CCW: nessun passo avanti sulle armi autonome?

La sesta Conferenza di revisione degli Stati parte della Convenzione su alcune armi convenzionali (CCW), tenutasi dal 13 al 17 dicembre 2021 a Ginevra, è stata un’occasione mancata per intraprendere un percorso fruttuoso verso la regolamentazione dei sistemi di armi autonome. Smentendo aspettative diffuse, gli Stati parte della CCW si sono limitati ad aggiornare i lavori del Gruppo di esperti governativi (GGE) sui sistemi di armi letali autonome (LAWS), istituito nel 2016, senza fornire né un chiaro mandato al GGE per negoziare uno strumento multilaterale in merito, né la minima indicazione sui suoi possibili contenuti.

Discussioni bloccate e consensus

Questa mancanza di ambizione è francamente deludente, soprattutto alla luce di inviti recenti a conseguire risultati più tangibili, che sono stati espressi da vari attori internazionali indipendenti e autorevoli: il Segretario Generale delle Nazioni Unite, il Comitato Internazionale della Croce Rossa e una larga maggioranza di Stati. Si sta manifestando, in particolare, un consenso crescente all’interno della comunità degli attori internazionali intorno all’idea che tutti i sistemi d’arma, compresi quelli dotati di elementi di autonomia, siano sempre sottoposti a un controllo umano descritto come “significativo” (o con attributi simili), soprattutto per quanto riguarda le funzioni di selezione e ingaggio degli obiettivi – le più critiche da una prospettiva etica e giuridica.

Gli osservatori concordano sul fatto che il fallimento della sesta Conferenza di revisione, così come le persistenti difficoltà nei lavori del GGE, derivano in ultima analisi dall’azione di un gruppo ristretto di potenze militari. Guidate da Stati Uniti e Russia, queste potenze militari fanno leva sul metodo del consensus, che caratterizza il processo decisionale della CCW, per bloccare qualsiasi progresso della discussione. Una tale opposizione alla regolamentazione multilaterale si spiega con il timore che una richiesta troppo restrittiva di controllo umano porti a una proibizione indiscriminata di tutte le armi autonome, nonostante i benefici militari attesi.

Armi autonome: l’approccio “differenziato”

In un recente articolo su The International Spectator, abbiamo cercato di stemperare tali preoccupazioni sostenendo le ragioni di un approccio “differenziato”, e tuttavia “basato su principi” e “prudenziale” per l’esercizio del controllo umano significativo (MHC) sui sistemi d’arma. Il nostro approccio è differenziato in quanto respinge soluzioni uniformi alla questione del controllo umano, astenendosi altresì dal proibire tutti i sistemi di armi autonome. Vi sono livelli di autonomia normativamente accettabili (ad esempio, autonomia supervisionata) per alcuni sistemi d’arma (ad esempio, armi autonome anti-materiali con funzioni esclusivamente difensive). Tuttavia, rigorosi vincoli operativi devono essere invariabilmente rispettati (ad esempio per quanto riguarda restrizioni sulle finestre temporali di utilizzo o sulle caratteristiche del campo di battaglia), per garantire che l’autonomia di un’arma non ostacoli mai l’esercizio del MHC.

I ruoli proposti per gli esseri umani nel MHC (ad esempio, operatori per interventi di emergenza e attrattori di responsabilità) sono eticamente e giuridicamente fondati – rendendo così il nostro approccio basato su principi. Il suo carattere prudenziale è invece espresso dall’imposizione dei livelli più stringenti di controllo umano sull’ingaggio di un obiettivo in assenza di disposizioni meno restrittive che siano state concordate a livello internazionale. Questa regola di default è motivata dalle incertezze predittive sul comportamento dei sistemi d’arma autonomi.

I divieti proposti dal CICR

Una proposta altrettanto differenziata è stata fatta più recentemente dal CICR, prevede due divieti ad ampio spettro riguardanti (1) le armi autonome anti-uomo e (2) le armi autonome che hanno comportamenti imprevedibili.  L’autonomia nei sistemi d’arma è altrimenti permessa, anche se soggetta a severe restrizioni, per quanto riguarda i tipi di obiettivi, i limiti sulla durata, la portata geografica e la scala di utilizzo, i limiti sulle situazioni di utilizzo (come l’assenza di civili), nonché la supervisione umana garantita e il potere di veto.

Questa proposta, che si sviluppa in due direzioni (divieto o regolamentazione) è stata sposata dall’attuale presidente del GGE, l’ambasciatore belga Marc Pecsteen de Buytswerve, nel suo tentativo di incoraggiare il consenso sulla necessità di negoziare uno strumento multilaterale sui sistemi di armi autonome. La sua adesione, tuttavia, non ha sortito l’effetto sperato, come testimonia il risultato deludente dell’ultima sessione del GGE e, parallelamente, della sesta Conferenza di revisione della CCW. Di conseguenza, gli stati interessati e le ONG possono valutare l’opzione di esplorare sedi alternative per negoziare un accordo internazionale che sancisca il requisito MHC, sulla scia di ciò che è già avvenuto, sia per la Convenzione sulla messa al bando delle mine antiuomo sia per la Convenzione sulle munizioni a grappolo.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato in inglese sul blog di The International Spectatorla rivista scientifica peer-reviewed in lingua inglese dello IAI curata da Daniela Huber e Leo Goretti.

Foto di copertina EPA/ALEXANDER BECHER

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