali possono qualificare un soggetto come investitore extra-europeo avendo riguardo alla catena di controllo.
Per quanto concerne l’origine dell’investimento estero, la proposta di Regolamento estende il controllo anche agli investimenti effettuati da investitori costituiti e stabiliti in Ue ma controllati da soggetti esteri. Viene introdotta una nuova definizione di ‘investimento nell’Unione con controllo estero’, che è ampliata, prevedendo che l’investimento sia effettuato anche indirettamente da un soggetto estero tramite una società controllata, direttamente o indirettamente attraverso la propria impresa figlia nell’Unione, con l’obiettivo di stabilire o mantenere legami durevoli e diretti tra l’investitore estero e un destinatario dell’Unione.
I prossimi passi dell’iter normativo per la proposta di Regolamento prevedono il passaggio all’esame del Parlamento europeo e del Consiglio Ue. È difficile prevedere la tempistica dell’entrata in vigore, dall’adozione alla promulgazione, e con la vacatio legis in attesa dell’insediamento delle istituzioni nella prossima legislatura, anche se è sempre possibile che alcuni Paesi recepiscano anticipatamente alcuni contenuti nei propri ordinamenti.
Si presenta dunque una diversa tempistica tra quella europea e l’urgenza di disporre di uno strumento più adeguato alla tutela degli investimenti esteri. Se fino a oggi l’Ue ha avuto un atteggiamento di prudenza proponendo un limitato screening peraltro non vincolante per i Paesi membri su un tema “commerciale” nuovo per l’Ue, la sua stessa esistenza ha comunque posto le basi per un suo rafforzamento da inquadrarsi de facto nella dimensione europea. Ne potrebbe conseguire che l’impostazione del prossimo Regolamento venga improntata sull’efficacia di misure che siano armonizzate e comuni, avviando altresì una riflessione sull’opportunità di una gestione anche condivisa dotata di velocità decisionale e poteri di attuazione di contromisure ove ritenute necessarie, contribuendo in tal modo a incentivare sia l’integrazione che la tutela del mercato interno.