Ucraina: la possibilità della “guerra lampo”

Le notizie dall’Ucraina non permettono ancora di individuare chiaramente gli obiettivi finali della guerra iniziata all’alba del 24 febbraio. Possiamo però registrare alcuni punti fermi.

Primo.  I limiti del modello “Abkhazia-Sud Ossezia” sono già superati. Se ne riscontrano tutti gli elementi – riconoscimento degli staterelli secessionisti, invio di un contingente militare permanente, distruzione di infrastrutture militari e civili in altre regioni – ma inoltre c’è la conquista, in corso, della parte ancora sotto controllo ucraino del Donbass.

Secondo. Le truppe di terra avanzano da Nord, da Est e da Sud. Gli obiettivi colpiti dall’aria non sono circoscritti alla zona orientale, ma distribuiti su tutto il paese, comprese le regioni occidentali ex-asburgiche. Da ciò non si desume necessariamente che queste ultime verranno invase: se i missili sono diretti su aereoporti e altre infrastrutture, è ancora plausibile che lo scopo sia di disarmare e demoralizzare, non conquistare, tutto il paese. Putin ha dichiarato che non intende occuparlo (per quello che valgono le sue assicurazioni: aveva anche detto che l’allarme americano per l’imminente invasione era pura “isteria”); ma ha anche minacciato un bagno di sangue se i militari ucraini non deporranno le armi.

Terzo. La schiacciante superiorità numerica delle forze russe,  ma ancor più la superiorità sul piano tecnologico e dell’addestramento, è tale che l’esercito ucraino potrà fare ben poco per rallentare – per non parlare di arrestare – l’avanzata nemica. Questa si fermerà quando saranno raggiunti gli obiettivi prefissati. Il fatto che siano stati sospesi i voli civili nelle regioni meridionali della Russia fino al 2 marzo potrebbe significare che per il Blitzkrieg in quel settore viene preventivata una settimana.

Quali obiettivi per l’azione militare russa?

Di certo non soltanto l’ampliamento delle repubbliche satelliti fino al confine amministrativo delle regioni di Donetsk e Luhansk, con le città di Mariupol (mezzo milione di abitanti) e Kramatorsk. Da Mariupol, una avanzata di poche centinaia di chilometri porterebbe le forze russe a creare un collegamento su terraferma con la Crimea e fare del Mar d’Azov un lago russo. Gli attacchi terrestri in corso dalla Crimea verso Kherson possono essere indice di un piano di annessione di tutta la fascia costiera, passando da Odessa, fino a congiungersi con la Transnistria, bloccando completamente l’accesso dell’Ucraina al mare.

Presidiare le grandi città esporrebbe gli occupanti ad azioni di guerriglia, con conseguenti rappresaglie contro i civili. Più fattibile è prenderle in ostaggio per costringere il presidente e il suo governo a dimettersi, aprendo la strada ad un Quisling (o imposto come fu Husak a Praga, o fattosi avanti con un putsch come male minore, sull’esempio di Jaruzelski a Varsavia). Questo piano di regime change, già previsto alcune settimane fa dall’intelligence americana, è stato annunciato da Putin sotto l’etichetta di “denazificazione”. L’arrivo dei carri armati dalla Bielorussia nel quartiere governativo della capitale, preceduto da una pioggia di missili, sembra preludere a questa operazione di sapore sovietico.

In ogni caso, alla luce di quanto dichiarato da Putin sulla presunta minaccia militare americana, le forze russe non potranno ritirarsi sulla base di una semplice assicurazione che l’Ucraina non aderirà mai alla Nato e non ospiterà basi straniere. Se la Russia non manterrà il controllo fisico del paese, direttamente o attraverso un governo fantoccio, pretenderà che gli impegni di neutralità e limitazione degli armamenti (Putin ha addirittura parlato di smilitarizzazione) siano garantiti da sostanziosi pegni, quali la proprietà di gasdotti, o l’occupazione di distretti industriali e minerari, se non di intere province (oltre all’intero Donbass).

Putin come “rational actor”

Con la sua cinica aggressione e le sue menzogne, Putin ha smentito chi gli attribuiva una certa ragionevolezza, ma non per questo smette di essere un “rational actor“. Ha messo da parte ogni remora morale contro una vera e propria guerra (giustificandosi con le guerre fatte illegalmente dagli americani e loro vassalli contro  Serbia, Iraq e Libia) perché sapeva che i rischi sono moderati e i costi sostenibili. Gli occidentali non possono intervenire militarmente, e lo hanno anche detto.

Le sanzioni finanziarie non metteranno in ginocchio la Russia, che dispone di cospicue riserve valutarie e lucrerà sull’ulteriore aumento dei prezzi del gas e del petrolio. Se l’America non finanzia il debito pubblico russo, ci penserà la Cina; e a medio termine sarà la stessa Cina a importare il gas russo di cui dovrà fare a meno l’Europa occidentale, grazie a nuovi gasdotti in costruzione. Putin avrà anche calcolato che le sanzioni sono policamente a suo vantaggio in quanto provocheranno divisioni fra gli europei e fra loro e gli Stati Uniti.

Proprio perché è un “attore razionale”, Putin deve aver calcolato che, abbandonata la speranza di cambiare attraverso negoziati l’ordine europeo degli ultimi trent’anni, il momento era propizio per rovesciarlo con la forza, approfittando di una serie di circostanze favorevoli: la debolezza dell’America post-Afghanistan, la dipendenza dell’Europa dalle forniture di gas russo, l’alleanza con una Cina sempre più forte e decisa a sfidare l’Occidente.

 

Foto di copertina EPA/SERGEY DOLZHENKO

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