In queste settimane, i leader del mondo si stanno affrettando a capire come la rielezione di Donald Trump alla Casa Bianca possa cambiare gli scenari internazionali. L’enorme influenza economica, politica e militare degli Stati Uniti rende impossibile rimanere indifferenti davanti a una svolta governativa che si preannuncia netta: dalla protezione dell’ambiente alla difesa militare, Trump ha più volte marcato la sua distanza dalle decisioni prese dal presidente uscente Joe Biden.
Gli effetti di questa transizione avranno un effetto particolare sui Paesi geograficamente più prossimi agli Stati Uniti: Canada e Messico. Storicamente, i governi di Ottawa e Città del Messico hanno dovuto interfacciarsi con le trasformazioni politiche del loro potente vicino, finendo inevitabilmente per essere influenzati dalle decisioni prese a Washington. A un mese dall’insediamento della nuova amministrazione, all’orizzonte si prospettano alcune sfide che testeranno la solidità dei rapporti fra i tre Paesi.
Politica commerciale
Il tema che più di tutti sembra preoccupare i governi alleati è la politica commerciale che gli Stati Uniti potrebbero adottare a partire dal prossimo gennaio. In campagna elettorale, Trump ha insistito ripetutamente sulla necessità di introdurre tariffe d’importazione sulla maggior parte dei beni che affluiscono dall’estero, in particolare quelli provenienti da Messico e Canada, che insieme forniscono il 30 per cento delle merci immesse sul suolo americano. Quello del passaggio a una politica commerciale più protezionista è un argomento che il tycoon newyorkese ha sostenuto sin da quando è entrato in politica e, sebbene l’estensione di tale dottrina sia difficile da prevedere oggi, è improbabile che faccia marcia indietro adesso che i repubblicani controllano sia la Casa Bianca che il Congresso. Già durante il suo primo mandato, Trump era riuscito a smantellare il NAFTA, l’accordo di libero scambio che coinvolgeva i tre Paesi, pur mantenendo molti dei suoi principi nel nuovo trattato USMCA.
Lo scorso 26 novembre, Trump ha scritto sul suo profilo social che tra i suoi primi atti da Presidente eletto ci sarà «la firma dei documenti necessari per addebitare a Messico e Canada una tariffa del 25 per cento su tutti i prodotti importati negli Stati Uniti». Uno scenario che avrebbe delle immediate conseguenze sulle economie di entrambi i Paesi, le quali fanno pesante affidamento sul commercio da e verso Washington. In particolare, potrebbe risentirne l’industria messicana dell’automobile la quale, solo grazie gli export verso il confine nord, costituisce il 5 per cento del PIL nazionale. Un discorso simile potrebbe farsi per il Canada, dove la minaccia di una tariffa del 10 per cento su tutte le importazioni nel campo dell’energia preoccupa non poco il governo e la florida industria petrolifera del Paese.
Nel suo post del 26 novembre, Trump ha promesso di ritirare le tariffe quando «le droghe e tutti i migranti irregolari smetteranno di invadere il nostro Paese». Questa è l’altra faccia della medaglia del suo progetto di politica estera: limitare le importazioni non solo dei beni, ma anche delle persone.
Politica migratoria
La retorica di Trump intorno al tema dell’immigrazione è ben nota, e anche in questa campagna elettorale ha messo al centro del suo programma l’obiettivo di mettere fine agli ingressi clandestini. Attenzione speciale è come sempre riservata al confine meridionale, dove l’amministrazione repubblicana annuncia di voler usare il pugno di ferro pur di arginare, almeno in parte, il flusso proveniente dal Rio Grande. Resta da capire come si porrà la neoeletta presidentessa messicana Claudia Sheinbaum nei confronti delle pressioni della Casa Bianca. Durante il suo primo mandato, Trump era riuscito a far accettare a Città del Messico il rimpatrio forzato di migliaia di persone, oltre che accogliere i richiedenti asilo provenienti da altre zone dell’America Latina. Anche questo accordo andrà eventualmente rinegoziato, ma Sheinbaum dovrà fare attenzione da una parte a evitare una crisi economica e umanitaria nel suo Paese, dall’altra a non alienarsi le simpatie della Casa Bianca.
Indirettamente, la politica migratoria di Trump influenzerà molto anche il Canada. Per quanto la migrazione da nord verso gli Stati Uniti non raggiunga numeri altrettanto eccezionali, una politica di espatri di massa porterebbe migliaia di persone a cercare un’alternativa oltre confine. Il governo di Justin Trudeau guarda con preoccupazione queste evoluzioni e, come nel caso del Messico, il Canada dovrà lavorare di diplomazia per costruire una strategia comune con l’ingombrante vicino.
Una cooperazione forzata
La realtà è che Trudeau e Sheinbaum si troveranno, volenti o nolenti, a dover accettare almeno in parte le politiche regionali della prossima amministrazione americana. Se con il Capo di Stato messicano i rapporti sono appena all’inizio, tra Trump e Trudeau non scorre buon sangue, con i due che si sono ripetutamente attaccati durante i quattro anni di governo di Biden. Davanti al risultato delle elezioni di novembre, tuttavia, il primo ministro canadese ha dovuto avviare un processo di riavvicinamento al leader repubblicano, consapevole che il suo Paese non può permettersi una rottura totale con Washington. D’altro canto, anche Trump dovrà venire incontro alle sue controparti nordamericane, dato che una completa chiusura dei rapporti, politici e commerciali, danneggerebbe pesantemente l’economia americana.
Nel prossimo futuro saranno diverse le sfide che i tre leader dovranno affrontare insieme, ma nessuno sembra urgente come la gestione dei rapporti commerciali e dei flussi migratori. Qualsiasi equilibrio emerga nei prossimi mesi, queste saranno due prove fondamentali per la dottrina Trump in politica estera.
di Pietro Carignani