Il Sahel nella stretta tra violenza jihadista e autoritarismo

La situazione securitaria nel Sahel è in continuo deterioramento. Nell’ultimo decennio, ogni anno è segnato da maggiori episodi di violenza ad opera di gruppi jihadisti dell’anno precedente. Questo trend è dovuto soprattutto ai gruppi militanti islamici legati alla rete Jama’at Nusrat al Islam wal Muslimeen (JNIM) – che operano principalmente nel Mali settentrionale, centrale e meridionale e nel Burkina Faso meridionale – rappresentano oltre 4/5 di tutte le vittime nel Sahel. I gruppi JNIM sono rivali – ma non mancano casi di cooperazione – dello Stato Islamico nel Grande Sahara (ISGS), l’altra grande rete jihadista, che ha una presenza minore ed è operativa nel Burkina Faso settentrionale e nel Niger occidentale.

Gli spazi d’azione di questi gruppi si stanno espandendo a macchia d’olio e sono arrivati in zone nelle quali, fino a poco tempo fa, non erano immaginabili. Negli ultimi giorni, fa effetto vedere come JNIM abbia posto sotto assedio la città di Kayes nel Mali sud-occidentale vicino al confine con il Senegal. Allo stesso tempo, il gruppo jihadista è stato notato anche nella regione di Bougouni a sud di Bamako e sul confine con la Costa d’Avorio.

Questa preoccupante deriva si inserisce in un trend degli ultimi anni: l’espansione di JNIM e affiliati nel nord dei paesi costieri dell’Africa occidentale. Paesi come Benin e Togo hanno risento del peggioramento della situazione securitaria in Burkina Faso e hanno visto un significativo aumento delle vittime legate ai militanti islamici nell’ultimo anno. Di recente è cresciuta anche la tensione tra il Burkina Faso e la Costa d’Avorio quando sei funzionari della Direzione ivoriana per l’aiuto e l’assistenza ai rifugiati e agli apolidi (Daara) sono stati “rapiti” dai Volontari burkinabé per la difesa della patria (VDP).

Inoltre, la situazione del Burkina Faso appare infatti particolarmente critica. Nell’ultimo anno il paese ha registrato oltre la metà delle vittime del Sahel. Ouagadougou non controlla oltre metà del suo territorio. L’insicurezza è presente in tutto il paese, inclusa la capitale e svariati paesi occidentali ora sconsigliano fortemente ai propri connazionali di recarsi nel paese.

Stati sempre più autoritari

Il Burkina Faso rappresenta un caso emblematico di come i governi emersi dai colpi di stato degli ultimi anni non siano riusciti a fronteggiare i gruppi jihadisti. Questo dato contrasta con i proclami del capitano Ibrahim Traoré che, da quando ha preso il potere a Ouagadougou, aveva fatto della sicurezza una priorità. Il contrasto è ancora più forte se si pensa alla propaganda e disinformazione che hanno messo insieme i suoi collaboratori supportati da consiglieri russi e che raccontano un altro paese, totalmente disconnesso dalla situazione che vive la popolazione locale ogni giorno. La propaganda inoltre sta andando a braccetto con una stretta verso opposizione politica, giornalisti e società civile. La libertà di stampa è nettamente peggiorata in Burkina Faso, Mali e Niger, come documentato dal World Press Freedom Index.

Sempre più autoritari e con la parola “transizione” che è divenuta vuota retorica, i governi dei tre paesi reprimono sempre più ogni voce fuori dal coso. Assimi Goïta, a guida della giunta maliana, ha sciolto tutti i partiti politici nel maggio 2025, dopo aver abrogato le leggi che tutelavano la partecipazione politica, e sono seguiti anche arresti e sparizioni. A fine agosto, però, l’Alta Corte Comune di Bamako ha stabilito che la richiesta dell’opposizione di annullare il decreto presidenziale che scioglie i partiti politici è ammissibile. I giudici hanno presentato ricorso alla Corte Costituzionale per valutare la costituzionalità del decreto presidenziale e determinare se possa essere annullato e sarà interessante vedere se la Corte ribalterà la decisione politica limitando la deriva autoritaria.

A metà agosto, inoltre, il cerchio si è stretto ulteriormente con l’arresto di una quarantina di soldati, inclusi due generali, accusati di voler organizzare un colpo di stato supportato da “paesi stranieri”. Tra gli arresti infatti vi è stato anche un funzionario dell’ambasciata francese accusato di spionaggio.

Il ruolo della Russia e le perplessità europee

Non è una novità che Forces Armées Maliennes (Forze Armate Maliane, o FAMA) siano settarie e con significative divisioni al suo interno. Tuttavia, queste divisioni sono state esacerbate sia dai timori di colpi di stato, ma anche dall’operato dei paramilitari russi Wagner e Africa Corps. L’approccio violento e inefficace dei russi non ha avuto solo effetti negativi per la popolazione civile, ma ha anche aumentato la frammentazione dello Stato maliano. I combattenti di Wagner hanno creato caos e paura all’interno della gerarchia militare maliana, costringendo le FAMA a rimanere in silenzio di fronte ai casi di abusi contro i civili.

In questo quadro, l’Unione Europea vuole evitare ogni commistione con la Russia e ha spazi limitati di manovra nel sentimento antioccidentale presente nella regione. Da un lato, Bruxelles spera che il vento cambi e che i tre regimi collassino o siano almeno messi in difficoltà dalla propria popolazione, in particolare in Mali. Dall’altro, l’UE sta ripensando la propria strategia e, nella prossima che sarà pubblicata, si orienta a dedicare maggiore attenzione ai paesi costieri dell’Africa occidentale. Ma dirottare il focus non aiuterà il Sahel a uscire dalla spirale di violenza che l’attanaglia da oltre un decennio.

Bernardo Venturi è ricercatore associato presso lo IAI, dove collabora su Africa, gestione delle crisi civili, relazioni esterne dell’Ue, peacebuilding e cooperazione allo sviluppo.

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