Il boato delle elezioni USA si propaga per zone molto lontane, arrivando anche in alcuni Stati dei Balcani, dove l’importanza di questa onda si misura con l’attesa degli effetti. Qui, le scelte politiche americane hanno sempre avuto un impatto diretto, e ora le prospettive si intrecciano con la speranza che il risultato delle elezioni possa influire sugli equilibri regionali e sulle alleanze strategiche. La politica estera americana, infatti, continua a rappresentare un punto di riferimento fondamentale per molti Paesi balcanici.
Grecia
Le dichiarazioni di voto
Come si erano espressi i parlamentari greci? All’inizio i conservatori di ND non erano compatti nei confronti dei repubblicani americani (già diversi dal colore: rosso negli USA, blu nell’Ellade). Anzi tra le deputate c’era chi sosteneva Kamala Harris perché in lei vedeva una candidata di genere, “una vera democratica, che ha fatto il bene delle donne e per i diritti di tutti, sarebbe ora di avere una Presidente donna”. I socialisti del PASOK invece puntavano sul fatto che Trump va a braccetto “coi revisionisti come Putin”.
Più esplicita la posizione di SYRIZA che, presa dalla “guerra civile” in seno al proprio Comitato Centrale dopo la sfiducia a Stefanos Kasellakis a meno di un anno dall’elezione (e la conseguente fronda di quest’ultimo), lanciava un allarme “la vittoria di Trump sarà il risultato degli sbagli dei Democratici come gli sbagli nostri hanno portato Mitsotakis al 41%”.
Come sempre, a testa bassa, la dichiarazione pre-elettorale dei comunisti del KKE: “sono tutti uguali: i conservatori di Trump sono fascisti, mentre i Democratici sono quelli che hanno portato la guerra in Jugoslavia e in Siria”. Gli americani residenti nella terra di Omero e che qui hanno votato non credono nelle “minestre riscaldate” come Trump e, alla fine, non hanno nascosto il loro disappunto per l’esito del voto.
La vittoria di Trump e le relazioni Grecia-Turchia
Come si dice negli States al termine di ogni elezione, chi ha vinto è il nostro Presidente. E ora bisogna fare i conti con la realtà. La realtà dice che in Grecia il tema sempre caldo è quello dei rapporti con la Turchia. Sulla stampa greca si legge che il governo greco si aspettava la vittoria, tant’è che l’incontro tra il Primo Ministro Kyriakos Mitsotakis e Mike Pompeo, ex Segretario di Stato e stretto collaboratore di Trump, andava proprio in quella direzione, quasi per portarsi avanti coi lavori.
Che cosa succederà dopo gennaio? La politica estera trumpiana dovrà ridisegnare il ruolo degli USA nei rapporti con Cina, Russia e Unione Europea. E in tutto ciò che si dovrà delineare la sua posizione nei rapporti greco-turchi. C’è da dire che la precedente amministrazione Trump ha attraversato il periodo del passaggio da Tsipras a Mitsotakis e la Grecia non ha avuto problemi più gravi del solito. Anzi, è stato siglato il rinnovo dell’Accordo di cooperazione per la mutua difesa tra Usa e Grecia (MDCA) e grazie a Mike Pompeo c’è stato l’Accordo di collaborazione trilaterale Grecia, Israele Cipro. Non solo, ma per la politica estera greca nel 2018 fu firmato l’Accordo di Prespa che ha disciplinato la questione del nome Macedonia del Nord.
Dunque, per quanto riguarda i rapporti con la Turchia, molti osservano che bisognerà separare i rapporti personali tra i due Capi di Stato dalle loro missioni istituzionali. I primi fanno temere una propensione verso il “Sultano” (vista la simpatia di Trump verso i leader autoritari), mentre i secondi li hanno fatti scontrare più volte, come sul ruolo dei Curdi in Siria e, soprattutto, sulle posizioni su Gaza e Israele. Quanto inciderà questo sui rapporti greco-turchi? È probabile che l’amministrazione Trump voglia gestire la questione parteggiando ora per gli uni ora per gli altri, in modo dada mantenere alta l’attenzione e la tensione tra i due Stati. Perché dagli States è difficile immaginare sia un disimpegno totale sia “la risoluzione in 24 ore”. E considerando le “uscite” di Erdogan, è facile pensare che le ore saranno ben più di 24.
Le relazioni Usa-Grecia
Il discorso di Mitsotakis dopo i risultati è stato all’insegna dei convenevoli: ha preso atto del vincitore e ha auspicato rapporti di collaborazione, aggiungendo che “nessuno è quello del 2020”. Aldilà di questo, la Grecia spende per la NATO il 3% del Pil, un dato che dovrebbe ben disporre il prossimo inquilino della Casa Bianca, tanto più che questo concetto lo ha ribadito pubblicamente.
A dare un involontario aiuto al governo di ND ci sta pensando l’opposizione di sinistra, tradizionalmente “anti Yankee” ormai lacerata da lotte intestine: forte nelle piazze, ma non altrettanto nelle altre sedi.
Albania
In Albania la vittoria di Donald Trump è motivo di confronto politico interno e di riflessione sulle relazioni internazionali.
Da un lato, la destra vede nella vittoria di Trump il trionfo di quei valori tipici della Destra mondiale, una specie di “Dio, Patria e Famiglia” in versione globale o, addirittura, una speranza contro i mali della sinistra della Terra delle Aquile. Repubblicani e democratici (qui intesi come destra) albanesi vedono nell’elezione di Trump una garanzia per la democrazia e, dal punto di vista internazionale, una maggiore sicurezza nei Balcani. Tuttavia, ci tengono a sottolineare che l’Albania non si appiattisce sugli USA: alleati fedeli sì, ma vassalli no.
Certo, resta da vedere come tutte queste speranze si concilieranno con la politica “America First” e l’annunciato disimpegno dalla scena mondiale del neo eletto Presidente.
Da sinistra, invece, si commentano le reazioni della destra in modo sarcastico: si riconoscono in Trump e nei suoi scandali, dalle accuse di corruzione all’assalto del Campidoglio per non ammettere la sconfitta elettorale. Al posto di Trump, continuano dal lato socialista, loro hanno l’ex premier Sali Berisha, indagato per corruzione ma ancora libero di comandare, perciò sperano nell’influenza di Trump, cioè che Trump “convinca” la maggioranza di sinistra a concedere un colpo di spugna ai processi ancora in corso. Secondo gli osservatori di sinistra, Berisha ha un vero culto della personalità per Trump e vuole imitarlo nella vita privata, come dimostra il suo essere neo sposo a 81 anni.
Kosovo
In Kosovo, un Paese che, com’è noto, deve molto agli USA, media e operatori del settore si sono rivolti a esperti americani per capire che cosa cambierà con la nuova di amministrazione. Il nodo principale riguarda chi sceglierà Trump come consigliere per l’area. In passato, non erano un mistero i dissapori tra Richard Grenell (inviato speciale di Trump per i negoziati di pace Serbia- Kosovo) e il premier Albin Kurti, accusato di non voler seguire la linea politica consigliata da Washington. Accusandolo, insomma, di fare un po’ troppo come gli pareva.
Cosa che, al netto delle strategie politiche e diplomatiche, potrebbe sembrare un complimento per chi, da studente, rivendicò i diritti degli albanesi del Kosovo (all’epoca regione della Serbia) e condusse le proteste contro l’allora presidente serbo Slobodan Milosevic nei primi anni ’90. Tuttavia, il presente ora è questo e il futuro non è tanto lontano, perché a febbraio, si attende l’esito delle elezioni parlamentari a Pristina, dove il Parlamento dovrà nominare il nuovo premier. Quindi, tutto rimandato all’inizio del 2025, anche se fin d’ora la realpolitik suggerisce che è meglio non scostarsi troppo da Washington.
Cipro
È presto per fare valutazioni e adesso ci si limita a previsioni. La collaborazione tra Joe Biden e Nikos Chrstodoulìdis è stata buona e, come si legge sul quotidiano Fileleftheros, “gli USA sono questi, a prescindere dal leader, appunto perché gli accordi sono tra gli Stati e non tra presidenti”.
Qui, nell’isola di Afrodite, la fiducia si basa e sulla propria posizione strategica (fondamentale nel Mediterraneo) e sul precedente mandato di Mike Pompeo. Resta l’incognita sul ruolo della Turchia, i cui rapporti con gli Stati Uniti durante l’amministrazione Biden non sono stati sempre lineari. La diplomazia turca tenterà quindi di cambiare il clima negativo per migliorare le relazioni con Trump. Questo miglioramento ricorda, però, il gioco dell’oca: i rapporti di Trump e Erdogan andranno avanti o indietro in relazione alla posizione di quest’ultimo in Ucraina e Medio Oriente. Ad aumentare l’imprevedibilità resta il carattere di Trump, poco incline ai convenevoli politici e diplomatici.
Per concludere, ogni volta che inizia un nuovo mandato alla Casa Bianca, la domanda ricorrente nella penisola balcanica è: “come la nuova Presidenza potrà incidere sulle nostre questioni?”. Ormai da decenni, le questioni cruciali che hanno riguardato il destino degli Stati analizzati sono state decise o almeno condizionate da Washington. E ancora oggi, a tre settimane dai risultati e a meno di due mesi dall’insediamento del nuovo Presidente, le diplomazie sono al lavoro per proseguire su questo binario.
Forse sarebbe ora di cogliere l’opportunità di un confronto sì serrato, ma diretto tra le parti in causa, senza questo potente intermediario che ha tracciato la strada ma finisce per far pesare la propria posizione su quella degli interessati.