“Make America Great Again”. Il remake

“Trump.2: la vendetta”. Sembra solo una battuta facile, di fronte alla possibilità di un ritorno del profeta del populismo americano per un secondo, straordinario, mandato alla Casa Bianca. Ma non è affatto una battuta. La vendetta è esattamente non solo il sapore, ma anche la cifra della nuova impresa di Trump. È stato lui stesso ad evocarla: “sono la vostra vendetta” ha detto ai suoi sostenitori. Ma, nel Trump 2024, la vendetta ha due significati: diversi e coincidenti solo nella narrazione dello stesso Trump. Ed è proprio la capacità o meno di farli coincidere, anche per il suo elettorato, la chiave di un possibile (troppo presto per dire probabile) ritorno alla Casa Bianca.

Il primo significato è quello da sempre implicito nel MAGA, il nostalgico slogan Make America Great Again che ha trascinato le fortune elettorali di Trump. Lo slogan – ricorrente nelle campagne populiste, sempre pronte ad evocare passate età dell’oro –  nella versione trumpiana, in realtà, più che un richiamo nostalgico è un grido di battaglia. Nel tribalismo partigiano che domina l’America di oggi, il MAGA è diventato l’inno della rivolta e della rivalsa di larghe fasce di elettorato, decise ad esigere vendetta da un establishment politico-economico-culturale che sentono lontano, ostile e, soprattutto, estraneo: colletti blu colpiti e piegati dalla globalizzazione, tradizionalisti spaventati dall’affermarsi di nuovi diritti e di nuovi protagonisti sociali, quella Middle America che ce l’ha fatta, ma avverte, con crescente insofferenza, lo stigma di avere solo il diploma e non la laurea.

Ma Trump è, anzitutto, esaltazione egocentrica e questa vendetta sociale è, in realtà, soffocata dalla seconda: la sua, personalissima, vendetta contro chi ha lavorato per spodestarlo. La confusione dei due piani è insistita ed esplicita. L’obiettivo di una nuova presidenza, dice Trump, è “sradicare marxisti, fascisti e i delinquenti radicali di sinistra che mentono, rubano e barano sulle elezioni”. È un’ipoteca pesante e sinistra sul prossimo spoglio elettorale, che rischia di essere già uno spartiacque della democrazia americana, ancor più di tre anni fa. Ma per questa democrazia americana, come la conosciamo, la prova più dura sembra arrivare subito dopo, in caso di vittoria di Trump. L’ex presidente, infatti, si propone di ridisegnare in modo inedito, i confini e le competenze della presidenza, prefigurando una sorta di Casa Bianca in salsa latinoamericana.

Dimenticate il Watergate e tutte le vicende (più un buon quarto della produzione di Hollywood), in cui le istituzioni Usa hanno saputo contrastare e sconfiggere pericolose deviazioni, da qualunque parte venissero. A colpi di decreti presidenziali, se occorre, Trump ha già detto che intende porre fine all’indipendenza del Ministero della Giustizia e dell’Fbi, che non sono “un quarto braccio del potere” e vanno portate sotto l’autorità diretta della Casa Bianca. Contemporaneamente, pensa di eliminare le garanzie e le tutele di migliaia di dipendenti pubblici contro il licenziamento, con l’obiettivo di imbottire la burocrazia di personale leale e fidato. “Dobbiamo evitare – chiarisce il futuro candidato repubblicano – che burocrati senza faccia possano perseguitare conservatori, cristiani o i nemici politici della sinistra”. Il repulisti, in particolare all’Fbi e alla Giustizia, è, cioè, la premessa per scatenare, al contrario, una campagna di inchieste e incriminazioni contro i suoi avversari politici.

Emerge, qui, una fragilità del sistema americano, dove molte garanzie e tutele – come l’indipendenza dell’amministrazione pubblica – sono frutto di consuetudini, tradizioni, buona educazione, si potrebbe dire, piuttosto che di leggi ben fissate e sono, dunque, vulnerabili e scavalcabili. Ma questa offensiva non avverrebbe nel vuoto. Si fa fatica, infatti, ad immaginare, nell’America al calor bianco immediatamente successiva ad una nuova vittoria di Trump, la tempesta di panico e rivalsa che avvilupperebbe una Casa Bianca impegnata ad attaccare ad alzo zero, con tutti i mezzi, i suoi avversari, e a ridisegnare la presidenza, mentre combatte, contemporaneamente, contro tutti i suoi processi e, dal 2025, possibili incriminazioni.

Riuscirebbe a navigare la tempesta una Casa Bianca caotica e contradditoria, come quella del primo Trump? No. Ma il Trump 2 si annuncia molto diverso, disciplinato e coerente. Squadre di avvocati sono già al lavoro per consolidare i nuovi poteri presidenziali, mentre è in corso lo screening per reclutare il personale della nuova amministrazione. Uno screening, ha rivelato la stampa, tutto ideologico, volto ad eliminare qualsiasi nostalgico del partito repubblicano di Reagan o Bush. L’obiettivo dichiarato è mettere in marcia un’amministrazione di destra, questa volta, “efficiente”.

Efficiente, in realtà, è dire poco, per un’amministrazione che dovrebbe essere capace di rastrellare milioni di immigrati illegali, radunare migliaia di homeless in appositi campi (l’alternativa, nel programma, è la prigione), mobilitare anche i militari contro un’ipotetica ondata criminale, mentre intimidisce e riduce al silenzio l’opposizione politica.

In prospettiva, il Trump.2 non avrebbe freni. Non la magistratura, che non è in grado (altro elemento di fragilità) di rendere operative sanzioni e sentenze contro un presidente in carica. Non il vecchio partito repubblicano, i cui esponenti, nella prima presidenza Trump, hanno bloccato o vanificato molte iniziative del presidente: l’obiettivo immediato è proprio di tagliare fuori il vecchio Grand Old Party. Non, infine e soprattutto, il Congresso, dove la sola ricandidatura di Trump segnerà la sconfitta dell’establishment e il riallineamento in blocco di deputati e senatori alla nuova guida populista. Non aspettatevi un altro Mike Pence, capace di rintuzzare la rivolta del 6 gennaio.

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