AeroSpace Power Conference: intervista a Walter Villadei, astronauta e pilota colonnello dell’Aeronautica Militare

Cosa ti ha colpito di più della tua esperienza sulla Stazione Spaziale Internazionale e nel volo suborbitale?

Sono due voli differenti tra di loro. Un volo suborbitale è un volo più breve dal punto di vista temporale: dura complessivamente due ore dal momento in cui si decolla al momento in cui si atterra. Il periodo di microgravità è meno di cinque minuti, ma non per questo è un volo più semplice. È estremamente complesso, in cui ogni secondo ha la sua importanza per valorizzare al massimo il periodo di microgravità che abbiamo durante quel tipo di volo. Quindi deve essere tutto studiato alla perfezione dal punto di vista delle procedure, incluso per operare alcuni esperimenti, soprattutto in quelle situazioni in cui l’esperimento potrebbe non andare come era previsto. Abbiamo volato nel 2023, abbiamo portato insieme al Consiglio Nazionale delle Ricerche e Virgin Galactic 13 esperimenti. Quindi abbiamo utilizzato una piattaforma suborbitale, e questo è un punto importante, come ulteriore piattaforma che riesce ad aprire e offrire opportunità di sperimentazione in microgravità a costi più accessibili. Il volo a bordo della Stazione Spaziale Internazionale seppur più tradizionale, perché voliamo a bordo della stazione ormai da quasi 30 anni, per chi vola la prima volta è un’esperienza straordinaria: dal momento in cui arriva il countdown a zero, il razzo comincia a vibrare tutto quanto, progressivamente si accelera fino a 4-5 giri, la separazione in 8 minuti a 200 km di quota, 30.000 km/h di velocità e da lì si vede la Terra nella sua bellezza e si iniziano una serie di procedure di inseguimento fino a bordo della Stazione Spaziale Internazionale. A sorpresa la stazione è un posto straordinario: un laboratorio che è allo stesso tempo una casa, un laboratorio, un’infrastruttura critica e strategica che vola in uno spazio sempre più affollato e congestionato. Colpisce come questa infrastruttura cominci a diventare vecchia anche nel suo concepimento: sono sistemi progettati e realizzati negli anni ‘90. E quindi colpisce molto l’attenzione sulle opportunità che ci sono grazie alle tecnologie moderne, immaginando le stazioni del futuro. La bellezza poi di affacciarsi dalla cupola, prodotta e realizzata dall’Italia, unica nel suo genere, è un po’ come affacciarsi nella Cappella Sistina ed è un evento veramente straordinario, soprattutto quando accade per la prima volta. Quindi devo dire sono voli molto differenti, entrambi però offrono delle capacità importanti anche per l’aeronautica, per la difesa e per l’Italia, per spingere sull’innovazione, la ricerca scientifica e tecnologica. Dobbiamo imparare ad usarli in maniera complementare, quindi credo che nei prossimi anni sarà interessante espandere i ragionamenti su entrambi.

Come vedi il futuro dell’esplorazione spaziale?

In questo momento il futuro dell’esplorazione spaziale è quanto mai “incerto”, ovvero tutto è un po’ in trasformazione ed è il tema che abbiamo trattato anche durante l’Aerospace Power Conference 2025, parlando di “evolving space” e di aerospace power. Sta cambiando anche perché cambia il contesto geopolitico circostante. Ci sono due trend fondamentali. Il primo: la Stazione Spaziale Internazionale è stata un laboratorio di ricerca e collaborazione negli ultimi 30 anni. Una volta che questa sarà deorbitata, sarà sostituita da altre infrastrutture molto probabilmente commerciali, quindi rimarrà comunque un’esplorazione nelle orbite basse tendenzialmente orientata a creare una space economy. Poi ci stiamo espandendo con l’idea di tornare verso la Luna. Come? Questo diventa un po’ più incerto, quindi quelli che sono i programmi finora avviati potrebbero avere delle rivisitazioni anche in ragione dei costi associati a questi. Certamente, la Luna – indipendentemente dall’anno in più o in meno: 2028, 2030 o 2032 – sarà un obiettivo dove torneremo, torneremo per rimanere sulla Luna. Quanto peserà la parte competizione a livello geopolitico con altri soggetti che vogliono arrivare sulla Luna, quanto invece sarà una, come dire, permanenza più pacifica volta a un utilizzo delle risorse anche lunari in ottica di collaborazione internazionale diventa ancora più complicato. Recentemente l’amministrazione americana ha dichiarato anche un forte interesse a riavviare, ravvivare le esplorazioni verso Marte, che chiaramente è un obiettivo ancora molto lontano, soprattutto se vogliamo portare gli astronauti su Marte, non solo le sonde, e quindi anche lì è una “long way to come”. Ma sicuramente anche le esplorazioni lunari aiuteranno a creare quelle tecnologie che poi sono fondamentali per raggiungere anche Marte.

Quali sono i principali punti di forza dell’ecosistema spaziale statunitense?

I principali punti di forza del sistema industriale americano sono due. Uno è la predisposizione al rischio, e non è solo legata alle dimensioni dei volumi di investimento o alle dimensioni economiche dell’industria, ma è anche una questione di mentalità. La seconda è una pragmaticità nei progetti che stanno mettendo in piedi, accompagnata da una capacità di investimento che non abbiamo né in Italia né in Europa. Questi due aspetti sono da una parte culturali, dall’altra parte economici: due elementi di debolezza del sistema europeo. Quindi dal punto di vista della capacità del rischio, SpaceX è un esempio evidente di quando hanno investito su una tecnologia come la riutilizzabilità dei lanciatori a cui nessuno credeva, rendendola possibile e oggi con questa tecnologia hanno trasformato quello che era un oggetto single use – lanciato e buttato – in una flotta. Come abbiamo le flotte degli aeroplani, ora iniziamo ad avere le flotte dei lanciatori. Questo è completamente distruptive. La capacità di thinking out-of-the-box è qualcosa che riescono a fare non solo dal punto di vista teorico, ma anche dal punto di vista pratico. Chiaramente sono accompagnati da un contesto complessivo – di norme, economico, finanziario, politico – che crea le premesse perché questo possa accadere. Forse questa è la cosa su cui l’Italia e l’Europa devono riflettere. E chiaramente, poi, la capacità di investire in maniera rapida, creando delle start-up che nel giro di 2/3 anni diventano delle unicorns, con il supporto istituzionale che dà loro degli obiettivi challenging da raggiungere, è un’altra cosa estremamente importante. Quindi per noi diventa, in questo momento molto instabile, fondamentale certamente mantenere delle radici forti in Europa, ma anche guardare alla tradizionale collaborazione con gli americani che per l’Italia è sempre stata un punto forte.

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