La storia dei confini ci insegna quali combattere

Siamo parte di un mondo globalizzato e interconnesso la cui forza risiede nel libero mercato e nella libera circolazione delle persone senza più limiti. I confini, però, sono ancora considerati uno strumento essenziale della politica globale in quanto aiutano a proteggere la sicurezza e l’identità dello Stato.

“Free-political borders”

Se parliamo rigorosamente di confini politici, la conclusione della Guerra Fredda segnò la fine della divisione dell’Europa in due blocchi e l’esempio più emblematico fu la caduta del muro di Berlino nel 1989. Già nel 1963, la frase pronunciata dal presidente degli Stati Uniti Kennedy a Berlino: “Ich bin ein Berliner” (“Sono di Berlino”) divenne il simbolo di un’auspicata unità, così come la perestroika del presidente russo Gorbaciov che pose le basi per un rinnovato dialogo tra Oriente e Occidente.

In Europa fu la creazione dell’area Schengen a dare impulso alla teoria del “free-political borders”. Questo principio fu originariamente messo in evidenza da Altiero Spinelli nel “Manifesto di Ventotene” del 1945, che introdusse l’idea di un’identità europea, prioritaria rispetto ad un’identità nazionale. In tempi moderni, l’abolizione dei confini politici è stata un concetto chiave nel pensiero liberale, soprattutto per quanto riguarda i temi dell’immigrazione.

D’altra parte, ci sono punti di vista che difendono l’esistenza dei confini politici. John J. Mearsheimer, studioso appartenente alla scuola realista, afferma che grandi potenze come gli Stati Uniti hanno sempre cercato non solo di delimitare confini netti con altri paesi, ma anche di cambiarne le ideologie per proteggere la loro egemonia. In questo senso potremmo citare il sostegno degli Stati Uniti al rovesciamento del presidente socialista Allende in Cile poiché si temeva un legame di quest’ultimo con l’Unione Sovietica.

“Cittadini del mondo” in guerra identitaria

Analizzando il concetto di confine culturale, ossia l’identità nazionale di ognuno, notiamo che l’idea per cui i confini del paese, in termini di differenziazione culturale, dovrebbero essere eliminati risale ai sofisti: essi, infatti, consideravano ogni persona un “cittadino del mondo”, sostenendo che le affiliazioni nazionali fossero irrilevanti. Non tutti recepirono il pensiero sofista. Il presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson, infatti, riteneva che l’instaurazione di confini culturali avrebbe promosso la pace internazionale. Credeva che gruppi di persone con background e tradizioni diverse, senza confini, si sarebbero scontrati militarmente.

Le barriere nel sistema capitalista

Negli ultimi decenni l’economia sembra non avere avuto barriere, grazie allo sviluppo tecnologico a cui abbiamo assistito dagli anni ’90 in poi con il boom del commercio online. Anche l’economia free-borders, però, non è esente da critiche, come evidenzia la prospettiva marxista, secondo cui nonostante non ci siano apparenti confini economici, gli stati più ricchi prosperano a spese dei paesi più poveri. Il sistema economico quindi, diventa solo uno strumento di ingiustizia sociale con cui i paesi ricchi creano confini a loro piacimento. Si pensi al muro USA-Messico, o alle restrizioni attraverso il Mar Mediterraneo.

I confini e la pace

Se parliamo di barriere da un punto di vista sociologico, notiamo come spesso associamo i confini a un’inevitabile divisione tra popoli, ma dobbiamo anche considerarli in maniera più critica, comprendendo che a volte essi possono anche unire. Partendo dalla fine della prima guerra mondiale, notiamo come, con la creazione di più confini, a molti paesi sia stata data l’indipendenza e quindi una condizione di pace. L’impero austro-ungarico si dissolse dando vita all’Austria, Ungheria, Cecoslovacchia e Jugoslavia. Il crollo dell’Impero russo ha creato diversi stati come i Paesi baltici, la Finlandia e la Polonia.

Dovremmo pensare alle frontiere anche come accordi, che portano a un processo di pace. Se citiamo la contesa regione del Kashmir tra India e Pakistan, notiamo che non essendoci un confine netto nella regione, l’area è stata caratterizzata da continue guerre e violenze. Anche nella questione israelo-palestinese, l’unico momento in cui la regione ha assistito a un periodo di relativa pace è stato dopo gli Accordi di Oslo del 1993 che hanno cercato di definire le rispettive aree di influenza delle due parti.

I diritti umani non dovrebbero conoscere confini

La questione dei confini è molto delicata. È chiaro che potrebbe essere impossibile eliminarli totalmente tra i vari paesi. Quello che si può davvero fare è abbattere le frontiere in materia di diritti umani e di rispetto di ogni cultura, tradizione e religione. Il diritto internazionale ha il dovere di garantire che tutto il mondo possa godere dei diritti umani fondamentali. La presenza di organizzazioni internazionali non governative, che si facciano garanti di tali principi, dovrebbe essere accresciuta e protetta. Organizzazioni come Amnesty International, UNICEF o UNHCR dovrebbero essere prese più sul serio a livello legale e internazionale poiché sono sempre state coinvolte nel tentativo di stabilire diritti universali, che di fatto non conoscono barriere.

 width=Il PremioIAI è stato realizzato con il contributo del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ai sensi dell’art. 23- bis del DPR 18/1967

 

Le posizioni contenute nel presente report sono espressione esclusivamente degli autori e non rappresentano necessariamente le posizioni del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale

L’autrice è una dei finalisti del Premio IAI “Giovani talenti per l’Italia, l’Europa e il mondo”. I loro saggi,sul tema “I confini in un mondo interconnesso” saranno pubblicati nelle collane editoriali dello IAI. I primi tre classificati avranno l’opportunità di discutere le proprie idee in un evento con personalità del mondo politico, culturale, scientifico, che si svolgerà a novembre.

Foto di copertina EPA/Mario Caicedo

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