Costi e sconfitte della nuova mobilitazione russa

La decisione del Cremlino di annettere alla Russia le regioni ucraine attualmente occupate, così come la mobilitazione “parziale” ormai in pieno svolgimento, sono provvedimenti arrivati in un momento di particolare difficoltà per l’esercito russo. Gli ultimi eventi sul campo sembrano infatti confermare la dinamica militare instauratasi a settembre, con il repentino arretramento da Kharkiv e il fronte nord. Il primo ottobre sia Kyiv che Mosca hanno confermato la perdita da parte russa di Lyman, un importante snodo logistico a nord del Donbass recentemente accerchiato dalle forze ucraine, mentre le forze ucraine avanzano lungo il Dniepr verso Kherson.

L’assedio di Lyman e la sconfitta russa

Il breve assedio di Lyman è un perfetto esempio dei problemi militari, sociali ed economici che stanno compromettendo le operazioni russe. Come a Kharkiv poche settimane prima, gli ucraini si sono confermati capaci di lanciare rapide manovre di aggiramento e di poter sopraffare le forze russe prima che queste possano allestire nuove difese. La battaglia ha anche dimostrato il grado di logoramento raggiunto dagli invasori.

Il fallito soccorso alla guarnigione di Lyman è stato affidato al 503° Reggimento Guardie Motorizzate, un’unità considerata di elite ma ormai praticamente irriconoscibile. Secondo le informazioni riportate dalle stesse fonti russe, almeno parte del reggimento sarebbe composto da reclute recentemente mobilitate, cioè con meno di due settimane d’addestramento prima di essere inviate al fronte. Inoltre, il 503° è un’unità proveniente dalla regione dell’Inguscezia, una delle repubbliche del Caucaso settentrionale che sta maggiormente contribuendo allo sforzo bellico russo e che proprio per questo è recentemente attraversata da disordini e proteste.

I fattori Kadyrov e Wagner

Il fallimento nel tenere la cittadina ucraina ha avuto pesanti ripercussioni politiche in Russia. La sconfitta ha infatti dato il via a polemiche interne del regime e ritenute impensabili fino a pochi mesi fa. Sembra infatti essere emerso un inedito asse politico fra Razman Kadyrov, l’uomo forte della Cecenia, ed Evgeny Prigozhin, il miliardario finanziatore dei mercenari del Gruppo Wagner. I due uomini sono accomunati da una fedeltà personale a Vladimir Putin, dal non essere inquadrati nelle istituzioni ufficiali dello stato russo (il potere del presidente della Cecenia va molto al di là della sua regione), e dall’essere coloro che negli ultimi decenni hanno sostanzialmente gestito il “lavoro sporco” del regime, dalle operazioni ufficiose in Africa fino alla repressione di oppositori interni.

Entrambi hanno avuto un ruolo fondamentale nel fornire truppe più o meno competenti nelle prime fasi dell’invasione, schierandosi apertamente con chi all’interno del Cremlino sostiene una linea intransigente contro l’Ucraina. A seguito della disfatta di Lyman, entrambi si sono lanciati in pesanti accuse di incompetenza e nepotismo contro Valery Gerasimov, Capo di stato maggiore delle forze armate, e Aleksandr Lapin, da lui nominato comandante del Distretto militare occidentale sotto la cui egida ricadono le unità nel Donbas settentrionale.

Lo scontro politico in qualche modo apertosi fra i sostenitori di Putin collaterali allo stato e alle forze armate russe rivela quanto l’influenza della leadership militare nei corridoi del Cremlino sia ormai in declino, una tendenza che potrebbe rafforzarsi se anche le speculazioni sul crollo del fronte di Kherson dovessero concretizzarsi.

Ci sono poi altri indizi che suggeriscono il ridimensionamento delle istituzioni ufficiali. Il discorso in cui Putin ha annunciato l’annessione dei territori occupati, di grande valenza politica e simbolica, ha visto ad esempio una copiosa partecipazione di blogger militari ultranazionalisti, un eterogeneo gruppo di influencer di guerra che a partire dal 24 febbraio ha ripetutamente criticato la gestione del ministro della Difesa Shoigou della “operazione speciale militare” come una serie di mezze misure insoddisfacenti. Il loro invito all’evento e la loro partecipazione ai talk shows della televisione di Stato sono novità importanti se si pensa alle feroci critiche da essi mosse contro le autorità ufficiali (la Presidenza esclusa, ovviamente). È evidente che Putin in qualche modo sta venendo incontro a queste voci radicali.

Dopo più di 220 giorni dall’inizio della guerra è insomma evidente che il conflitto abbia alterato l’equilibrio fra le diverse anime del regime di Putin, sbilanciandolo a favore dei nazionalisti intransigenti e dei potentati come quelli di Kadyrov e Prigozhin, che negli ultimi decenni hanno solo guadagnato dalle “avventure” militari russe.

La mobilitazione economica e i suoi problemi

Ma le guerre sono sempre combattute da Sistemi-Paese, non da una ristretta elite  politica. Date le modalità con cui il conflitto sta cambiando il Cremlino, è verosimile che l’impianto socioeconomico su cui si basa il regime potrebbe riconfigurarsi in un modello teso ad alimentare il tipo di guerra attualmente combattuta dalla Russia. La mobilitazione parziale ha già introdotto una grande novità nel rapporto fra Mosca e i popoli russi, da cui le autorità avevano fino ad oggi preteso (e ottenuto) un generale disinteresse per la politica, in cambio di uno status quo precario ma comunque accettabile per la maggioranza: ora tali popolazioni vedono partire per il fronte decine di migliaia di uomini adulti con una alta probabilità di non fare ritorno, e altrettanti hanno lasciato o stanno lasciando i confini del Paese – ben oltre la ristretta cerchia di dissidenti.

Il logoramento provocato da un conflitto ad alta intensità col secondo esercito più grande d’Europa, armato con sistemi sofisticati di produzione occidentale, richiederà anche una mobilitazione industriale della Russia. Le leggi approvate dalla Duma in estate, che permettono un controllo diretto delle aziende rilevanti per lo sforzo bellico, verranno probabilmente impiegate secondo la logica suggerita dal deputato Evgeni Fedorov sul sito specializzato Topwar.ru: la conversione totale delle aziende dual use (che producono cioè sia beni civili che militari) alla produzione di equipaggiamenti militari, e la razionalizzazione del settore limitando i modelli di carri armati e altri veicoli, con l’obiettivo di alimentare un’economia di scala.

Rimane da vedere quanto competentemente sarà gestito il passaggio a una parziale economia di guerra. L’organizzazione aziendale dei conglomerati della Difesa russa è altamente inefficiente e caratterizzata da sprechi, soprattutto per quel che riguarda lo sviluppo e la produzione di massa di sistemi digitali e elettronici. È però difficile immaginare che una mobilitazione economica non avvenga nel corso delle prossime settimane: il rinvio da ottobre a novembre della leva autunnale ordinata da Putin è stato apertamente giustificato con il sovraccarico dell’amministrazione militare, ma dai social emergono anche numerosi esempi di nuove reclute equipaggiate con fucili arrugginiti e equipaggiamenti ormai obsoleti.

L’attuale situazione militare sembra insomma precludere al Cremlino la possibilità di modificare il proprio atteggiamento rispetto alla guerra. L’indebolimento della leadership militare formale e lo spettro della mobilitazione economica hanno tramutato “l’operazione militare speciale” in una guerra generalizzata, ponendo il supporto allo sforzo bellico al centro della politica economica e sociale del regime.

Foto di copertina EPA/OLEG PETRASYUK

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