“TACO: Trump alla fine si tira sempre indietro”

La politica commerciale di Donald Trump è stata soprannominata “Taco”, acronimo inglese per “Trump alla fine si tira sempre indietro”. Ma nella sua ultima guerra commerciale con l’Ue, è Bruxelles che ha fatto marcia indietro. L’accordo Usa-Ue in cui l’Unione ha accettato dazi statunitensi sui beni europei con un’aliquota del 15%, oltre a dazi separati e ancora più punitivi su acciaio, alluminio e auto, e promesse mirabolanti di 600 miliardi di euro in acquisti europei di gas liquefatto e armi a stelle e strisce, non solo rappresenta un pessimo accordo per l’economia europea, ma anche la più tangibile manifestazione che un’Europa in cui i nazionalismi e i sovranismi sono in ascesa è un’Europa incapace di difendere i propri interessi.

Bruxelles puntava inizialmente a un accordo tariffario “0% contro 0%”, considerando il bilancio commerciale transatlantico complessivo, includendo anche i servizi. Infatti, sebbene l’Ue goda di un significativo surplus commerciale di beni con gli Usa, presenta un costante disavanzo nei servizi, in particolare quelli tecnologici.

Il confronto con l’accordo britannico e le aspettative europee

L’accordo che il Regno Unito ha concluso con gli Usa, accettando un dazio del 10%, era considerato negativamente negli ambienti europei: dato il suo peso economico e la dipendenza da parte di alcune esportazioni statunitensi dai mercati europei, l’Ue riteneva di poter indurre Washington a un accordo più favorevole.

Le trattative non sono però andate bene. Quando l’amministrazione Trump ha ripreso a minacciare Messico, Canada e Brasile, la volatilità ha reso l’Ue desiderosa di chiudere un accordo a ogni costo. In primavera, durante il cosiddetto “giorno della liberazione” proclamato da Trump, l’Ue aveva minacciato forti ritorsioni, incluso il ricorso alla sua opzione “nucleare”: uno strumento commerciale anti-coercizione che avrebbe drasticamente limitato l’accesso statunitense al mercato interno europeo.

L’escalation delle minacce e la capitolazione dell’UE

Tutto ciò è stato accantonato dopo che la Casa Bianca ha ridotto la minaccia di dazi dal 20% al 10%. La visione prevalente tra gli Stati membri, allora, era che anziché seguire Trump nella spirale della guerra commerciale si dovesse negoziare un grande accordo di libero scambio, temendo anche che il presidente Usa potesse sfruttare la dipendenza europea dalla difesa statunitense per colpire al vertice della Nato a L’Aja.

Nel frattempo i negoziati sono proseguiti, senza arrivare ad un accordo, sino a che Trump ha incluso nel pacchetto dazi anche agricoltura e farmaceutica, minacciato dazi generalizzati al 30% e l’Ue ha, ancora una volta, piegato la testa, rinviando il pacchetto di potenziali controdazi da 21 miliardi di euro l’anno. Anche l’ipotesi di attivare lo strumento anti-coercizione è stata accantonata.

Le alternative economiche e i nuovi accordi commerciali

Certamente, i dazi di ritorsione avrebbero avuto effetti autolesionistici. Dal punto di vista economico, avrebbe più senso puntare sulla rimozione delle barriere commerciali con altri paesi: oltre agli accordi di libero scambio già conclusi con quattro paesi del Mercosur (Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay) e con il Messico, l’Ue ha accelerato i negoziati con Australia, Nuova Zelanda e India, e ha avviato colloqui con gli Emirati Arabi Uniti. Ha inoltre raggiunto un accordo con l’Indonesia e proposto ai paesi del Comprehensive and Progressive Agreement for Trans-Pacific Partnership – che include 11 paesi dell’area Asia-Pacifico più il Regno Unito – di valutare la possibilità di sviluppare una nuova Organizzazione Mondiale del Commercio.

Le conseguenze politiche: divisioni interne e indebolimento europeo

Ma cedere al bullismo commerciale di Trump potrebbe comunque trasformarsi in un boomerang politico per l’Europa. Sebbene il commercio estero sia gestito collettivamente dall’Ue, le decisioni politiche devono comunque essere approvate da una maggioranza qualificata degli Stati membri, spesso divisi tra “colombe” e “falchi”. Hanno prevalso i primi. Tra queste ci sono paesi di destra, nazionalisti e amici di Trump, come l’Italia; e paesi che temono la reazione di Trump nell’ambito della difesa militare, come quelli del Nord e dell’Est.

Insieme, costituiscono una maggioranza solida, che potrebbe indurre l’Ue a cedere fino ad arrivare forse persino ad allentare le proprie normative digitali, vero obiettivo di Trump. Una simile genuflessione a Washington equivarrebbe a un indebolimento significativo dell’integrazione europea. Con un accordo in cui l’Ue ha accettato un’aliquota base del 15% sui dazi statunitensi è difficile sostenere che l’unità europea sia stata una fonte di forza. L’inclinazione dell’Europa verso il nazionalismo e l’estrema destra sta indebolendo il continente, rafforzando proprio quelle forze che ne minano gli interessi.

Direttore dell'Istituto Affari Internazionali, part-time professor alla School of Transnational Governance dell'European University Institute, professore onorario all’Università di Tübingen e amministratore non esecutivo e indipendente di Acea.

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