La doppia minaccia nucleare che grava sull’Ucraina

L’aggravarsi del conflitto in Ucraina ha riportato in primo piano il rischio nucleare. Due diverse dimensioni di tale rischio sono al centro dell’attenzione internazionale: da una parte, il possibile uso dell’arma atomica da parte della Russia, evocato in più occasioni dai suoi dirigenti e dall’altra, le minacce incombenti alla sicurezza delle centrali nucleari, rese più acute dalla recente serie di esplosioni, apparentemente causate da mine, verificatesi nelle vicinanze dell’impianto di Zaporizhzhia. 

Armi nucleari tattiche e strategiche

Le ripetute dichiarazioni del Cremlino sul possibile uso della bomba nucleare – ultima, in ordine di tempo, quella di Putin in occasione della cerimonia per le nuovi annessioni –  hanno suscitato commenti e riflessioni sulle differenze fra le cosiddette “armi nucleari tattiche” e quelle “strategiche”. Uno fra i temi più discussi è quale, fra le due categorie, rappresenti la minaccia più concreta.

Si definiscono tattiche le armi nucleari a corto raggio, ovvero quelle che possono essere portate da missili in grado di colpire obiettivi ad una distanza massima di 500 chilometri. Si tratta di armi destinate ad essere usate in un combattimento circoscritto, essendo di dimensioni ridotte (rispetto alle armi strategiche) e con  una potenza, di conseguenza, minore; potenza che però può raggiungere i 50 chilotoni, con effetti anche più devastanti della bomba sganciata su Hiroshima (la cui potenza era di 15 chilotoni). Le armi nucleari tattiche possono essere usate su obbiettivi militari o civili o anche simbolici.  

Le armi strategiche sono di dimensioni più grandi e possono essere lanciate da distanze superiori ai 500 km: servono a colpire obiettivi lontani dal campo di battaglia, di fondamentale importanza per la capacità di risposta del nemico, di cui possono mettere a repentaglio la stessa sopravvivenza. 

Nonostante le differenze in termini di dimensioni e potenza, non si deve pensare che le une siano meno pericolose delle altre. L’esplosione di un ordigno nucleare avrebbe in ogni caso effetti distruttivi immediati e molteplici che vanno dall’onda di calore con temperature elevatissime ad una potentissima onda d’urto. Questi primi effetti sarebbero seguiti dal rilascio di radiazioni in varie forme, il tutto in tempi comunque molto rapidi e con un raggio di azione esteso. Seguirebbe il cosiddetto “fallout”, ovvero la ricaduta di materiale e pulviscolo radioattivo, che amplificherebbe gli effetti dell’esplosione portando alla contaminazione di aree ancor più vaste.

Possibili incidenti alle centrali nucleari 

La minaccia nucleare nel conflitto in Ucraina ha anche un’altra dimensione, quella della sicurezza delle centrali. I bombardamenti nelle vicinanze dei maggiori impianti nucleari del Paese hanno aumentato il rischio di un incidente nucleare. 

Per incidente nucleare si intende, in questo caso, qualsiasi incidente in questo tipo di installazioni – dal reattore al materiale in fase di trasporto o in stoccaggio –  che possa comportare il rilascio di sostanze radioattive. Si tratta di un evento sostanzialmente diverso dall’esplosione di un ordigno nucleare contro le forze di un paese nemico: il rilascio di sostanze radioattive avverrebbe a seguito di un incidente all’impianto. Le cause potrebbero essere accidentali o intenzionali, con effetti diversi a seconda del tipo di materiale utilizzato, del punto di rilascio, e della rapidità con cui si manifestano tali effetti. 

Gli esperti hanno spiegato come le infrastrutture dei reattori siano fra le più resistenti a eventi esterni, sia accidentali che intenzionali, inclusi gli attacchi di artiglieria pesante. Nel caso delle centrali nucleari ucraine, hanno infatti destato preoccupazione soprattutto i ripetuti bombardamenti delle zone circostanti, non tanto per possibili danni fisici alle strutture, ma per aver causato l’interruzione dell’elettricità necessaria a mantenere il raffreddamento dell’impianto e delle piscine che contengono il combustibile esausto: una situazione simile a quella dell’incidente di Fukushima in Giappone. 

Se si verificasse un incidente con rilascio di sostante radioattive, sarebbe essenziale mantenere il monitoraggio del livello di radiazioni dell’area. Questa funzione è garantita da un sistema di rilevazione che è anch’esso dipendente da un costante e adeguato approvvigionamento di elettricità. Il fatto che quest’ultimo sia messo in pericolo dal conflitto rappresenta quindi un ulteriore motivo di apprensione. 

La messa in sicurezza definitiva dell’impianto di Zaporizhzhya rimane una priorità per tutta la comunità internazionale e in questi giorni il Direttore Generale dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) sarà di nuovo in viaggio verso Kiev e Mosca nel tentativo di ristabilire gli standard minimi di sicurezza.

Foto di copertina EPA/D. CANDANO LARIS

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