Sebbene non abbia mai goduto del carisma leaderistico di alcuni suoi predecessori, e il suo successo elettorale sia stato frutto (anche) della stanchezza generale provocata dall’ottovolante che i Tories hanno rappresentato per 14 anni, forse Keir Starmer pensava che la sua luna di miele con il Paese sarebbe durata un po’ più a lungo. Dodici mesi dopo, invece, lo scenario per il governo laburista appare complesso, così tanto da far titolare all’Economist “la tragedia del Labour”. Il bilancio del primo anno di Starmer a Downing Street è un chiaroscuro da leggere principalmente attraverso tre lenti: economia, immigrazione e politica estera.
Economia: i conti non tornano
Il precario stato delle finanze pubbliche era noto ben prima del successo elettorale del 2024. Anni di austerity hanno lasciato il segno, tra liste d’attesa infinite per il Servizio Sanitario Nazionale e settori come i trasporti ormai ridotti all’osso (o privatizzati). A ciò si aggiunge una crescita economica anemica acuita dalla hard Brexit perseguita dai Tories che ha avuto conseguenze nefaste per l’economia britannica. Il Paese è ormai bloccato nel più lungo periodo di stagnazione economica dagli anni ’30 del secolo scorso, ha un debito pubblico sempre più alto e l’inflazione resta di oltre un punto percentuale al di sopra dell’obiettivo del 2%. L’economia britannica non cresce perché è afflitta da fattori di crisi strutturali che richiederebbero soluzioni altamente costose (per le quali, proprio per mancanza di crescita economica, non ci sono risorse). Questo circolo vizioso non è stato sin qui spezzato dal Labour, al quale viene rimproverato sia da destra che da sinistra la mancanza di coraggio nel proporre misure poco incisive ed efficaci, soprattutto sul welfare, se non addirittura nefaste, quali ulteriori tagli che finiscono per colpire le fasce più vulnerabili della popolazione. Proprio l’ultima misura in tal senso ha provocato una rivolta parlamentare che ha costretto Starmer a ritirare il provvedimento e a sottoporsi a un infuocato Question Time il 2 luglio, nel corso del quale non ha preso le difese di Rachel Reeves, Cancelliere dello Scacchiere. Le sue lacrime inquadrate dalle telecamere durante l’intervento di Starmer hanno fatto il giro del mondo e suscitato la reazione allarmata dei mercati, oltre a comunicare il senso di un governo in confusione e in affanno.
L’eterno dilemma migratorio
Take back control: lo slogan attorno al quale, ossessivamente, si è svolto (e vinto) il referendum sulla Brexit. Lo stesso mantra ripetuto da Boris Johnson nella cavalcata elettorale del 2019. Lo stesso concetto ribadito anche da Starmer per intercettare in campagna elettorale i voti dei brexiteer delusi, ovvero l’idea che il Regno Unito debba limitare gli afflussi migratori nel Paese e fermare l’arrivo di imbarcazioni provenienti dalla Francia con a bordo i migranti. Anche su questo versante i dati non sono del tutto positivi per il governo: l’arrivo di 43.000 persone tramite imbarcazioni di fortuna attraverso la Manica nell’ultimo anno (+38% rispetto al periodo precedente) non rafforza l’immagine di un governo impegnato a contrastare le gang di trafficanti di esseri umani, come più volte annunciato. Le immagini delle proteste delle comunità locali attorno agli hotspot per migranti rappresentano un’occasione d’oro per le opposizioni. Eppure, è proprio l’immigrazione il tema di politica interna sul quale Starmer ha provato a fare maggiormente la voce grossa. Le immagini diffuse tramite canali ufficiali di migranti irregolari arrestati avevano suscitato aspre polemiche nel suo stesso partito e nel Paese. Il Labour è consapevole che il tema è quello più sentito dall’opinione pubblica e cerca di coprire il fianco destro dagli attacchi politici mostrando polso fermo. Come con i provvedimenti annunciati il 23 luglio che mirano a introdurre il primo regime sanzionatorio al mondo per colpire le bande responsabili della migrazione irregolare, congelandone i beni e bandendoli dal Paese.
La ribalta internazionale
Sul piano internazionale, Starmer ha raggiunto i risultati migliori. È riuscito a contenere i danni con Trump, a mantenere una linea ferma sulla difesa dell’Ucraina ponendosi alla testa della ‘coalizione dei volenterosi’, ha espresso una voce critica su Gaza e soprattutto ha riaperto un dialogo serio e costruttivo con la Ue. Proprio l’evoluzione futura del reset appena iniziato con Bruxelles, di cui esistono però al momento più i contorni che i contenuti, risulterà decisiva sia per riallacciare legami solidi con un partner commerciale di cui Londra ha estremo bisogno, sia per ripensare l’architettura di sicurezza del continente europeo in una fase così critica.
Un futuro di nome Farage?
Nonostante le incertezze, gli inciampi e le timidezze, la maggioranza di Starmer alla Camera dei Comuni è solida e in grado di garantirgli una navigazione abbastanza tranquilla per il resto della legislatura. Un fantasma si aggira però per Westminster, quello di Nigel Farage. A nove anni di distanza dal referendum sulla Brexit e con un partito nuovo di zecca, la scheggia impazzita della politica britannica continua a essere lui. Inaffidabile e provocatorio come sempre, Farage si è reso protagonista di annunci sempre più roboanti sui provvedimenti che prenderà se approderà a Downing Street, soprattutto in materia di immigrazione e sicurezza. Piani costosissimi per i quali non ha fornito alcuna copertura economica, ma tanto basta per solleticare la pancia del Paese. Intanto il suo Reform UK vola nei sondaggi, e ha per ora sorpassato il Labour al primo posto e i Tories come principale partito di opposizione, mentre nelle ultime elezioni locali e suppletive di maggio ha fatto registrare un’ottima performance.
A offrire un barlume di speranza ai laburisti sono però altre rilevazioni demoscopiche secondo le quali la maggioranza dei britannici preferirebbe comunque Starmer a Farage come Primo Ministro. Non è un bel segnale per Reform che evidentemente, anche nella sua fase più ascendente, non riesce ancora a spingersi oltre il perimetro di una (pur consistente) minoranza. Non è tanto, ma è qualcosa da cui ripartire per Starmer e il suo governo. Quattro anni sono lunghi ma possono anche volar via in un attimo. Starmer lo sa, e dovrà lavorare sodo per far sì che presto l’inverno dello scontento si faccia estate radiosa.
Ricercatore nel programma “Ue, politica e istituzioni” dell’Istituto Affari Internazionali. I suoi interessi di ricerca includono la Politica estera e di sicurezza dell’Ue, i rapporti tra organizzazioni internazionali nel settore della difesa euro-atlantica, i rapporti tra Ue e Regno Unito in ambito di difesa e sicurezza, il terrorismo internazionale e la sicurezza climatica.