“Britain unchained”: un’economia in subbuglio

“The lady is for turning”, è la frase che potrebbe definire l’inversione di rotta a cui Liz Truss – neo-thatcheriana e auto-proclamatasi erede spirituale della Lady di ferro, primo ministro britannico dall’inizio di settembre – è stata costretta dopo la disastrosa manovra di bilancio presentata il 23 settembre.

Una manovra di 45 miliardi di sterline in tagli alle tasse senza copertura finanziaria non poteva lasciare indifferenti gli investitori nel debito pubblico del Regno Unito. E infatti la reazione dei mercati finanziari è stata tale da fare crollare la sterlina ai minini contro il dollaro e le quotazioni del debito pubblico, costringendo la Banca d’Inghilterra ad intervenire per scongiurare una crisi finanziaria.

Poca trasparenza, nessuna copertura

Dopo un intervento a sostegno dei titoli pubblici per un totale di 65 miliardi di sterline e un aumento di circa un punto percentuale del tasso di interesse sui mutui, e dopo aver sostenuto per giorni che non si poteva cambiare rotta, il Cancelliere dello Scacchiere, Kwasi Kwarteng, è stato costretto a un umiliante passo indietro. Il taglio dell’aliquota fiscale per i redditi più alti è stato abbandonato mentre il piano fiscale di medio termine verrà pubblicato a breve, e non alla fine di novembre come precedentemente annunciato, insieme alle previsioni di crescita. Non si tratta di un dettaglio.

La manovra era stata presentata senza il piano di copertura finanziaria e senza previsioni, e dopo aver sommariamente licenziato il segretario permanente del Tesoro. Insomma, mancanza di trasparenza e correttezza procedurale si sono aggiunti ad una politica economica fondamentalmente sbagliata e a gravi omissioni nella governance. Continuare a difendere a oltranza una proposta di legge che ha portato il paese sull’orlo di una crisi finanziaria sarebbe stato un suicidio politico – dal punto di vista economico-finanziario lo era già stato. La manovra rischiava di non essere votata in parlamento.

Il nuovo governo ha fondamenta politiche deboli. Liz Truss è stata eletta alla guida del partito conservatore con poco più della metà dei voti degli iscritti, meno di 100,000 elettori. Inoltre non ha ottenuto la maggioranza dei voti dei parlamentari conservatori che le hanno preferito il suo rivale Rishi Sunak. Truss di fatto ha un mandato limitato, e quindi il suo ruolo dovrebbe essere di guida fino alle prossime elezioni e non di strappo attraverso l’attuazione di programmi radicali e, nelle sue intenzioni, di rifondazione dell’economia britannica.

Ma il mandato non sembra essere un problema e infatti Truss è determinata a ridurre il peso dei servizi pubblici, inclusa la sanità, attraverso tagli drastici alla spesa pubblica. Non si tratta di austerità fiscale volta a equilibrare i conti pubblici e ridurre il debito, bensì di una politica strutturale di restringimento del settore pubblico. Truss come Kwarteng con cui nel 2012 pubblicò il pamphlet “Britain Unchained” è convinta che l’economia britannica debba essere liberata da lacci e constrizioni per poter crescere. In questo riprende la politica economica thatcheriana, in un contesto, tuttavia, diverso da quello della fine degli anni Settanta. Oggi il Regno Unito ha una carico fiscale medio-basso non dissimile da quello degli altri paesi avanzati.

“Britain unchained”

The lady is not for turning” disse Margaret Thatcher ai delegati conservatori riuniti a congresso nell’ottobre 1980, una frase che più di ogni altra definisce l’agenda politica della svolta conservatrice di quarant’anni fa. L’economia del Regno Unito andava modernizzata, resa più flessibile, il carico fiscale ridotto – l’aliquota marginale era all’83% – la produttività aumentata. Thatcher declinò questa agenda deregolamentando e liberalizzando con l’obiettivo di ridurre significativamente il settore pubblico dando spazio al privato. “Britain unchained“, appunto.

I risultati nel medio periodo furono complessivamente positivi. Tra il 1981 e il 1990 l’economia crebbe in termini reali al tasso medio annuo del 2.9%, l’inflazione fu ridotta e il mercato del lavoro stabilizzato – ma a fronte di una forte crescita iniziale della disoccupazione. Ma i problemi strutturali non vennero risolti. Dal 1980 ad oggi l’indebitamento privato – imprese e famiglie – è più che triplicato così come il debito pubblico – attualmente intorno al 104% del Pil. La bilancia dei pagamenti continua a essere in disavanzo – oggi pari al 5,5% del Pil contro un disavanzo dell’1,5% per i G7 e un avanzo del 2% per l’Ue.

Disuguaglianze e investimenti al minimo

La produttività rimane un problema, tamponato, fino all’uscita del Regno Unito dalla Ue, nel 2021, dai flussi europei di manodopera specializzata e semi-specializzata. Gli investimenti in proporzione al Pil sono tra i più bassi tra le economie avanzate, e si sono ulteriormente ridotti dopo il referendum sulla Brexit. A questo si aggiungono le strozzature sul lato dell’offerta di lavoro causate dalla pandemia, che aggiungono ulteriori pressioni all’inflazione già al rialzo a causa dell’impennata dei prezzi dell’energia a seguito della guerra in Ucraina.

Tra le economie avanzate il Regno Unito è quella, dopo gli Stati Uniti, con le maggiori disuguaglianze nella distribuzione del reddito. Nelle regioni più povere del Paese le condizioni di vita sono peggiorate, il 55% delle famiglie – circa 15 milioni di persone – rischia la povertà energetica quest’inverno. Le disuguaglianze si riflettono anche in povertà educativa e quindi in una forza lavoro con competenze inadeguate per un’economia avanzata.

Avere un obiettivo di crescita – 2.5% – e pensare di raggiungerlo tagliando le tasse e deregolamentando l’economia è assurdo, sabotare il precario equilibrio del settore finanziario è folle. Come era prevedibile, il piano di crescita di Liz Truss si è rivelato un disastro, il cambio di direzione umiliante. Il parlamento è in grande agitazione, è probabile che Kwarteng venga sacrificato in nome della stabilità parlamentare. Ma la credibilità di questo governo è stata compromessa e sarà molto difficile per Truss recuperare.

Foto di copertina EPA/TOLGA AKMEN

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