L’Idrogeno verde in Europa tra ambizione e realtà

L’Unione Europea ha fatto dell’idrogeno verde uno dei pilastri della sua strategia per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050. Tuttavia, tra obiettivi ambiziosi e realtà sul campo, il divario appare grande. Tra normative complesse, costi elevati, infrastrutture ancora insufficienti e carenza di accordi commerciali, il percorso verso un’economia dell’idrogeno europea si presenta più tortuoso del previsto.

La visione europea

La strategia europea per l’idrogeno, presentata nel 2020, punta a installare 40 GW di elettrolizzatori entro il 2030 e a produrre 10 milioni di tonnellate di idrogeno rinnovabile domestico. Con il piano RePowerEU del 2022, nato in risposta all’invasione russa in Ucraina, l’obiettivo è stato raddoppiato a 20 milioni di tonnellate: metà da produzione interna, metà da importazioni.

I dati attuali però rivelano un divario drammatico tra ambizioni e realtà. Al momento, l’Europa ha installato appena 200 MW di capacità di elettrolisi, una goccia nell’oceano rispetto ai 125 GW necessari per raggiungere l’obiettivo di 10 milioni di tonnellate di produzione domestica. Anche considerando i progetti pianificati, che potrebbero raggiungere 130 GW entro il 2030, circa la metà rischia di non ottenere l’approvazione finale per l’investimento.

La sfida europea si inserisce poi in un contesto di competizione globale sempre più intensa, dove Stati Uniti e Cina hanno investito massicciamente nel settore con approcci più aggressivi e meno vincolati rispetto a quello europeo.

I settori più interessati

I settori prioritari identificati dalla strategia europea per l’idrogeno includono (i) la siderurgia: Arcelor Mittal e altri produttori stanno sviluppando progetti pilota in Germania, Francia e Spagna, per esempio. La produzione di acciaio verde potrebbe infatti ridurre le emissioni del settore fino al 95%; (ii) l’industria chimica: la produzione di ammoniaca, metanolo e altri prodotti chimici può beneficiare dell’idrogeno verde sostituendo quello grigio attualmente utilizzato. L’Europa consuma circa 7,2 milioni di tonnellate di idrogeno all’anno, di cui il 99,7% ancora derivante da fonti fossili; (iii) il trasporto pesante su lunghe distanze: camion, treni non elettrificabili e navi potrebbero utilizzare celle a combustibile o ammoniaca verde. Tuttavia, la competizione con biocarburanti avanzati ed e-fuels rimane aperta; (iv) l’aviazione, dove gli e-fuels sintetici prodotti combinando idrogeno verde e CO2 catturata rappresentano l’unica opzione per decarbonizzare il settore aereo, dove le batterie non sono praticabili per voli a lungo raggio. Al contrario, l’uso dell’idrogeno per il riscaldamento domestico, il trasporto leggero o la produzione elettrica è generalmente inefficiente rispetto all’elettrificazione: le pompe di calore e i veicoli elettrici offrono rendimenti energetici superiori e costi inferiori.

Il quadro normativo e il delicato nodo dei finanziamenti

Bruxelles ha costruito un’architettura regolamentare estremamente complessa attorno all’idrogeno. Dalla direttiva sulle energie rinnovabili (RED III) al pacchetto “Fit for 55”, passando per il meccanismo di adeguamento del carbonio alle frontiere (CBAM) e la rete di operatori europei dell’idrogeno (ENNOH). L’Europa ha poi istituito numerosi strumenti finanziari per sostenere l’idrogeno: il Fondo per l’Innovazione, la Banca Europea dell’Idrogeno, i progetti di comune interesse europeo (IPCEI). Tuttavia, le risorse disponibili sono insufficienti. La Banca Europea dell’Idrogeno, con un budget iniziale di 3 miliardi di euro, può finanziare la produzione di circa 0,7 milioni di tonnellate entro il 2030, appena il 7% dell’obiettivo dichiarato. La prima asta ha assegnato 720 milioni di euro a sette progetti, prevalentemente nella penisola iberica e nel Nord Europa, suscitando le proteste dei Paesi dell’Europa centrale che lamentano un vantaggio competitivo sleale per le regioni con maggiore disponibilità di energia rinnovabile a basso costo. Inoltre, la scadenza della Recovery and Resilience Facility nel 2026 creerà un vuoto di finanziamenti stimato in 180 miliardi di euro fino al 2030, proprio quando gli investimenti per la decarbonizzazione dovrebbero intensificarsi al massimo.

La costruzione di una rete europea dell’idrogeno rappresenta poi un ulteriore elemento di preoccupazione. Lo European Hydrogen Backbone propone una rete di corridoi per collegare i centri di produzione con quelli di consumo, ma i progetti su larga scala affrontano costi elevati e rischi contrattuali significativi. Anche lo stoccaggio rappresenta una sfida: l’Europa avrà bisogno di 45 TWh di capacità di stoccaggio entro il 2030, ma anche se tutti i progetti annunciati fossero completati in tempo, si raggiungerebbe solo il 20% di questo obiettivo.

Verso un cambio di paradigma?

La Corte dei conti europea ha evidenziato la mancanza di una chiara strategia di importazione e rischi geopolitici non adeguatamente considerati, mentre l’Agenzia europea per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell’energia (ACER) ha confermato che l’UE non raggiungerà gli obiettivi del 2030. L’idrogeno verde rappresenta dunque indubbiamente una tecnologia cruciale per decarbonizzare settori come l’industria pesante, la siderurgia e il trasporto marittimo, dove l’elettrificazione diretta non è praticabile. Occorre però una maggiore prioritizzazione settoriale, concentrando gli investimenti sui settori hard-to-abate dove l’idrogeno è insostituibile, evitando sprechi di risorse in applicazioni dove esistono alternative più efficienti. Occorre inoltre definire una strategia geopolitica coerente: stabilire partnership bilaterali strutturate con paesi produttori, fissando standard di certificazione vincolanti e meccanismi di governance condivisa.

Tuttavia, la frammentazione normativa tra Stati membri e il dilemma infrastrutturale richiedono un coordinamento europeo molto più forte e un maggiore realismo sui costi: senza meccanismi di finanziamento massicci e duraturi, l’idrogeno verde decollerà con fatica. Il rischio, altrimenti, è che l’Europa rimanga intrappolata in una visione ambiziosa ma irrealizzabile.

Responsabile del programma Energia, clima e risorse all’Istituto Affari Internazionali. In precedenza ha lavorato presso il Parlamento europeo, nella Task Force della Presidenza italiana del G7 e presso UN Environment.

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