Il recente impeto dell’Unione Europea nella politica di allargamento, guidato dall’apertura dei negoziati di adesione con Ucraina e Moldavia e dallo status di candidato della Georgia, riflette la nuova preoccupazione dell’Ue in materia di sicurezza. Negli ultimi tre anni, soprattutto a causa della guerra in Ucraina, l’Europa ha rimesso al centro dell’agenda politica il tema dell’allargamento.
Dopo un lungo periodo di “fatica da allargamento”, le tendenze sfavorevoli verso l’ammissione di nuovi membri si sono invertite: i più recenti Eurobarometers mostrano come l’opinione pubblica europea, spinta dalle rinnovate tensioni geopolitiche, sostiene un’Unione più ampia e integrata.
L’impegno strategico dell’Italia per un’Europa più ampia
L’Italia si è sempre distinta per un atteggiamento positivo verso l’allargamento dell’Ue, sia verso l’Europa settentrionale che orientale. I sondaggi hanno mostrato come gli italiani si siano sempre collocati tra i più entusiasti, tanto che l’Italia è stata tra i primi membri dell’Ue ad insistere affinché fossero avviati negoziati con la Slovenia e l’Estonia.
Grafico. Differenza tra l’attitudine dell’opinione pubblica italiana ed europea a favore dell’allargamento nel periodo 2018-2024.
Fonte: Elaborazione dagli Standard Eurobarometer 90–102 (Autumn 2018-Autumn 2024).
L’interesse strategico italiano è principalmente politico ed economico. Da un lato, l’ampliamento dell’Ue garantisce maggiore stabilità politica ed economica in aree oltre i confini, riducendo rischi e tensioni. Dall’altro, la prossimità geografica dell’Italia ai Balcani e all’Europa centro-orientale la rende un partner economico privilegiato di questi Paesi, favorendone l’integrazione economica. Le opportunità di integrazione derivanti da un’Europa allargata sono particolarmente rilevanti nei settori commerciali e industriali, come lo sviluppo della connettività infrastrutturale e dell’energia, della transizione digitale e della manifattura, ma non è da trascurare un ulteriore rafforzamento del coordinamento politico, dagli affari interni e della giustizia.
In questo scenario, il Friuli-Venezia Giulia assume una funzione di ponte naturale tra l’Italia e i nuovi potenziali membri dell’Unione, permettendole di rafforzare la propria presenza nei processi decisionali e nei mercati emergenti dell’Europa centro-orientale attraverso forme di coordinamento delle politiche nazionali e di cooperazione intergovernativa alla base di una futura integrazione.
Da regione ‘periferica’ a cuore dell’Europa: il caso del Friuli-Venezia Giulia
Questo rinnovato slancio rappresenta una risposta alla situazione internazionale e una riscoperta del valore strategico delle aree di confine europee, tradizionalmente considerate marginali. Il Friuli-Venezia Giulia emerge come simbolo del nuovo paradigma europeo, passando da periferia a nodo centrale della futura architettura continentale. Infatti, non è solo una regione ai margini orientali dell’Italia, ma un ponte naturale che si apre geograficamente, economicamente e culturalmente verso i Balcani e l’Europa centrale. Il suo posizionamento geografico, il suo patrimonio culturale mitteleuropeo e la sua vocazione transfrontaliera lo rendono un attore essenziale nel processo di ampliamento dell’Unione proprio verso quei Paesi che necessitano di una rapida integrazione. La regione rappresenta quindi un laboratorio vivo di integrazione europea, declinandosi su tre livelli: politico, economico e culturale.
Il piano politico, economico ed identitario: una regione mitteleuropea modello
Politicamente, la regione ha saputo trasformare antiche rivalità con i Paesi dell’ex-Jugoslavia in forme concrete di dialogo. Nel post-Guerra Fredda, dopo aver vissuto sulla propria pelle i confini – geografici (durante la Guerra Fredda), linguistici (tra italiano, sloveno e tedesco) e istituzionali, (tra modelli politici diversi) – Trieste è riuscita a superarli attraverso una concreta progettualità transfrontaliera.
Sul piano economico, il Friuli-Venezia Giulia è protagonista di esempi tangibili di integrazione europea. È infatti uno snodo cruciale per i trasporti e la logistica continentale, grazie ai porti di Trieste e Monfalcone e ai corridoi europei TEN-T, che hanno aperto connessioni con il Corridoio Baltico-Adriatico e il Corridoio Mediterraneo. È anche al centro di progetti infrastrutturali strategici, come la possibile riattivazione della tratta ferroviaria Trieste–Lubiana–Zagabria–Belgrado. Inoltre, i programmi europei come Interreg Central Europe e IPA ADRION ne fanno un hub di cooperazione transnazionale che investe nei sistemi di innovazione regionale, nella protezione del patrimonio culturale e ambientale, nei trasporti sostenibili e nello sviluppo dell’integrazione. Grazie a queste iniziative bottom-up, l’Italia può ritagliarsi uno spazio significativo dal punto di vista economico e imprenditoriale nell’Europa Centrale e nei Balcani occidentali, facendo sempre più fare rete e incrementandone di conseguenza la competitività.
Sebbene non si possa ignorare il peso delle considerazioni economiche e geopolitiche sulle azioni di questi attori, sarebbe un errore sottovalutare l’influenza delle questioni legate all’identità e alla memoria. L’integrazione non deve quindi escludere attività di natura specificamente culturale al fine di accrescere la consapevolezza di un patrimonio comune sviluppando un senso di cordiale e propositivo vicinato. Culturalmente, il Friuli-Venezia Giulia incarna l’essenza di una regione mitteleuropea, dove lingue, religioni e tradizioni diverse convivono da secoli. Dopo il crollo della cortina di ferro, la regione ha saputo riscoprire e promuovere la propria identità europea, fatta di radici comuni e memorie condivise con l’Europa centro-orientale. In tal senso, la cultura Mitteleuropea rappresenta una koinè culturale tra quei territori, ma è anche sinonimo di cosmopolitismo e pluralismo. La riscoperta di tale cultura ha dimostrato come la regione ha in sé il seme per promuovere una vera cooperazione. La scoperta di valori comuni e la cooperazione transnazionale sono state le principali motivazioni alla base di tutto il progetto comunitario sin dal principio.
Il Friuli-Venezia Giulia può quindi essere considerato un “modello” per l’Europa policentrica del futuro: dove territori fortemente interconnessi contribuiscono incisivamente alla costruzione del progetto europeo attraverso comunità che, pur attraversate da lingue e storie diverse, hanno imparato a integrarsi senza perdere la propria identità. Questo, se ci pensiamo, è già Europa. Ecco perché il Friuli-Venezia Giulia non è una periferia, ma una cerniera viva: una frontiera che, da zona di frizione, può diventare motore di trasformazione.
