Le radici dell’ostilità della destra Usa per l’Europa

Che l’amministrazione Trump covasse per l’Europa un’ostilità profonda era noto. Con la nuova Strategia di sicurezza nazionale, quella ostilità assurge a principio strategico: l’avversario degli Stati Uniti non è il regime dispotico e imperialista della Russia, con cui invece si auspica un accomodamento. Né lo è il partito-stato cinese determinato a costruire la sua influenza internazionale controllando catene del valore di materiali e beni cruciali per l’economia e la società moderne – con cui è necessario gestire con cautela la competizione. La più urgente sfida strategica per gli Stati Uniti è abbattere il progetto di integrazione europea e delegittimare i valori che ne stanno alla base.

Debolezza militare

Donald Trump è spesso descritto come imprevedibile e opportunista, privo di forti convinzioni. In realtà, fin dagli anni ‘80 Trump ha mantenuto tre assunti: il libero commercio danneggia gli Stati Uniti; gli alleati sfruttano la protezione americana per risparmiare in difesa; il potere si esercita esclusivamente con la forza.

Questi principi si scontrano con la logica dell’integrazione europea: l’Ue è un’economia aperta che ha beneficiato della liberalizzazione del commercio; è rimasta fino a tempi recenti lontana dalla dimensione della difesa, affidata per buona parte dei membri a una Nato a guida americana; ed è regolata da meccanismi decisionali che bilanciano stati grandi e piccoli e istanze pan-europee e nazionali.

Questo spiega tanto il disprezzo di Trump per l’Europa quanto la sua ammirazione per leader come Vladimir Putin o Xi Jinping, il cui potere all’interno è incontestato e la cui libertà d’azione sul fronte estero non incontra ostacoli.

In questo senso, la promessa di procedere a un sostanziale ridimensionamento della presenza militare americana in Europa, trasferendo ai membri europei della Nato la responsabilità primaria per difesa e deterrenza convenzionali, è un modo per gli Stati Uniti di scaricarsi dell’opportunismo europeo e liberare risorse per meglio giocare la partita con le altre grandi potenze.

Questa però è solo una parte della storia, quella che più si può associare a Trump. Infatti, questa Strategia di sicurezza nazionale – almeno la parte sull’Europa – riflette un progetto ideologico più ampio, che ha nel vicepresidente JD Vance e nelle forze politiche ed economiche a lui vicine il principale ispiratore.

Tradimento culturale

Per quanto sia l’alfiere del nuovo conservatorismo di destra americano e del movimento Maga, Trump ne condivide solo parzialmente la piattaforma ideologica, che è stata per lui più un trampolino per il potere che una guida di governo. Allo stesso modo, il nazionalismo conservatore ha trovato in Trump la leva per rovesciare i termini di un discorso pubblico plasmato per decenni dall’internazionalismo liberale (di destra e sinistra) in senso nativista, sovranista, intollerante e tendenzialmente autoritario.

Se il rapporto di Trump con il movimento Maga è istintivo e opportunistico, quello di Vance è invece organico e consapevole: le idiosincrasie del presidente, espresse in lunghi, rozzi e spesso sguaiati sfoghi online, nel linguaggio forbito e articolato del vicepresidente assumono un carattere ideologico preciso. Per Trump l’Europa è oggetto di antipatia viscerale, ma per Vance essa è anche fonte di lamento nostalgico: una comunità di Stati che, avendo condiviso parte della loro sovranità in un sistema istituzionale fondato su inclusione e diversità, avrebbe tradito le sue origini storiche, culturali e religiose, indebolendo il senso di comunità nazionale.

Questa Europa, o meglio questa Ue, non sarebbe il frutto di scelte democratiche, ma un’operazione di élite globaliste e tecnocratiche volta a spezzare la forza dei governi nazionali e ad aprire le porte all’immigrazione da paesi culturalmente irriducibili all’Europa bianca e cristiana. Alle élite europee viene anche attribuita l’opposizione alla “pace” in Europa, un riferimento all’indisponibilità dei paesi europei di sostenere un accordo con la Russia a spese dell’Ucraina. È per questo che la Strategia di sicurezza nazionale promette solidarietà ai “patrioti” europei, ovvero ai movimenti nazionalisti che condividono l’agenda nativista, reazionaria e sovranista dei Maga e che, per la maggior parte, vedono nella Russia di Putin, autoproclamatasi campione della tradizione cristiana, un punto di riferimento.

Forza regolatrice

Se da una parte l’Ue viene apertamente disprezzata perché debole, dall’altra l’ostilità della destra americana cela anche un timore per la sua forza nascosta.

Tra i principali critici dell’Ue figurano, non a caso, le grandi compagnie high-tech americane, che si sono riconvertite in ossequiose sostenitrici di Trump. In parte si tratta di una vicinanza opportunistica, dovuta alle promesse dei Repubblicani di bassa tassazione e deregolamentazione selvaggia, ma per alcuni è anche in ballo un progetto politico-ideologico. È così per Elon Musk, che propina ai suoi milioni di followers su X improbabili accostamenti fra Ue e regimi totalitari. Ma è anche il caso di Peter Thiel, il fondatore della società di analisi dati Palantir, che come SpaceX ha sviluppato un legame simbiotico col governo federale Usa. Similmente a Musk, Thiel associa decadenza spirituale e calo demografico e professa una visione oligarchica della società in cui il potere ruota attorno ai grandi monopoli tecnologici. Ma al contrario di Musk, mantiene un basso profilo pubblico, preferendo agire indirettamente grazie alla sua estrema vicinanza a Vance, di cui peraltro ha finanziato l’ascesa politica.

In questa prospettiva, l’Ue è un ostacolo perché ha cercato di porre limiti rigorosi all’uso dei dati personali, all’accentramento monopolistico dei mercati digitali e alla gestione dei contenuti sulle piattaforme social.. Le accuse di essere un freno all’innovazione e di censura del ‘libero pensiero’ rivolte così spesso all’Ue da parte della destra Usa sono un modo per delegittimare la resistenza a un modello di mercato completamente deregolamentato e concentrato nelle mani di pochi attori dominanti. Il sostegno politico all’Amministrazione Trump di figure come Musk e Thiel trasforma tensioni economico-regolatorie in un vettore di pressione politica e ideologica, consolidando il legame tra lobby tecnologiche e strategia di contrasto dell’Ue.

La lotta per l’Europa

Dietro la Strategia di sicurezza nazionale di Trump/Vance non si cela tanto il disinteresse nei confronti dell’Europa quanto l’interesse a subordinarla attraverso l’indebolimento strutturale dell’Ue e l’allineamento politico-culturale delle forze di destra transatlantiche. Il progetto è ambizioso ma non irrealizzabile. Dopotutto, in anni recenti l’Europa ha visto la sua dipendenza dagli Stati Uniti crescere piuttosto che diminuire – un processo accelerato dalla guerra di conquista dell’Ucraina da parte della Russia. Dal sostegno a Kyiv alla difesa continentale, dalle forniture di gas a quelle di servizi di intelligenza artificiale, i paesi europei riposano grandemente su Washington.

Tuttavia, è anche un progetto che presuppone un’unità del fronte conservatore americano – che resta da verificare una volta uscito di scena Trump, la cui popolarità è peraltro in calo – e una continua passività o complicità europea. I partiti di destra sono in ascesa, ma la loro forza elettorale non si traduce in pari capacità di influire sulle politiche, dovendo confrontarsi con la scarsa popolarità in Europa di Trump e delle sue decisioni, dalle tariffe all’appeasement di Putin.

In realtà, la politica estera di Trump, anche quando se ne condividono le premesse nazionaliste, alimenta in Europa una domanda di sicurezza e di welfare che non può essere soddisfatta da un rapporto di vassallaggio con gli Stati Uniti. In questo contesto, la Strategia di sicurezza nazionale di Trump/Vance ha aperto lo spazio per una battaglia politica volta al rafforzamento radicale dell’Ue: non come una controffensiva europea contro l’America, ma come una lotta per l’Europa. La speranza è che quello spazio non resti vuoto.

Coordinatore delle ricerche e responsabile del programma Attori globali dell’Istituto Affari Internazionali. I suoi interessi di ricerca si concentrano sulle relazioni transatlantiche, in particolare sulle politiche di Stati Uniti ed Europa nel vicinato europeo. Di recente ha pubblicato un libro sul ruolo dell’Europa nella crisi nucleare iraniana,“Europe and Iran’s Nuclear Crisis. Lead Groups and EU Foreign Policy-Making” (Palgrave Macmillan, 2018).

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