Missioni militari internazionali: un sistema complesso e integrato

In questi giorni si è tornati a discutere i perché delle missioni internazionali a cui partecipano le nostre Forze Armate. L’attenzione si è concentrata, questa volta, sulla supposta preponderanza dei Paesi coinvolti che risultano di interesse sul piano della sicurezza energetica. L’attuale critica stupisce, quindi, perché sembra voler contestare il diritto di tutelare l’interesse nazionale “diretto” nel caso in cui fosse effettivamente minacciato, mentre, per assurdo, si finirebbe col riconoscerlo nei casi in cui ve ne fosse solo uno “indiretto”.

Gli obiettivi e la percezione della spesa militare italiana

L’analisi non risulta, per altro, molto convincente perché, se si pensa alle nostre quattro principali missioni fino allo scorso anno (Iraq, Afghanistan, Libano, Mare Sicuro, Kosovo), solo nella prima vi è sicuramente un interesse per la sicurezza energetica. A questa, più recentemente si è aggiunta quella (per ora limitata) iniziata in Niger.

In realtà la nostra partecipazione alle missioni internazionali si è sempre mossa secondo logiche molto diverse, a volte addirittura opposte a quelle paventate dalle attuali critiche. Gli obiettivi sono stati, nella stragrande maggioranza dei casi, di carattere generale: contrastare il terrorismo, favorire la stabilizzazione delle aree coinvolte, prevenire o ridurre gli scontri armati, garantire il rispetto degli accordi internazionali, dimostrare la solidarietà verso Paesi amici ed alleati.

Anche per questo è quasi sempre stato difficile far comprendere ai cittadini-elettori che vi era un interesse nazionale da tutelare. In un Paese come il nostro, in cui la cultura della prevenzione è così poco radicata, non deve stupire che anche la cultura della difesa e della sicurezza abbia trovato difficoltà a crescere e radicarsi.

Da un certo punto di vista, se le missioni fossero davvero direttamente collegate alla nostra sicurezza energetica, il sostegno della popolazione sarebbe più facilmente acquisibile. Se le piattaforme, le condutture, le navi e gli impianti che garantiscono l’approvvigionamento energetico del nostro Paese fossero direttamente minacciati o attaccati, l’opinione pubblica sarebbe più portata a comprendere e sostenere un’eventuale azione militare. Cosi come se fossero coinvolte le navi che trasportano tutto quanto è necessario per il funzionamento del nostro sistema economico e, a maggior ragione, la vita di cittadini italiani. Ma, per fortuna, questo è avvenuto solo in poche occasioni.

Le aree di interesse italiane

È evidente che nell’area medio-orientale (compresa la limitrofa area mediterranea sud-orientale) e nell’area che si affaccia sul Golfo di Guinea vi è un forte interesse nazionale a garantire il nostro approvvigionamento energetico. A maggior ragione vi sarebbe stato e vi sarebbe anche in Libia, ma la crisi che vi si protrae da ormai dieci anni è proprio il risultato di non aver saputo domare l’incendio fin dall’inizio, anzi nell’averlo alimentato da parte di alcuni Paesi, complici le nostre incertezze, debolezze e carenze di una chiara ed efficace strategia politica.

Anche nelle relazioni internazionali, quindi, “prevenire” è meglio che “reprimere” e per farlo bisogna far crescere la consapevolezza che le missioni militari internazionali non sono “spese inutili”, ma spese la cui “utilità” è misurata proprio dal limitato e, se possibile, “assente” utilizzo della forza che viene messa in campo. Di qui la necessità di Forze Armate che siano molto flessibili, adeguatamente equipaggiate, ampiamente proiettabili e bene addestrate, oltre che integrabili con quelle dei nostri Paesi amici ed alleati con cui condividere lo sforzo.

Gli elementi approccio integrato nelle missioni internazionali

L’attuale discussione offre, comunque, l’opportunità di un approfondimento in chiave strategica sulle nostre missioni e sugli impegni internazionali delle Forze Armate.

Molte delle attività nelle quali siamo coinvolti sono state, infatti, avviate ormai da anni e le condizioni, ma soprattutto gli obiettivi iniziali, sono significativamente mutati. Infine, diverso è pure lo scenario internazionale, con gli Stati Uniti che concentrano i loro interventi solo sulle aree del mondo che rientrano nel loro interesse strategico e molti nuovi attori che si affacciano in modo assertivo nelle dinamiche delle relazioni internazionali.

Una strategia, in fondo, altro non è che la modalità di impiego coordinato degli strumenti disponibili per conseguire uno specifico obiettivo e si compone di tre elementi essenziali: gli obiettivi, i modi per raggiungerli e i mezzi da impiegare. Questo è l’ordine logico, ma per semplicità conviene invertirlo.

Tradizionalmente, i “poteri dello Stato”, e cioè i mezzi a disposizione per raggiungere gli obiettivi nazionali, sono classificati in quattro categorie: diplomatico, intelligence, militare ed economico. Non esiste una politica estera efficace senza l’impiego coordinato di tutti e quattro i poteri, ovviamente usati con un diverso peso in funzione della situazione e degli interessi in gioco. In alcuni casi essi hanno una funzione “potenziale”, cioè di deterrenza, ma il loro possibile impiego deve essere sempre parte dell’azione politica. Negare tale eventualità porta a politiche inefficaci o velleitarie e quindi al mancato raggiungimento degli obiettivi desiderati.

Il secondo elemento di una strategia riguarda i “modi”, ovvero come tali strumenti sono impiegati nelle varie situazioni per raggiungere gli obiettivi voluti. In alcuni casi l’impiego di un solo strumento, con gli altri a supporto, può essere idoneo a conseguire gli obiettivi, in altri casi, invece, è necessario impiegarli tutti in forma combinata e coordinata. L’unico vero elemento dirimente è l’idoneità della modalità di impiego a raggiungere il fine richiesto.

La tutela di tali interessi non può essere la stessa ovunque nel mondo, ma va perseguita con maggiore sforzo nelle aree ove tali interessi sono più rilevanti. Taluni interessi possono e devono essere garantiti autonomamente. Altri, come consiglia la consapevolezza dei propri limiti, vanno perseguiti mediante uno sforzo comune con Paesi con cui condividiamo i medesimi valori e obiettivi. Altri ancora, attengono a interessi di altissimo valore per l’umanità o alla necessità di operare in un sistema competitivo, ma non caotico e quindi vanno perseguiti a livello di organizzazioni mondiali.

Il terzo elemento riguarda gli obiettivi delle nostre missioni militari che devono essere correlati a precisi interessi vitali o strategici da tutelare: sicurezza dei confini e dei cittadini, libertà e garanzia degli approvvigionamenti e dei flussi commerciali, possibilità di perseguire legittimi interessi economici. Devono anche essere realisticamente ottenibili, pena il ricadere nel tradizionale e vuoto presenzialismo o, peggio ancora, nel velleitarismo.

Su queste basi è in corso un evidente riorientamento della nostra strategia nel campo delle missioni militari internazionali con una maggiore focalizzazione sull’area del Mediterraneo allargato dove sono in gioco più direttamente i nostri interessi nazionali, dove possiamo e dobbiamo assumere maggiori responsabilità e dove, infine, si concentrano alcune delle maggiori minacce alla stabilità e alla sicurezza internazionale. Di qui la necessità di proseguire anche l’impegno messo in atto negli ultimi anni per aumentare la consapevolezza dell’opinione pubblica e dei suoi rappresentanti che bisogna spegnere gli incendi dove nascono. Perché, se poi divampano, rischiano di avvicinarsi con una tale forza che diventa molto difficile poter contrastare.

Foto di copertina ANSA/GIUSEPPE LAMI

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