Per anni, specie dopo il 1989, è sembrato che le armi nucleari stessero progressivamente perdendo di importanza, sino a convincere anche un solido realpolitico come Henry Kissinger che fosse possibile concepire il progressivo smantellamento degli arsenali atomici sino allo zero.
In quegli anni non solo furono negoziate, tra Usa e Urss, importanti riduzioni delle loro forze strategiche, ma alcune repubbliche ex sovietiche che avevano riacquistato la loro indipendenza con la dissoluzione dell’Urss, l’Ucraina, la Bielorussia e il Kazakistan, accettarono di disfarsi degli armamenti nucleari che avevano ereditato, trasferendoli alla Federazione Russa.
Erano anche gli anni in cui venne stretto un patto con l’Iran per porre fine al rischio di un suo riarmo nucleare. Solo la Corea del Nord ha fatto eccezione e, in aperto contrasto con le scelte di tutti gli altri paesi dotati di tali armamenti, ha continuato a effettuare anche esplosioni nucleari sperimentali. Ora però le armi atomiche tornano prepotentemente sul davanti della scena.
Il riarmo nucleare
La spinta iniziale l’ha data la Russia, che prima ha violato militarmente l’indipendenza e l’integrità territoriale dell’Ucraina, in flagrante violazione di una serie di trattati da lei ratificati, e poi, poiché non sembra riuscire a vincere malgrado la disparità di forze a suo favore, ha più volte agitato lo spettro di ritorsioni nucleari contro i paesi che aiutano la resistenza di Kyiv.
Nel contempo la Cina, che per anni aveva mantenuto il suo arsenale al livello di circa 300 testate strategiche, più o meno alla pari con Francia e Regno Unito, ha avviato un processo di rapido riarmo che ha già portato al raddoppio delle sue testate operative e che sembra puntare a raggiungere il livello degli arsenali di Russia e Stati Uniti (circa 1.300 testate strategiche operative).
Poi c’è stato il bombardamento mirato di Israele e degli Usa contro i siti di arricchimento dell’uranio in Iran, per bloccare lo sviluppo di sue eventuali capacità nucleari militari.
C’è stata anche una breve ma intensa fiammata bellica tra India e Pakistan, con ampia mobilitazione delle forze militari, incluse quelle nucleari di entrambi i Paesi.
Abbiamo assistito a numerosi test di nuove armi strategiche russe e cinesi, soprattutto a livello missilistico, che potrebbero modificare significativamente gli equilibri globali. Allo stesso tempo gli Stati Uniti stanno rilanciando un gigantesco programma di difese antimissilistiche che potrebbe anch’esso modificare la situazione. Tutte e tre queste potenze nucleari hanno intensificato le loro attività militari nello spazio extra-atmosferico.
Infine, si avvicina la data del febbraio 2026, quando verrà a scadenza l’accordo START, tra Usa e Russia, che stabilisce i limiti quantitativi e qualitativi degli armamenti nucleari strategici delle due potenze. Tale trattato non prevede una sua eventuale estensione o rinnovo, ma solo la possibilità di una sua rinegoziazione; tuttavia finora non si sono avuti segnali in tal senso, né a Washington né a Mosca. Questo, peraltro, è anche l’ultimo trattato sul controllo degli armamenti nucleari ancora in vigore tra i due paesi dopo la rottamazione dei trattati ABM (forze antimissile) e INF (missili di media gittata).
Trump e la ripresa degli esperimenti nucleari
Non meraviglia quindi se, in questa atmosfera di riscoperta della centralità delle armi nucleari, abbia fatto scalpore l’improvvisa comunicazione con cui Donald Trump ha affermato di aver dato istruzioni ai dipartimenti interessati per la ripresa degli esperimenti nucleari “in condizioni di parità con le altre potenze”.
Di fatto, sino ad ora, Usa, Russia e Cina, e tutti gli altri Paesi con tali armamenti, con la sola eccezione della Corea del Nord, hanno rispettato il CTBT (Comprehensive Test Ban Treaty), l’accordo (firmato, ma non ratificato da Washington) che vieta la ripresa delle esplosioni nucleari a fini sperimentali. L’attività di ricerca e sperimentazione è continuata a livelli sub-critici, o di laboratorio, finora ritenuti più che sufficienti allo scopo.
È dunque cambiato qualcosa? In realtà, Chris Wright, il ministro a capo del Dipartimento dell’Energia, che ha il compito di produrre, immagazzinare e curare la manutenzione delle testate nucleari americane, ha precisato che si tratterebbe comunque di esperimenti sub-critici e di esplosioni non nucleari, in linea con il CTBT.
Tuttavia la percezione di un mutamento è rimasta forte, tanto più che Vladimir Putin ha sentito il bisogno di comunicare di aver dato istruzioni al Ministero degli Esteri, a quello della Difesa, ai Servizi e alle altre Agenzie interessate di fare il possibile per raccogliere ulteriori informazioni, onde analizzarle in sede di Consiglio di Sicurezza ed eventualmente per prepararsi a una ripresa dei test nucleari.
Naturalmente non si tratterebbe in nessun caso di esplosioni condotte nell’atmosfera, all’aperto, come negli anni iniziali dell’era atomica, ma di ben più limitate e controllate esplosioni sotterranee. Ma sarebbe comunque un grosso passo indietro in direzione di una ripresa della corsa agli armamenti nucleari.
I negoziati tra Usa, Russia e Cina
Non sappiamo ancora cosa accadrà. La via maestra per evitare il peggio sarebbe quella di negoziare un nuovo accordo sulla limitazione delle armi strategiche. Per il momento, Putin ha proposto di estendere per un anno, su base volontaria, il rispetto dei limiti fissati dallo START. Trump ha reagito positivamente, ma poi non se ne è saputo più niente.
Gli Stati Uniti in particolare sembrano preoccupati per le conseguenze sugli equilibri strategici del riarmo cinese. Tanto più che Pechino mantiene fermo il suo rifiuto a partecipare a eventuali negoziati per il controllo (e la possibile riduzione) delle forze nucleari. Molti analisti ritengono che gli Usa potrebbero avere difficoltà a sostenere la credibilità della loro deterrenza nucleare, in particolare per proteggere i loro alleati in Europa e nel Pacifico, se dovessero rispondere a una minaccia coordinata e contemporanea da Mosca e da Pechino. A loro avviso ciò richiederebbe un numero di testate strategiche operative più alto di quello stabilito dallo START.
Un processo di riarmo nucleare è quindi possibile, anche se si riuscisse a evitare una ripresa degli esperimenti con esplosioni nucleari. Questo, a sua volta, potrebbe avere un impatto disastroso sulla tenuta del Trattato di Non Proliferazione (TNP), che ha sinora limitato l’accesso di molti paesi all’arma atomica.
Il futuro della deterrenza europea e della non proliferazione
Allo stesso tempo, come conseguenza dell’aggressività russa da un lato e dei dubbi che circolano sulla piena credibilità dell’ombrello protettivo americano per i paesi non nucleari della Nato, è iniziato anche in Europa un complesso dibattito sul futuro della deterrenza che riguarda sia un necessario aggiornamento della strategia nucleare alleata, sia un possibile maggior ruolo da affidare a Francia e Regno Unito, sia più in generale il futuro della non proliferazione.
Tutto questo, infine, non potrà non avere conseguenze importanti sulla prossima Conferenza dei paesi membri del TNP, che potrebbero rivelarsi drammatiche, tanto più se ricordiamo il sostanziale fallimento delle due ultime Conferenze.
Siamo insomma ben lontani dall’uscita dall’era atomica. Al contrario, cresce l’urgenza di una maggiore attenzione e di nuove iniziative per il controllo degli armamenti strategici.
Consigliere scientifico dell’Istituto Affari Internazionali e direttore editoriale di AffarInternazionali. È stato presidente dello IAI dal 2001 al 2013. È editorialista de Il Sole 24 Ore dal 1985. È stato sottosegretario di Stato alla Difesa (gennaio 1995-maggio 1996), consigliere del sottosegretario agli Esteri incaricato per gli Affari europei (1975), e consulente della Presidenza del Consiglio sotto diversi governi. Ha svolto e svolge lavoro di consulenza sia per il Ministero degli Esteri che per quelli della Difesa e dell'Industria.






