La vigilia di una candidatura senza entusiasmo

La data scelta non è causale: il 25 aprile, cioè esattamente quattro anni dopo l’annuncio, circondato da molto scetticismo, della candidatura – rivelatasi poi vincente – a Usa 2020: Joe Biden non fa più mistero di volere correre per un secondo mandato e si appresta a scendere ufficialmente in campo questa settimana, quasi sicuramente domani. La stampa Usa è concorde in merito: un video ‘stile campagna elettorale’ è pronto per essere diffuso, dando l’avvio a un’aggressiva ‘raccolti fondi’, perché senza soldi si va magari in Paradiso, ma non alla Casa Bianca.

Naturalmente, eventi esterni imprevedibili, in Ucraina o in Sudan o altrove, possono sempre indurre Biden a modificare i tempi dell’annuncio, anche all’ultimo istante. Ma la decisione di candidarsi “è presa”, dice alla Cnn una fonte di rango democratica. Il presidente candidato metterà a Wilmington, nel Delaware, dove ha casa e dove trascorre la maggior parte dei fine settimana, il quartier generale della sua campagna.

Nato a Scranton in Pennsylvania, il presidente ha vissuto in Delaware dalla fine degli anni Sessanta: nel 1972 venne eletto senatore di quello Stato e fu poi confermato per sei mandati, 36 anni. Come manager della campagna, si fanno i nomi di Julie Chavez Rodriguez, direttrice d’un ufficio della Casa Bianca e vice-manager nel 2020; di Jenn Ridder, già nel team di Biden nel 2020; e di Sam Cornale, direttore esecutivo del comitato nazionale del partito democratico.

Una candidatura senza entusiasmo né avversari

Stando ai sondaggi, la candidatura di Biden non fa l’unanimità fra i democratici, specie fra i giovani e i ‘liberal’: in parte perché il presidente ha ormai compiuto 80 anni e ne compirà 82 due settimane dopo le presidenziali 2024, il 5 novembre – e già quando fu eletto del 2020 era il presidente più anziano nella storia degli Usa; un po’ perché i suoi risultati non sono stati finora entusiasmanti, nell’economia e nella lotta all’inflazione e anche nella difesa dei diritti sociali, civili e di genere, insediati da una Corte Suprema di impronta fortemente conservatrice.

Ma i democratici sono pronti ad appoggiarlo in larghissima maggioranza se dovesse ottenere, com’è probabile, la nomination, specie se il suo avversario fosse di nuovo Donald Trump, in una rivincita del 2020 che tutti i progressisti e i moderati si augurano sia una ‘riperdita’.

L’età di Biden è di recente ritornato un tema di discussione per i problemi di salute della senatrice Diane Feinstein, democratica della California, 89 anni, la più anziana dei senatori statunitensi, assente da mesi dai lavori in aula: una latitanza che sottolinea i rischi di una “leadership geriatrica” e che ostacola l’agenda dell’Amministrazione, impegnata ad innalzare il tetto del debito per evitare il primo default nella storia Usa.

Fra i nodi che Biden dovrà sciogliere, c’è quello del suo vice: se confermare o meno Kamala Harris, la cui performance alla Casa Bianca è stata inferiore alle attese, complice qualche attrito interno.

Il campo democratico è sguarnito di avversari e, una volta sceso in campo il presidente, tale resterà. In lizza, c’è Marianne Williamson, scrittrice, attivista dei diritti di genere, candidata alla nomination nel 2020 – ma pochi se ne accorsero -; e ci potrebbe essere Robert F. Kennedy, 69 anni, nome forte – è figlio di Robert Kennedy e nipote di John Kennedy -, ma poco più che una macchietta politica, avvocato ambientalista, attivista ‘no vax’, negazionista e cospirazionista.

I repubblicani punteranno a sgretolare l’immagine di Biden, con un’inchiesta sul figlio Hunter, problemi di droga, trascorsi d’affari non brillanti e una connessione ‘pre-guerra’ con l’Ucraina molto chiacchierata (forse senza motivo).

Il GOP ostaggio di Trump

Il campo repubblicano è, per il momento, dominato dall’ingombrante candidatura di Donald Trump, ma si va infittendo di mezze figure, in attesa che il governatore della Florida Ron DeSantis decida se puntare o meno alla nomination. L’ex vice del magnate presidente, Mike Pence, potrebbe pure scendere in campo, senza molte speranze: nell’attesa, accentua la sua posizione critica nei confronti del suo ex boss, contro cui intende deporre nell’inchiesta relativa alla sommossa sobillata da Trump il 6 gennaio 2021 per indurre il Congresso a rovesciare l’esito delle elezioni.

Già in campo, ci sono Nikki Haley, 51 anni, già sodale di Trump, governatrice della South Carolina e rappresentante degli Usa all’Onu, origini indiane e grandi qualità, ma una popolarità da costruire; l’imprenditore Vivek Ramaswamy, 37 anni, che cerca un po’ di visibilità; l’ex governatore dell’Arkansas Asa Hutchinson, 73 anni, un ‘non trumpiano’; e il giornalista radiofonico conservatore Larry Elder, che nel 2021 non riuscì a diventare governatore della California. Invece, il senatore della South Carolina Tim Scott, 58 anni, l’unico senatore nero repubblicano, ha insediato un comitato per esplorare le chances di una propria candidatura e sta battendo lo Iowa, lo Stato dove i repubblicani apriranno le primarie.

Nei sondaggi fra i repubblicani, Trump ha un forte vantaggio – 14 punti – sul suo potenziale rivale più pericoloso, DeSantis. L’ufficializzazione della ricandidatura di Biden aumenterà probabilmente la pressione sul governatore della Florida e sul partito repubblicano, dove è diffusa la percezione che il magnate possa ottenere la nomination, ma sia poi destinato a perdere le elezioni. Biden ha già battuto Trump nel 2024 e lo scontro su temi come l’aborto, i diritti di genere e l’accesso al voto delle minoranze potrebbe ulteriormente favorirlo.

Senza contare che, più che a fare campagna, il magnate ex presidente è per il momento impegnato sui fronti giudiziari. Rinviato a giudizio a New York, cerca di sfruttare le sue vicissitudini vestendo i panni del perseguitato politico: negli Stati Uniti, nelle ultime settimane, una canzone che ne canta le gesta, dove compare un coro di detenuti accusati per l’insurrezione del 6 gennaio 2021, è stata in testa a una hit parade.

Se Trump è pure chiamato a deporre nell’inchiesta sugli affari della Trump Organization, la holding di famiglia, i suoi fedelissimi alla Camera, dove i repubblicani sono in maggioranza, se la prendono con Alvin Bragg, il procuratore di New York che ha avuto l’ardire di incriminarlo per cospirazione, e convocano in Campidoglio a testimoniare suoi ex collaboratori. Bragg, però, non resta passivo: accusa Jim Jordan, presidente della Commissione Giustizia, deputato repubblicano, di intimidazione nei suoi confronti: “Il Congresso – rileva – non ha il potere di interferire in un’inchiesta criminale”.

Secondo numerosi osservatori, il peggio per Trump verrà dalla Georgia: nell’autunno 2020, l’allora presidente cercò di indurre le autorità locali a ribaltare il risultato elettorale in quello Stato. È convinzione diffusa che il processo di New York e le altre inchieste intersecheranno la campagna. Un esempio: ad agosto il primo dibattito fra aspiranti alla nomination repubblicani potrebbe coincidere con il prossimo atto del dibattimento newyorchese.

Foto di copertina EPA/JIM LO SCALZO / POOL

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