Il silenzio dell’occidente sulle rivolte per la libertà in Iran

È passato un anno da quando la giovane ragazza iraniana, Mahsa Jina Amini, è stata uccisa dalla polizia etica della repubblica islamica in Iran. La sua uccisione è stata la miccia che ha scatenato il più importante movimento di protesta in Iran dopo la rivoluzione del 1979. Mahsa è stata fermata perché avrebbe violato il codice di abbigliamento islamico, imposto dalla repubblica islamica a tutte le donne iraniane. Secondo questo codice etico, tutte le donne devono indossare l’hijab ovvero il velo islamico. Una norma etica che è stata, sin dagli anni Ottanta, contestata da una nutrita parte della popolazione femminile, ma che è rimasta comunque in vigore per circa 41 anni.

Iran tra velo e rinascimento

Il velo imposto alle donne, che prima del 1979, sotto la monarchia di Mohammad Reza Shah Pahlavi, avevano la libertà di scegliere il loro codice di abbigliamento, in realtà, rappresenta uno strumento di controllo sociale esercitato dallo Stato. In altri termini, il velo è un simbolo ideologico di dominio della repubblica islamica, esercitato nei confronti dei suoi cittadini. Almeno da due decenni, le nuove generazioni iraniane, che in buona parte criticano queste limitazioni alla libera scelta, hanno sempre meno rispettato tale codice. Molte donne, soprattutto ragazze, da anni indossano un foulard, coprendo solo parzialmente i capelli. A seguito di questa rivoluzione culturale, ora sono numerose le donne iraniane che escono senza il velo, sfidando apertamente il codice etico del regime islamico.

Tuttavia, la questione del velo funge solo da catalizzatore. Sebbene non si possa ancora parlare di una rivoluzione politica, in Iran, nell’ultimo anno, si è scatenata una rivoluzione culturale, una forma di rinascimento iraniano. Rinascimento, nel senso vero del suo significato, e cioè il superamento delle superstizioni e dell’uso della religione, in questo caso dell’Islam, come ideologia politica. La religione che invade la sfera politica, del diritto, del costume e della vita privata non è più un codice riconosciuto. Non identifica più gran parte degli iraniani. Infatti, le donne e i giovani, in particolare, in qualità di leader di queste rivolte chiedono libertà (in persiano Azadi) e laicità. Si tratta del movimento civile più spiccatamente moderno del nostro secolo. Un movimento patriottico, non ideologico, e unito allo scopo anti-dispotico.

L’indifferenza di Washington e Bruxelles

Le richieste dei manifestanti sono al di là delle possibilità di risposta della classe dirigente islamica, e al di fuori di ogni capacità di mediazione, per questo è naturale che ci sia stato un irrigidimento totale. In primis, una repressione forte, da parte delle forze di sicurezza, nelle varie piazze e nelle vie di tutto il paese. In secondo luogo, con l’utilizzo della magistratura, che non è laica ma islamica, con le sentenze di morte contro i manifestanti, soprattutto giovani tra i 18 e i 30 anni. Il che rende ancora più anacronistica  la pervicacia della repubblica islamica nel resistere ad ogni costo.

Negli ultimi mesi, si è sentito meno parlare delle proteste in Iran. Si, poiché la repubblica islamica è riuscita a reprimere nel sangue la grande rivolta dei cittadini per la democrazia e per la libertà. Una rivolta la cui repressione ha provocato almeno 550 vittime, uccise  dalla polizia, l’impiccagione di almeno 8 giovani manifestanti pro-libertà e l’imprigionamento di migliaia di iraniani. Ed è proprio nell’anniversario dell’uccisione di Mahsa che gli Stati Uniti, avendo avviato una nuova trattativa con Teheran, stanno sbloccando sei miliardi di dollari a favore della Repubblica islamica dell’Iran. Questo in cambio del rilascio di cinque prigionieri statunitensi, alcuni con doppia cittadinanza, da tempo reclusi nel carcere di Teheran. La trattativa Washington-Teheran si è riavviata dallo scorso marzo, proprio quando si era all’apice della repressione dei cittadini nelle piazze iraniane. Si, proprio dopo queste repressioni avvenute di fronte al mondo intero, Washington ha offerto il via alla trattativa e al compromesso.

Una trattativa che non si ferma solo ai 6 miliardi di fondi sbloccati da parte del governo democratico di Biden, ma si estende anche qui da noi in Europa. La Commissione Europea, guidata dalla linea di Borrell, prima ha bloccato la richiesta del Parlamento Europeo di inserire nella lista dei terroristi i famosi Guardiani della Rivoluzione, i Pasdaran, principali responsabili delle repressioni e della violazione dei diritti umani dei cittadini iraniani. E subito dopo, Bruxelles, in linea con l’amministrazione democratica americana, ha iniziato la trattativa con Teheran, cercando, in qualche modo, di riabilitare l’immagine della repubblica islamica nel mondo. Infatti, sono tornate in auge le lobby europee e americane, filo repubblica islamica, già sostenute dall’amministrazione Obama, per reinserire nel dibattito diplomatico il fatto che il regime iraniano, a differenza di quanto hanno espressamente chiesto la maggior parte dei suoi cittadini, non sia riformabile.

Una ragione di real politik per tornare a trattare. Questa élite di analisti, che durante i sei mesi di repressione, dinanzi a una coscienza mondiale scossa, si era silenziata ora, con il sostegno del mondo politico occidentale, è tornata a difendere la repubblica islamica, a discapito della moltitudine di iraniani, donne e uomini, soprattutto giovani, che si sono battuti nelle strade delle città, per lottare contro il dispotismo e per la conquista della libertà. Giornali, riviste e think tank, presenti negli Stati Uniti, nel Regno Unito, e anche nella nostra Italia, hanno ora dato spazio a intellettuali pro-regime che cercano, in modo sottile, di normalizzare ciò che normale non è più. Nonostante ciò il 13 settembre, Borrell, proprio di fronte alla critica di alcuni parlamentari europei nei confronti della condotta accomodante della Commissione Europea nei confronti della repubblica islamica, si è difeso, dicendo che l’Unione Europa sostiene pienamente i cittadini iraniani. Questa dichiarazione però rimane solo appunto una dichiarazione e non seguita dai fatti.

Un movimento democratico inarrestabile

Attenzione però, in Iran, in questo momento, abbiamo la presenza della società più laica e pro-democratica dell’intero Medioriente, alleati principali, e direi naturali, delle società occidentali. Avendoli lasciati così soli, per pragmatismo politico o altro, concentrandosi, in modo intenso, esclusivamente sulla guerra in Ucraina, l’Occidente non sembra aver fatto una scelta strategicamente oculata.

Un Medioriente democratico è ben possibile, ma dovrebbe/potrebbe partire dal rinascimento iraniano, pronto a dare una svolta a tutta la regione. Altrimenti, continueremo a favorire, come spesso si è fatto, i sistemi autoritari, quali Arabia Saudita e la repubblica islamica stessa. Oppure ripetendo l’errore fatto in Egitto. Ma forse a noi piace più dedicarci a cause a forte impatto mediatico, come quelle di Patrick Zaki. Mentre chiudiamo gli occhi di fronte agli eroi della libertà e della democrazia che sono stati impiccati.

Il nuovo Iran sta comunque arrivando, è quasi uno tsunami naturale che sta spazzando via decenni di autoritarismo: un movimento giovane, patriottico e pro-democratico.

Foto di copertina ANSA/CLEMENS BILAN

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