Addio a Ratzinger, papa dell’Occidente e dell’Europa

Nell’estate del 2014, quando il papa emerito Benedetto XVI si era già dimesso ormai da un anno, le storie solo apparentemente parallele dell’ormai ex pontefice tedesco e del suo successore, Francesco, s’incrociarono in un derby planetario: la finale dei campionati del mondo. In Brasile, infatti, per il più ambito trofeo del calcio si affrontavano Germania e Argentina, con la prima che ebbe la meglio ai tempi supplementari.

I due papi, seppur con una passione diversa – teutonica quella di Ratzinger, latinoamericana quella di Bergoglio – amano in egual modo il calcio. E a distanza di più di 8 anni, mentre il mondiale ha finalmente ritrovato la strada per Buenos Aires dopo il trionfo di Maradona nel 1986, le condizioni di salute del papa emerito si sono via via aggravate. Fino a che, nell’ultimo giorno del 2022, Ratzinger si è spento a 95 anni.

Un evento in parte atteso, dopo le parole preoccupate dello stesso Bergoglio, che appena un paio di giorni prima della morte aveva chiesto di pregare per Ratzinger. Ma che, ciononostante, priva il Vaticano di una delle figure più iconiche del nuovo secolo: la relativa brevità del suo pontificato, infatti, non ne sminuisce il contenuto. Che convive tra conservazione e innovazione.

La fede da Occidente verso Oriente

Joseph Aloisius Ratzinger, nato nel 1927 a Marktl, nella Baviera meridionale che affaccia sull’Austria, è stato ordinato sacerdote nel 1951 e cardinale da papa Paolo VI nel 1977, a soli 50 anni. Teologo di grande preparazione accademica e docente universitario, Ratzinger ha partecipato anche al Concilio Vaticano II, mentre dal 1981 e fino all’elezione come successore di papa Giovanni Paolo II ha guidato la Congregazione per la dottrina della fede.

Divenuto papa a 78 anni, Ratzinger individuò immediatamente l’epicentro dei problemi della Chiesa cattolica, ereditata dopo quasi un trentennio da Wojtyla: l’Europa. O meglio, la particolare situazione in cui si trovava il continente nei primi anni Duemila, scanditi dagli attacchi terroristi dell’11 settembre negli Stati Uniti e dal coinvolgimento di alcuni Paesi europei nella guerra d’invasione dell’Afghanistan prima e dell’Iraq poi.

Sotto gli occhi di Benedetto XVI si snoda la storia di un’Europa sempre meno cristiana e sempre meno cattolica. La nuova frontiera della fede, come ha dimostrato di saper interpretare Francesco, si stava e si sta spingendo sempre più più a est e a sud. Il bacino dei fedeli in Cina, in Africa e nell’America del sud è ormai incomparabile rispetto a quello del vecchio continente.

Ciò, naturalmente, non dev’essere letto come un’incapacità di Ratzinger nel saper leggere il momento. Del resto, è lo stesso Benedetto XVI a preparare la rotta verso Pechino con una lettera ai cattolici cinesi nel 2007; e ancora, è sempre il pontefice tedesco a guardare con insistenza verso Mosca e la Chiesa ortodossa, con l’intento di riannodare i fili del mondo cristiano. Al contrario, l’impronta europea di Ratzinger era una vera e propria dichiarazione d’amore e speranza per il proprio mondo, quello occidentale, che egli stesso, in un suo libro dal titolo esplicativo – “Senza radici. Europa, relativismo, cristianesimo, Islam” – vedeva allontanarsi da quello che egli aveva imparato a conoscere.

Le dimissioni storiche

Una traiettoria papale che, senz’altro, ha giornalisticamente e collettivamente collocato papa Benedetto XVI nell’alveo dei pontefici conservatori. Lo schema, semplicistico e per questo apprezzato e adottato da molti, lo vuole controparte perfetta di Francesco: arcigno e inflessibile il primo, spontaneo e affabile il secondo. Destra e sinistra, in una dicotomia alla portata di tutti.

Va da sé, che una lettura di questo tipo non può rendere giustizia a questioni complesse. Benedetto si è certamente occupato con solerzia al recupero dell’identità cristiana in Europa, ma lo ha fatto anche affrontano i gravi problemi interni alla Chiesa cattolica, senza chiudere gli occhi di fronte agli scandali della pedofilia, condannata e denunciata con forza e vigore, o di fronte agli “altri da sé”. Proprio Ratzinger, infatti, sono nati gli incontri interreligiosi di Assisi.

E come se ciò non bastasse, è stato il papa che ha trasportato la Chiesa direttamente nel nuovo Millennio, consegnando anche al pontefice, di fatto monarca assoluto, un’aura di umanità inedita, che apre l’istituzione più antica alla fragilità. Le dimissioni del 2013, al di là delle speculazioni e delle – talvolta – spassose dietrologie, hanno aperto il campo all’elezione di Francesco e consegnato alla Chiesa un nuovo capitolo, frutto di una cesura nettissima voluta proprio da Ratzinger.

Si dimetterà anche Francesco?

Un precedente che si inserisce nelle difficoltà fisiche e umane di papa Francesco, che si ritrova alla testa di un vero e proprio spazio transnazionale da oltre un miliardo di fedeli in tutto il mondo. Un impegno che richiede un certo slancio e una continua dedizione, potrebbe adesso senz’altro ripetersi in modo più frequente.

Le voci sulle dimissioni di Francesco, ormai, si rincorrono da anni. La fatica del pontefice, soprattutto negli ultimi mesi, non ha fatto altro che alimentarle. Del resto, lo stesso Bergoglio ha confidato al quotidiano spagnolo Abc di aver già consegnato la lettera di rinuncia all’incarico in caso di impedimento fisico. Non è impensabile, allora, che anche Francesco segua la strada tracciata da Benedetto, papa conservatore, ma anche rivoluzionario.

Foto di copertina ANSA / ETTORE FERRARI / FRR / KLD

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