Cile: Gabriel Boric o la fine del ‘pinochetismo’

A chi li andò a sentire nelle piazze italiane negli Anni Settanta, gli Inti Illimani fanno oggi l’impressione dei Pooh o dei Rolling Stones: bande invecchiate, che recitano sé stesse. Ma quando tornarono a esibirsi a Santiago del Cile a fine 2019, quella folla immensa che intorno al loro palco sovrastava voci e note per scandire all’unisono “el pueblo unido jamás será vencido” fece ancora correre un brivido lunga la schiena: il Cile di Allende stava tornando, nonostante al potere ci fosse un presidente di destra, Sebastián Piñera.

Le elezioni presidenziali del 19 dicembre sono state il trionfo del pubblico degli Inti Illimani: Gabriele Boric, il leader della sinistra, si è aggiudicato con un amplissimo margine il ballottaggio contro l’ultraconservatore José Antonio Kast. Una vittoria che Maurizio Salvi, uno dei giornalisti che meglio conosce l’America latina, ha paragonato “a un ko pugilistico”.

La strada di Boric verso la vittoria

Un’affluenza record per il Cile, superiore al 55%, con oltre otto milioni di votanti su meno di 20 milioni di abitanti, ha favorito l’affermazione, netta al di là di ogni previsione, quasi 56% a 44%, del progetto di cambiamento proposto dal leader della coalizione Apruebo Dignidad, che a 36 anni diventerà l’11 marzo il più giovane presidente della storia del Cile. Il risultato fa dire a esponenti della sinistra che “si è definitivamente il capitolo della dittatura” di Augusto Pinochet, l’uomo che rovesciò nel sangue la presidenza del socialista riformista Salvator Allende l’11 settembre 1973 e che restituì il Paese alla legittimità costituzionale solo l’11 marzo 1990, cedendo i poteri al centrista Patricio Aylwin, democraticamente eletto.

Al primo turno, il 21 novembre, Kast era uscito in testa con il 28% dei suffragi, mentre Boric era fermo al 26%. Dai risultati del ballottaggio emerge che Boric ha nettamente prevalso nell’area di Santiago, nella regione di Valparaiso e, a sorpresa anche ad Antofagasta, dove il candidato dell’antipolitica Franco Parisi si era imposto al primo turno.

Sia Kast che Piñera hanno accettato il verdetto popolare, dichiarando “rispetto” al presidente eletto e fiducia che saprà essere “il presidente di tutti i cileni”. Nel suo ultimo comizio, Kast aveva invece sostenuto che che “la sinistra promuove solo la povertà, quella povertà che ha trascinato Venezuela, Nicaragua e Cuba in situazioni incredibili, dove la gente fugge, perché quelle narco-dittature portano solo miseria”. E Piñera aveva vivacemente reagito al sostegno a Boric della ex presidente socialista Michelle Bachelet, attualmente Alto Commissario dell’Onu per i Diritti umani.

Gabriel Boric e la rabbia del popolo

Boric aveva giocato la sua campagna più sulla speranza che sulla paura: “Siamo una generazione che impara da chi è venuta prima e ci uniamo per sconfiggere la dittatura, democratizzare il Cile, avere una nuova Costituzione e debellare il ‘pinochetismo’”. In politica estera, il neo-presidente vuole migliorare e rafforzare i rapporti con i Paesi dell’Alleanza del Pacifico, un blocco formato, oltre che dal Cile, da Perù, Colombia e Messico, tutti Paesi che s’affacciano sul Pacifico.

Il compito del giovane leader di Apruebo Dignidad, che apre i discorsi parlando la lingua indigena, non è facile anche se ha la fiducia dell’opinione pubblica: il 55% dei cileni crede che il Paese se la caverà bene o molto bene con il nuovo governo, una percentuale che rispecchia il risultato del voto. Il 26% s’attende che la gestione di Boric sia “normale”, il 13% s’aspetta che l’azione del governo “vada male, o molto male”.

Quanto alle priorità che il presidente dovrà darsi dopo l’ingresso alla Moneda, il 27% dei cileni cita i diritti sociali, come l’istruzione, la salute e la casa; il 21% la criminalità e l’ordine pubblico; il 19% evoca la gestione dell’economia. I tratti di Boric che i cileni apprezzano di più sono la tolleranza verso la diversità (79%), la conoscenza dei bisogni delle persone (73%), e l‘inclinazione a generare dialogo e accordi con tutti i settori politici (66%).

Ma Gabriele Salazar, 85 anni, uno dei più eminenti storici cileni, figura di punta del Movimento della sinistra rivoluzionaria che fu interlocutore del riformista Allende, avverte: “In Cile, la rabbia del popolo ribolle. Il presidente aprirà ai partiti di opposizione e punterà il dialogo, rischiando così di deludere il suo elettorato che potrebbe tornare in piazza”. E il professor Claudio Fuentes, docente in prestigiosi atenei, nota “la capacità di mobilitazione” di Boric e “la speranza di cambiamento” infusa nella popolazione, ma non crede che l’era del ‘pinochetismo’ sia finita e mette in guardia “dal livello di diseguaglianza socio-economica e dalle differenze tra indigeni e non indigeni”.

Il ricordo indelebile di una figura controversa, Doña Lucia

Che il Cile, almeno fino all’elezione di Boric, non si sia del tutto liberato dal ‘pinochetismo’, lo dimostra l’impatto avuto, nell’imminenza del ballottaggio, dalla morte a 99 anni di Lucia Hiriart, vedova del golpista e dittatore Augusto Pinochet. La morte di Doña Lucia – come le piaceva essere chiamata -, una donna di ferro, aveva ravvivato il ricordo d’un periodo divisivo e doloroso, durante il quale la moglie del generale disponeva di un grande potere.

La Hiriart era malata da tempo. Dalla morte del marito, il 10 marzo 2006, aveva scelto di mantenere un profilo basso, anche per i problemi giudiziari che gravavano sul patrimonio familiare. L’ultima sua apparizione pubblica era stata nell’aprile 2020, dopo la morte di Sergio Onofre Jarpa, ex ministro dell’Interno della dittatura.

In una biografia non autorizzata pubblicata nel 2013 con il titolo ‘Doña Lucía’, Alejandra Matus la definì una “stratega politica”, capace di esercitare “il potere nell’ombra“. Lo stesso Pinochet riconobbe che la moglie era una delle persone che più avevano pesato sulla sua decisione di guidare il colpo di stato contro il presidente Allende. Alludendo al decesso della vedova di Pinochet “morta nell’impunità”, Boric fece allusione ai processi nei suoi confronti che non sono mai stati fatti e disse di volere “rendere omaggio a tutte le vittime della dittatura di cui lei era parte e simbolo”.

Foto di copertina EPA/Elvis Gonzalez

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