L’ultimo atto (o quasi) della Brexit è anche quello che “riporta gli adulti nella stanza”, nonostante rimangano in agguato i rischi di passi falsi in una dinamica politica britannica in cui ormai si recita a soggetto, nonostante l’economia nazionale sia l’unica tra quelle del G7 per cui quest’anno è prevista una recessione.
L’intesa e pure una certa complicità tra Rishi Sunak, il quarto inquilino di Downing Street dal referendum del giugno 2016, e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen era, tuttavia, sotto gli occhi di tutte e tutti, nel corso della conferenza stampa che ha messo il sigillo sul “Windsor Framework” al Protocollo sull’Irlanda del Nord, lunedì 27 febbraio.
Un accordo su due binari
I leader di Londra e Bruxelles hanno trovato l’intesa – una serie di aggiustamenti non propriamente radicali – con l’obiettivo di mettere da parte i dissapori del passato anche recente, in particolare durante gli anni di Boris Johnson, e a far tornare il sereno tra le due sponde della Manica.
In particolare, vengono definiti alcuni accorgimenti per ammorbidire la frontiera doganale creata nel mare d’Irlanda con l’accordo sul divorzio: l’accordo prevede un doppio binario sulla base del quale si creeranno delle green lane per i traffici di merci in arrivo dalla Gran Bretagna e destinate al mercato interno e da parte di chi commercia regolarmente con la regione, che non saranno soggette a (quasi) nessun controllo frontaliero al porto di arrivo (dei check ordinari riguarderanno circa il 5% dei traffici).
Attraverso delle red lane, invece, si sposteranno i prodotti che, invece, potrebbero essere esportati nella repubblica d’Irlanda e, da lì, quindi, verso il resto dell’Ue. La Corte di giustizia dell’Ue (e non poteva essere altrimenti, dato l’ordine legale dell’Unione) rimane il giudice di ultima istanza nel quadro della procedura arbitrale prevista in caso di disaccordo sul Protocollo, ma i britannici ottengono canali permanenti di consultazione e una sorta di freno di emergenza da attivare, su istanza di un terzo dei componenti del Parlamento di Belfast, nel caso in cui Bruxelles decida di cambiare le sue regole in materia di mercato interno con effetti diretti sull’Irlanda del Nord.
Le reazioni di Belfast sullo sfondo
Di fatto, l’intesa punta a “tutelare la sovranità” nordirlandese e facilitare la vita di tutti i giorni dei suoi cittadini, come evocato da Sunak, sia a proteggere “l’integrità del mercato unico” Ue, ha insistito von der Leyen. Ne consegue che, secondo il primo ministro britannico, l’Irlanda del Nord diventa “la zona economica più interessante al mondo. Una posizione di incredibile privilegio”, per i suoi legami a doppio filo tanto con il mercato nazionale britannico quanto con quello dell’Europa unita. A voler essere maliziosi, una situazione non propriamente inedita per (tutti) i sudditi di Sua Maestà, che dell’Ue sono stati membri per quasi cinquant’anni.
Le parole di Sunak hanno, però, interlocutori precisi, e servono a occupare lo spazio temporale “necessario per digerire il contenuto” dell’intesa prima che questa venga sottoposta allo scrutinio parlamentare. E, infatti, non sorprende che il premier britannico le abbia pronunciate da Belfast, dove si è recato per provare a vincere le resistenze degli unionisti nordirlandesi del Dup, che non hanno finora apertamente respinto (ma neppure appoggiato) il piano di Londra, pur sottolineando il positivo risvolto che dà all’assemblea legislativa di Stormont la possibilità di avviare una procedura di allerta. E pure una fronda di conservatori duri e puri, determinati a dare l’ok al “Windsor Framework” solo se questo otterrà il sostegno del Dup.
Sullo sfondo si evolve la politica nordirlandese, con gli altri partiti di Stormont, a cominciare dai repubblicani indipendentisti del Sinn Féin (prima forza alle elezioni del maggio scorso), che invocano, al pari del primo ministro Tory, un ritorno degli unionisti a sedere nel governo di grande coalizione di Belfast, rifiutato dal Dup per i dissapori sul Protocollo con l’Ue: un’assenza che ha, sostanzialmente, sospeso il lavoro legislativo nordirlandese e boicottato le funzioni del Parlamento nazionale.
L’importanza ‘collaterale’ dell’accordo
Tra dinamiche esterne e interne, in palio – e von der Leyen l’ha ricordato espressamente – non ci sono soltanto i rapporti politici o il futuro dei flussi commerciali tra Belfast e Londra da una parte e Belfast e Dublino (e il resto dell’Ue) dall’altra, ma pure la tenuta degli accordi di pace del Venerdì Santo che, 25 anni fa, posero fine alle violenze della stagione dei Troubles in Irlanda del Nord.
Come avvenuto sul dossier climatico, i radar dei commentatori hanno intercettato un certo attivismo (al limite del protocollo) da parte di Buckingham Palace: re Carlo III, poco dopo la fumata bianca, ha voluto incontrare von der Leyen nel castello, per l’appunto, di Windsor. Un’udienza doppiamente simbolica voluta dal sovrano, secondo le ricostruzioni, ma senza riferimenti espliciti all’accordo politico.
E se Sunak continua, adesso, i suoi contatti politici per mettere il “Windsor Framework” al riparo dalle turbolenze di Westminster e Stormont, la presidente della Commissione europea, da parte sua, guarda già al futuro delle relazioni con il Regno Unito e alla possibilità che, passata la tempesta, scienziati e ricercatori britannici tornino a cooperare con i colleghi europei nel quadro dei progetti di Horizon Europe, il programma per la ricerca e l’innovazione che può contare su circa 96 miliardi di euro fino al 2027. Il ritorno sotto l’ombrello di Erasmus+, si ragiona tanto a Londra quanto a Bruxelles, potrebbe essere il prossimo tassello nella lenta ma inesorabile ricostruzione della normalità post-Brexit.
Foto di copertina EPA/CHRIS J. RATCLIFFE / POOL