La crisi dei gasdotti ridefinisce le relazioni internazionali

Sarà forse solo una suggestione, ma il caso Nord Stream sembra una delle crisi iniziali della guerra fredda, quando, in un crescendo di accuse reciproche, si andò delineando quel sistema di blocchi contrapposti che poi si sarebbe confrontato per oltre un quarantennio. In realtà, il caso del gasdotto che attraverso il Mar Baltico porta il gas russo direttamente in Europa passando per la Germania è uno strano mix di reminiscenze storiche e di dinamiche nuove.  

La novità di una guerra energetica

Un elemento di novità è rappresentato dallo spostamento del confronto sul piano delle risorse energetiche. Si tratta, come noto, di una novità relativa, nella misura in cui l’utilizzo strategico delle risorse energetiche è una realtà già dagli anni Settanta del Novecento. Si tratta comunque di una svolta importante perché, nell’ultimo trentennio, ci eravamo abituati all’idea che i nuovi (inevitabili) conflitti si sarebbero consumati senza intaccare i rapporti economici internazionali e senza toccare al cuore la dimensione energetica. Fino ad oggi l’esistenza di rapporti energetici tra due paesi e, nello specifico, di gasdotti, era addirittura considerata come un fattore utile a prevenire contrasti tra i soggetti partecipanti. Ora questo discorso appare, per molti versi, superato.  

È certo che il sabotaggio di Nord Stream 2 rappresenta, al di là delle specifiche responsabilità, un passaggio importante nel processo di polarizzazione tra Est e Ovest. Questo gasdotto rappresentava infatti quel che rimaneva del grande processo di convergenza tra Europa e Russia e, in particolare, tra Germania e Russia che era andato avanti dalla seconda metà degli anni Novanta. Ora l’Europa è costretta dalle circostanze a portare avanti con ancora più convinzione il processo di ridefinizione dei suoi legami energetici e di autonomia strategica in questo comparto.  

La Russia contro l’Occidente

Vi sono conseguenze politiche di più ampio respiro che scaturiscono da questo sabotaggio. Tra queste ve ne sono alcune che riguardano in primo luogo l’atteggiamento della Russia: a seguito di questo avvenimento Mosca può certamente segnare un punto a suo favore derivante dall’accentuata turbolenza sui mercati energetici globali. Il Cremlino può inoltre mostrare al mondo come l’opposizione alla Russia possa avere conseguenze in ambiti diversi e più estesi di quello strettamente politico militare.  

Questo collasso infrastrutturale può essere però visto, al contempo, come un avvenimento che ridefinisce la posizione dell’Occidente e, in una certa misura, la rafforza. Lo fa certamente perché rilancia la centralità del Baltico e di tre Paesi – Danimarca, Svezia, Finlandia – spingendo ulteriormente gli ultimi due verso un percorso di convergenza verso la Nato. Lo fa inoltre perché pone fine a una serie di ambivalenze strutturali nell’atteggiamento verso la Russia che avevano caratterizzato l’atteggiamento di alcuni paesi europei verso la Russia.

Il legame tra Berlino e Mosca in un mondo polarizzato 

Qui viene in rilievo la questione specifica dei rapporti tra Berlino e Mosca. Olaf Scholz è stato molto chiaro e netto: il governo a guida socialdemocratica ha sempre affermato la priorità del discorso politico e dei diritti sugli interessi materiali del paese. La questione è però più problematica se la si pone in una prospettiva di medio-lungo periodo. Qui Russia e Germania mostrano una convergenza di fondo che passa sopra alle contingenze e alle cesure momentanee: lo si è visto negli anni del bipolarismo con l’Ostpolitik del governo Brandt e lo si potrebbe rivedere in un ipotetico futuro. Bisognerà vedere quanto questo sarà in contraddizione con un mondo che tende a ripolarizzarsi. Il discorso qui fatto per la Germania può essere fatto anche per altri paesi, ivi compresa l’Italia. In questo senso il venir meno di connessioni “fisiche” quali i gasdotti ha una valenza estremamente rilevante.   

Foto di copertina EPA/PHILIPP SCHMIDLI

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