Per papa Francesco il Mediterraneo è un luogo geometrico, che in ogni punto rivela la sua identità. E il viaggio del pontefice a Cipro prima e in Grecia poi, nel quadrante orientale del fu Mare Nostrum, riconferma il senso per Bergoglio del lago euro-africano che separa l’Unione dalla costa meridionale. Esso è immagine plastica della divisione tra Nord e Sud globale, tra integrati nel processo di globalizzazione ed emarginati, tra (presunto) centro e (presunta) periferia. Una faglia su cui Francesco si sposta come un funambolo sulla corda, cercando di evitare gli strattoni del passato e la fretta del futuro.
Il viaggio apostolico a Cipro e in Grecia, il trentacinquesimo per Bergoglio, fa del papa un moderno Giano bifronte, impegnato tanto a guardare al passato quanto al futuro, dove l’uno e l’altro sono il continente europeo e quello asiatico. Che Francesco stia proiettando la Chiesa verso il nuovo mondo del XXI secolo – leggasi, Estremo Oriente – non è una novità. Così come non lo è il progressivo depauperamento cristiano dell’Europa: il Pew Research Center di Washington, nel 2050, disegna un continente prevalentemente di nones, ovvero non affiliati ad alcun credo.
Ciò, comunque, non corrisponderà a un cristianesimo decadente. Anzi: continuerà a essere la religione più praticata. Dunque? Follow the demography, riadattando un famoso slogan. Seguendola, torneremo nuovamente nel Sud globale, in Africa e in Asia. Tagliare fuori la Chiesa da questo fiume di genti, significa spegnerne la missione principale: l’evangelizzazione. Per questo il cattolicesimo di Francesco non si traduce in una casa madre, ma in un network di tanti, diversi centri.
Democrazia e migrazioni, debolezze europee
Tra l’isola e la penisola, papa Francesco ha lanciato strali al continente. La visita a Cipro e in Grecia, utile anche per riannodare i fili del discorso sulla piena comunione dei cristiani con la Chiesa ortodossa, ha spinto il pontefice ancora una volta sul posto. Perché quando Bergoglio ha invitato i giornalisti a “consumare la suola delle scarpe” per “verificare le situazioni in cui si vive nel nostro tempo”, lo ha detto per esperienza personale.
A Nicosia, Francesco ha puntato il dito sui muri dell’Europa. La stessa capitale cipriota è divisa a metà da barriere fisiche e mentali: 180 chilometri di filo spinato e sacchi di sabbia che dal 1974 dividono i turchi dai greci. Un richiamo non casuale, che arriva mentre la crisi migratoria al confine europeo tra Polonia e Bielorussia, dove oggi non sono ammessi neppure cronisti ed eurodeputati. Sulla quale, in mondo visione, l’Unione europea si è accartocciata su se stessa, complice il battibecco tra Charles Michel e Ursula von der Leyen riguardo alla possibilità, per Varsavia, di costruirsi un muro al confine coi soldi di Bruxelles.
È tornato idealmente a Lampedusa papa Francesco, il suo primo viaggio da pontefice nel 2013. Mentre è riapparso fisicamente a Lesbo, dove nel 2016 aveva fatto visita al campo profughi di Moria. A Cipro come sull’isola italiana e quella greca, Bergoglio ha gettato il sale sulle ferite, richiamando l’attenzione delle istituzioni europee e nazionali sul fenomeno migratorio. Ha citato i lager libici, gli orrori del nazismo di cui ci stupiamo e che quotidianamente vediamo ripetersi in quei luoghi. E ha chiamato in causa l’Occidente intero, quella “civiltà sviluppata” che continua a fuggire dalle proprie responsabilità di fronte a quelli che la globalizzazione ha scartato in modo violento.
A voce ancor più alta lo ha fatto poi ad Atene, dove quell’Occidente è sorto insieme alla democrazia. Alla quale papa Francesco ha richiamato direttamente l’Unione europea, contrapponendola a quei populismi e nazionalismi che ne stanno lacerando il sogno di fratellanza tra i popoli. Per non rischiare di risvegliarsi isolati e lontani da dove scorre la storia.
La Chiesa che naviga a Oriente
Tra Atene e Nicosia passa la cerniera tra il passato e il presente della Chiesa immaginata da Francesco. Il percorso di Bergoglio verso l’Asia non è un capriccio, ma una visione geopolitica che riporta il cattolicesimo sulle strade del mondo.
La virata verso Oriente, per papa Francesco, ha un doppio significato. Senza l’Asia, sineddoche di Cina, il futuro della Chiesa e della fratellanza globale non può essere neppure pensato. Per questo la barca petrina deve lasciare il porto sicuro – e senescente – d’Europa per avventurarsi nell’Oceano Indiano e nel Mar Cinese Meridionale, perché qui il mercato di anime si fa ricco e decisivo. Allo stesso modo, per costruire il progetto di Fratelli Tutti, l’ultima enciclica di Francesco, serve coinvolgere e avvolgere pure Pechino. Pena, rimanere universali, ma non globalizzati.
Le sferzate all’Occidente, anche a questo scopo, sono utili. Levare l’ancora dall’Atlantico e dal Mediterraneo e ammainare la vela euro-americana servono per avvicinarsi alla Cina liberi da zavorre ideologiche che renderebbero ancora più complessa la navigazione della Chiesa in Asia. E per arrivarci, serve aprire la cerniera greco-cipriota. La strada, da lì in avanti, è tutta da percorrere.
Foto di copertina ANSA/ VATICAN MEDIA