La nuova legge sull’immigrazione è già morta

di Marco Arvati

“Non c’è alcuna possibilità che riotterremo dei progressi del genere nelle politiche migratorie, servirebbero 60 seggi al Senato, e non succederà”. Sono le parole del Senatore repubblicano del South Dakota John Thune, che evidenziano molto bene le discussioni che ci sono state questo mese sulle frontiere esterne degli Stati Uniti.

Abbiamo assistito al terzo grosso tentativo bipartisan di cambiare le regole sull’immigrazione da parte della politica statunitense. I primi due, datati 2007 e 2014, nascevano nel tentativo di regolarizzare e rendere più facile l’accesso negli Stati Uniti, ma vennero demoliti dall’ala più dura del Partito Repubblicano. Oggi ci troviamo di fronte a uno scenario opposto: il piano, negoziato da James Lankford del Partito Repubblicano, Kyrsten Sinema come indipendente e Chris Murphy per il Partito Democratico, e avallato dai rispettivi leader Mitch McConnell e Chuck Schumer, avrebbe rappresentato un’intensa svolta a destra per gli Stati Uniti.

La tattica di Trump e la legge sull’immigrazione

La bozza prevedeva un limite di 5.000 richiedenti asilo che sarebbero potuti entrare giornalmente, un allargamento del numero di immigrati legali ma con procedure molto più strette per la richiesta e rimpatri molto più immediati. Come ha evidenziato il Senatore Thune, è esattamente quello che il Partito Repubblicano chiede da decenni e che non è mai riuscito a fare. Si sarebbe dunque dovuto profilare una facile approvazione delle due camere; senonchè l’ala più estremista del GOP ha nuovamente bloccato tutto, su ordine del candidato presidente Trump. Ed è paradossale, dato che, usando le parole del giornalista della CBS Camilo Montoya-Galvez, “ci troviamo di fronte a una delle leggi più dure sull’immigrazione nella storia moderna”.

Cosa spinge, quindi, i principali leader politici alla Camera, come Steny Hoyer ed Elise Stefanik, a dichiarare questa proposta morta ancora prima che possa prendere vita? La lealtà all’ex-presidente Donald Trump. La campagna elettorale è entrata nel vivo e la strategia migliore del tycoon per mettere in difficoltà Biden è puntare sull’insicurezza degli americani, che osservano una situazione sempre peggiore al confine col Messico, un flusso di arrivi sempre più alto e centri per migranti nelle città pieni fino all’orlo. Le rilevazioni sondaggistiche evidenziano che chi sostiene Trump pone questo tra i primi problemi per cui andrà a votare, e Trump non può permettersi che la situazione venga risolta, neppure se con l’accettazione di gran parte delle sue politiche.

Per questo le persone più vicine al leader repubblicano si sono discostate dall’accordo, definendolo troppo di sinistra e dichiarando troppi i 5.000 ingressi consentiti. Allo stesso modo, l’ala più di sinistra dei democratici non ha alcun interesse a votare un accordo che è definito da tutti come “il sogno delle destre”, che farebbe precipitare il discorso pubblico sull’immigrazione indietro di quarant’anni. Questo accordo non lo vogliono i conservatori più intransigenti, non lo vogliono i progressisti e non lo vuole Donald Trump: lo vuole invece il presidente Biden, che continua a chiedere che questa legge gli venga posta sul tavolo in modo da firmarla e renderla esecutiva, e lo vogliono molti repubblicani meno oltranzisti, che sanno di essersi trovati di fronte un insperato regalo della leadership democratica, che dopo le elezioni non sarà più propensa a negoziare partendo da queste posizioni.

Una legge nata morta

L’accordo è saltato ancora prima di essere votato al Senato e quindi non verrà nemmeno preso in considerazione dalla Camera; è una legge nata e morta, senza mai essere votata, nel giro di due settimane. Così facendo non c’è possibilità che si disinneschi la retorica trumpiana sull’inefficacia del presidente Biden nella gestione dei confini, inefficacia che però è frutto proprio delle mosse dei repubblicani più vicini a Trump. È un rischio per i repubblicani, che hanno deciso di non ottenere una grande vittoria politica e culturale, dato che hanno costretto i democratici a discutere di confini ponendo sopra a tutto l’approccio securitario, nel tentativo che questa sconfitta li porti più vicini alla Casa Bianca. E se dovessero farcela, e Trump si reinsediasse a Pennsylvania Avenue, una legge così radicale non passerà mai, dato che i democratici non saranno più inclini a mediare su determinati temi come in un anno elettorale.

Al netto di come la si pensi sui confini e sulle politiche da adottare, se respingenti o accoglienti, demolire una delle proprie proposte politiche più riconoscibili col solo scopo di tornare al potere è l’ennesima sconfitta culturale di un Partito Repubblicano che non ha più alcuna proposta chiara o comunque è disposto ad autosabotarsi pur di tornare alla presidenza.

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