Trascorso quasi un anno dal lancio dell’offensiva russa che doveva durare una settimana, la guerra è sostanzialmente in fase di stallo. È questo uno dei prerequisiti per il maturare della disposizione delle parti a prendere in considerazione un armistizio. Ma non è l’unico. Le esigenze territoriali minime di entrambe sono troppo distanti. Perché gli ucraini accettino la perdita di un a parte dei territori occupati, e/o i russi si rassegnino a ritirarsi su una linea vicina a quella del 24 febbraio 2022, o addirittura più arretrata, occorrerebbe che il logorio del materiale bellico proceda a un ritmo insostenibile.
Attualmente ciascuno dei contendenti punta a uno sfondamento del fronte per poter poi negoziare da una posizione di forza, e a questo fine intensifica gli sforzi per riarmarsi. La Russia sta riconvertendo impianti industriali per accelerare la produzione di armi e munizioni, importa ( secondo fonti di stampa americane) componenti dalla Cina, e negozia con l’Iran ulteriori forniture di droni.
L’Ucraina conta di riequilibrare il rapporto di forze mediante l’acquisizione di carri armati e missili anti-aerei dagli alleati europei, ma soprattutto il potenziamento del flusso di armi dagli Stati Uniti, compresi sistemi più moderni e di gittata maggiore rispetto a quelli ottenuti sinora. Ma ci si può domandare se i tempi delle industrie belliche americane (si parla di parecchi mesi e di anni) siano compatibili con quelli delle offensive pianificate da Mosca; e se la nuova maggioranza repubblicana alla Camera dei Rappresentanti Usa asseconderà pienamente questo sforzo.
Yom Kippur: analogie e differenze
Sotto questo profilo la guerra in corso presenta interessanti analogie con quella dello Yom Kippur, di cui ricorrerà nel prossimo ottobre il cinquantenario. Allora Israele resistette all’attacco di una coalizione araba numericamente molto superiore grazie ad un massiccio afflusso di armi e munizioni dagli Stati Uniti, mentre parallelamente l’URSS continuava a rifornire le forze arabe e in particolare quelle egiziane.
Possiamo notare altre analogie fra i due conflitti: nel 1973 Israele, come l’Ucraina nel 2022, fu colto di sorpresa dalla aggressione ma seppe reagire con inatteso vigore; il mondo, e soprattutto l’Europa, fu colpito da una crisi petrolifera con conseguente impennata dei prezzi; l’America, correndo in aiuto di un alleato di fatto, reagiva ad una situazione che non aveva voluto, ma al tempo stesso ingaggiava un braccio di ferro con la potenza antagonista (war by proxy). Molto diversa fu allora la durata dei combattimenti:meno di un mese.
Guerra di logoramento: scenari futuri
Nell’ottobre 1973 l’equilibrio fra le forniture russe e quelle americane pose le premesse per la rinuncia delle due potenze a continuare a fornirle indefinitamente. Ma il fattore decisivo fu la brillante operazione guidata da Ariel Sharon che portò le forze israeliane ad attraversare il Canale di Suez e minacciare il Cairo. La conquista egiziana di una testa di ponte a Est del Canale – formalmente simmetrica ma molto meno minacciosa per Israele – permise a Sadat di ristabilire una parvenza di equilibrio e uscire dal conflitto a testa alta.
L’ipotetica offensiva ucraina mirante a liberare Melitopol e spezzare la continuità territoriale fra Donetsk e la Crimea fa pensare a una ripetizione di quello schema. In caso di successo, sarebbe una bruciante sconfitta per la Russia, tale da convincerla forse a proporre un cessate il fuoco e accontentarsi solo di una parte dei territori conquistati dopo il 24 febbraio 2022; ma prima, come nel caso di Sadat, per salvare la faccia cercherebbe almeno un limitato successo militare da sbandierare, su un altro fronte, ad esempio la presa definitiva di Bakhmut. Si aprirebbe così la strada non a una pace giusta, purtroppo, ma a un realistico compromesso.
Sono però immaginabili scenari ancora meno favorevoli al paese aggredito. Lo sfondamento della linea fortificata dai russi nel Sud potrebbe rivelarsi impossibile, mentre l’offensiva russa nel Donbass potrebbe scattare prima che arrivino i Leopard europei e il nuovo pacchetto di aiuti americani. Senza escludere un secondo tentativo di invasione da Nord e assedio a Kyiv. Putin ritiene insomma di avere buone carte da giocare prima di negoziare; e probabilmente, più che a un negoziato, pensa ancora a un Diktat.
Un esito analogo a quello del 1973 è dunque un “best case scenario”. E una stabilizzazione dell’ipotetico armistizio, come quella che si riuscì a realizzare allora, richiederebbe un novello Henry Kissinger.
Foto di copertina EPA/RUSSIAN DEFENCE MINISTRY