Fatos Nano: trent’anni al centro della politica albanese

Fatos Thanas Nano. Il primo nome, Fatos, significa “destino”; il secondo, Thanas (derivato dal greco Athanasios), significa “immortale”. E il destino ha riservato a Nano un percorso di vita che, pur non immortale, ha toccato vette molto alte.

Dagli anni anonimi alla ribalta politica

Nato a Tirana nel 1952, la sua vita fino alla soglia dei quarant’anni è trascorsa in modo regolare e quasi anonima, pur essendo un privilegiato. Il padre infatti era stato per molti anni direttore della radiotelevisione albanese e questo gli permise di frequentare il liceo riservato ai rampolli della nomenclatura.

Laureato in economia e poliglotta, fu assegnato dal Partito del Lavoro (che nell’Albania comunista decideva chi lavorava dove) a una cooperativa agricola nel sud del Paese.

La gerontocrazia comunista shqipetara non pensava al futuro e blindava il suo presente. Ma quando, all’inizio degli anni Novanta, dopo la morte dello shoku (compagno) Enver Hoxha – padre-padrone della Terra delle Aquile – anche il suo successore Ramiz Alia fu messo all’angolo dalla Storia, la vedova di Hoxha prese Nano sotto la sua ala protettiva. Divenne così Primo Ministro d’Albania per guidare le prime elezioni libere e multipartitiche.

Il suo nome è strettamente legato al periodo pre-elettorale del 1991, quando le coste pugliesi videro arrivare centinaia di navi con migliaia di albanesi a bordo in fuga da una tremenda realtà. Vinse le elezioni, ma dopo due mesi fu costretto a dimettersi. Nel marzo 1992 il Partito Democratico (centrodestra) vinse le elezioni e, un anno dopo, Fatos Nano fu incarcerato con l’accusa di corruzione e abuso d’ufficio dal presidente Sali Berisha.

Il binomio Nano-Berisha

Il binomio Nano-Berisha ha segnato gli ultimi trent’anni della politica albanese.

Nel 1997, dopo lo scandalo delle società finanziarie piramidali, gli albanesi si rivoltarono assalendo le caserme per appropriarsi dei kalashnikov. Nel caos generale che seguì furono aperte le prigioni. Fatos Nano uscì, ma pretese e ottenne da Sali Berisha l’amnistia, rientrando così nell’agone politico a pieno titolo.

Tra opposizione e governo

Alla fine del 1997 si tennero le elezioni generali, vinte dal Partito Socialista. Fu nominato Primo Ministro ma si dimise dopo i disordini scoppiati in seguito all’omicidio di Azem Hajdari, stretto collaboratore di Berisha. Tornò ancora una volta capo del governo dal 2002 al 2005.

Mentre il Partito Democratico albanese ha sempre avuto in Sali Berisha un demiurgo capace di fare e disfare linee politiche e carriere, nel Partito Socialista la figura di Nano andava sbiadendosi. Nuove correnti emergevano e giovani come Ilir Meta prima, e poi l’allora sindaco di Tirana Edi Rama, si imponevano all’attenzione.

Il primo guidò una scissione interna e qualche anno dopo divenne Presidente della Repubblica. Il secondo, cresciuto dallo stesso Nano (“l’ho preso che aveva le unghie sporche”, era la battuta tagliente che ripeteva), gli si rivoltò contro quando all’interno del Partito Socialista non votò la sua candidatura a Presidente della Repubblica.

A quel punto capì – o gli fu fatto capire – che le cose erano cambiate. Anche la sua vita privata mutò dopo il divorzio dalla prima moglie Regina (madre dei suoi due figli) e il matrimonio in grande stile con la più giovane Joana, di religione cristiano-ortodossa, celebrato dall’Arcivescovo ortodosso d’Albania. Anche il matrimonio fu un affare di Stato.

La sua vita si divise tra Tirana e Vienna, le sue uscite politiche erano quelle di un padre nobile anziché di un leader attivo.

Il rapporto con il socialismo

Nano fu testimone e protagonista della transizione dal Partito del Lavoro al Partito Socialista. Sia alleati che oppositori hanno riconosciuto il suo merito nell’abbandono del marxismo-leninismo e nell’avvio della transizione verso la socialdemocrazia. Addirittura il suo nemico di (quasi) sempre, Berisha, ha ammesso che è stato una delle figure principali della sinistra albanese, con l’abbandono dell’ideologia a favore dell’inclusione politica, dell’alternanza del potere con altri partiti e dell’ingresso nell’Internazionale Socialista.

Non poteva mancare il pensiero del premier Edi Rama che, come abbiamo visto, fu scoperto da Nano salvo poi girargli le spalle. Nel suo ricordo, il premier ha lodato la sua figura sia di leader socialista che di statista: come socialista ha avuto il merito di scrollarsi di dosso lo stalinismo sovietico di Hoxha, pur tra mille difficoltà e resistenze interne (non dimentichiamo che esistono ancora social network che rimpiangono quel periodo o che almeno lo riqualificano).

Come statista, Rama ha sottolineato il merito di aver tutelato gli interessi dell’Albania nei Balcani durante il decennio delle guerre nella ex Jugoslavia e in Kosovo, ma senza soffiare sul nazionalismo. Come vedremo più avanti, in Grecia, in occasione di un summit interbalcanico, incontrò Slobodan Milošević e per questo fu chiamato “traditore”. Ma la Storia, ha continuato Rama, gli ha reso giustizia e verità perché voleva solo trattare la questione degli albanesi a Pristina. “Uno così”, ha concluso Rama, “non muore mai”.

I rapporti con il Kosovo

Anche il premier kosovaro Albin Kurti ha ricordato come le loro vite personali e politiche si siano incrociate. Ricorda non solo quando si incontrarono (Kurti era appena uscito dalle prigioni di Milošević, senza fare riferimento all’incontro sopra citato), ma anche il suo ruolo nell’aiutare l’organizzazione dell’autodeterminazione degli albanesi del Kosovo. Parliamo degli anni in cui Nano era all’opposizione.

Kurti conclude dicendo che la storia moderna e la storia politica dell’Albania e del Kosovo dovranno ricordare il suo nome tra i politici albanesi che hanno attraversato il secolo. Questo è un aspetto da sottolineare perché riferito a un leader politico che non ha mai premuto sull’acceleratore del nazionalismo.

I rapporti con la Grecia

Nell’apertura ai partiti socialisti, un ruolo immediato lo ebbe il PASOK greco di Andreas Papandreou, cui fece riferimento fin dall’inizio anche per motivi di vicinanza geografica. Quando uscì di prigione dopo le sommosse popolari del 1997, i vertici socialisti albanesi non ritenevano sicura la sua abitazione e Kostas Simitis – allora premier e leader del PASOK – diede disposizione all’Ambasciata greca a Tirana di provvedere al suo trasferimento in terra ellenica per ragioni di sicurezza.

Da Atene lo ricordano come il leader albanese più filellenico degli ultimi tempi, poiché ebbe il merito di ripudiare la strategia politica fondata sul sentimento di accerchiamento che l’Albania aveva mantenuto durante la guerra fredda: accerchiamento e rischio di invasione dalla Grecia al sud e dalla Serbia al nord.

Gli venne riconosciuta lungimiranza nei rapporti bilaterali, per esempio in tema di tutela della minoranza greca in Albania, ma anche con l’Italia, che all’epoca – insieme alla Grecia – era meta degli albanesi che disperati lasciavano la loro patria con qualsiasi mezzo.

La Grecia fu importante anche per motivi personali: i figli studiavano all’Università Americana di Salonicco e lui era amante del glenді (un termine che non ha sinonimi e richiede una perifrasi): quell’atmosfera fatta di buonumore, amici, musica e bevande.

A proposito dell’incontro con Milošević avvenuto a Creta, fonti greche assicurano che l’allora premier Simitis – che se ne attribuì il merito politico e diplomatico – li prese per mano e li condusse in una stanza dove li lasciò seduti a un tavolo sul quale erano posati due bicchieri e una bottiglia di tsikoudiá (l’acquavite tipica di Creta). Alla fine dell’incontro quella bottiglia era vuota: sottigliezze che soltanto nei Balcani si possono cogliere e apprezzare.

Fatos Nano: una parte fondamentale nella Storia

La morte rende tutti migliori e facilita le frasi di circostanza. Chi sia stato davvero Fatos Nano lo giudicherà la Storia.

Indubbiamente ha recitato una parte fondamentale, ma è pur vero che la Storia aveva preso una direzione irreversibile e, quando ha capito che non poteva fermarla, l’ha cavalcata. Nessuno di noi sceglie in quale periodo nascere; al massimo possiamo ottimizzare quello in cui siamo capitati. E sicuramente questo è ciò che è accaduto a lui.

Quando muore un leader di tale portata, la domanda è sempre: chi sarà l’erede? Ma in questo caso possiamo dire che non c’è erede, perché non c’è più quell’Albania.

Antonio Frate è laureato alla Sapienza in Giurisprudenza discutendo la tesi di laurea in Diritto delle Comunità Europee sul tema dei Diritti dell'Uomo nel Trattato di Maastricht. Ha collaborato con "Diritti dell'Uomo" - "Cronache e Battaglie" - "Est Ovest" dell'ISDEE di Trieste. Poi l'approdo a Internazionale con 18 anni di collaborazione esterna e duecento articoli scritti.

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